lunedì 28 dicembre 2009

Per l'anno che verrà... Un augurio

Mi auguro che il 2010 sia l'anno della scuola, nel senso almeno di una finalmente convinta considerazione della scuola da parte della politica e della società. Alla politica è demandata la determinazione nell'affrontare un totale ripensamento del sistema scolastico, in risposta alle esigenze sempre più complesse della società civile, alla società si chiede una maggiore responsabilità nell'utilizzo della scuola come elemento di mobilità sociale autenticamente democratica. Si chiede in particolare alle famiglie di indirizzare i propri figli ad una scuola, ad un tipo di scuola che non sia la proiezione di ambiziose aspettative per inseguire il facile successo professionale ad ogni costo, ma sia invece l'approdo più rispondente alle attitudini naturali dei propri ragazzi, che non possono essere indirizzati ad un tipo di scuola del tutto inadeguato a loro. La maggioranza dei ragazzi che lasciano le medie si riversano nei licei, perché questo tipo di scuola è l'unico in grado di dare una parvenza di formazione in un sistema che penalizza fortemente gli istituti professionali, declassati a scuole di serie B. Questa situazione, a sua volta, come in un gioco di domino,determina un abbassamento degli standard formativi nei licei i quali, da anni ormai, vanno svuotando sempre più il loro curriculum di reali conoscenze e competenze, per adattarsi forzatamente ad un'utenza per lo più inadeguata. In questo mio augurio voglio includere anche la scuola, che non é senza colpe in tale appiattimento culturale, per non dire in questo sfacelo.
Alla scuola si deve chiedere di misurare saggiamente le capacità di ciascun allievo e di metterlo nelle condizioni di assolvere a quelle funzioni per le quali si sente portato per disposizione naturale. "L'educazione perfetta è quella che alleva ogni essere umano perché occupi precisamente il posto che deve occupare nella gerarchia sociale, senza stravolgere, nel processo educativo, la sua individualità", e lo dice Aldous Huxley, non io, intendiamoci!...
In conclusione, l'augurio per l'anno che verrà è che la scuola riaffermi con coraggio il sacrosanto principio dell'umana dignità, altrimenti rischia di formare una massa di arrabbiati senz'anima, cittadini confusi, indifferenti e privi di progettualità.

martedì 22 dicembre 2009

mercoledì 18 novembre 2009

La Vexata Questio

La questione meridionale ha avuto tante definizioni, per lo meno da un secolo a questa parte: ne abbiamo sentito parlare in termini di questione agraria, questione industriale, questione morale e, per contrasto, anche di questione settentrionale. Oggi, però, il degrado della convivenza civile nel Sud induce a parlare di questione criminale, punto e basta. Già... Questione criminale! Non c'è altro aggettivo più pertinente di questo per spiegare il come ed il perché di tale degrado, a tutti i livelli.
In molte aree del Meridione (e non illudiamoci che quelle aree siano solo "quelle" che tutti sappiamo,dove si consumano efferati delitti) l'illegalità si è diffusa, senza peraltro configurarsi necessariamente come criminalità tout court, a tal punto che ha ribaltato le regole del vivere civile, ha investito le basi economiche, le strutture sociali, la vita collettiva, l'intera organizzazione della società. Purtroppo, ovunque nel Sud si convive con fenomeni di sopraffazione e di asservimento, di indistinzione tra pubblico e privato, di scambio di protezioni e di fedeltà personali, modi e costumi feudali nel terzo millennio. In simili comportamenti, che non sono soltanto la peculiarità di una partecipazione distorta alla vita collettiva, ma che si perpetuano finanche a livello di interazione individuale, si annida l'illegalità legalizzata.
Se parliamo, ad esempio, di rapporti di amicizia, di colleganza in un ambiente di lavoro, o di semplice rispetto della persona che ti sta di fronte, che ha bisogno di aiuto e te lo chiede, non possiamo non renderci conto di come le cose siano profondamente cambiate, nel senso dell'assoluta negatività dei rapporti. Ad ogni livello si è instaurata una modalità di interazione esclusivamente fondata sul "do ut des". Si è incrinato il rapporto di fiducia, è venuta meno la lealtà, la schiettezza della comunicazione, insomma siamo diffidenti l'uno dell'altro, cosicché quando ci troviamo di fronte ad una qualsivoglia persona, la domanda non espressa che tutti ci facciamo è: "A chi appartieni?"...
Insomma,la fiducia su cui si basavano un tempo le relazioni sociali, o è fedeltà ad un partito, ad una lobbie, a una corporazione, a un capo, oppure non è. Immaginiamo ora i guasti che simili comportamenti hanno determinato nella vita sociale e soprattutto politica: i termini fondamentali della sovranità della legge e della tutela dei diritti dei cittadini vengono del tutto annullati, l'arbitrio, l'illegalità, il controllo violento sulla vita delle persone la fanno da padrone, in una mistura di falsità ed immoralità camuffate da un'apparente modernità.
Questo è il Sud! Una grande società male strutturata nei diversi ambiti: economico, sociale, politico, culturale, civile. Il nostro Sud non è più agricolo, non ci sono più contadini né proprietari e ciò ha smantellato il sistema degli antichi valori, quelli del mos maiorum,per intenderci, quei valori legati alla terra, al mutare delle stagioni, alle incertezze esistenziali di una vita grama, o meglio sobria nelle sue regole che imponevano innanzitutto il rispetto dell'altro, la sacralità della persona, l'attenzione ai bisogni collettivi, sia pure per un sentimento di carità cristiana e di commiserazione per i deboli. Era pacifico che esistessero i ricchi ed esistessero i poveri in ambienti diametralmente opposti, ma c'erano regole di moralità uguali per tutti. La morale cattolica non faceva sconti ai potenti, tutti riconoscevano un'etica comune di comportamento, per lo meno in pubblico, specialmente per coloro i quali rivestivano una carica politica. Oggi tutto questo è irreversibilmente perduto. L'attuale società meridionale è caratterizzata da una struttura urbana fondata su indifferenziati ceti intermedi di dubbia modernità. Assistiamo per esempio a mode e a costumi appresi dalla televisione per lo più acriticamente, che hanno cancellato le tradizioni più significative di un'antica civiltà in nome di una presunta modernità, assai discutibile. Fa specie vedere nelle campagne ville hollywoodiane al posto degli antichi casolari, così come strutture alberghiere o ristoranti a cinque stelle in paesini che ancora conservano il vecchio campanile sovrastante il piccolo borgo antico. La gente del Sud è disorientata, senza più un'identità antropologico-culturale. Dove stiamo andando? Nell'incertezza generalizzata aumenta vertiginosamente la disoccupazione specialmente giovanile e femminile, la fuga dei cervelli verso il Nord o addirittura verso l'Europa o l'America. E mentre i paesi si spopolano, si espandono smisuratamente modelli di comportamenti ed organizzazioni criminali, si devasta il territorio, il paesaggio, nell'apatia totale.
Ma di chi è la colpa? In un documento di qualche anno fa elaborato dalla CEI si dichiarava che forse l'ostacolo principale a una crescita del Mezzogiorno risiede nei gruppi di potere locali che si presentano verso il centro come garanti di consenso e verso la base come erogatori di risorse clientelari più o meno soggette all'arbitrio, all'illegalità, al controllo violento. Nel Sud si è consolidato da oltre un ventennio, ormai,un nuovo sistema politico-amministrativo capace di esercitare una forma di gestione del potere che amministra, secondo criteri antitetici ai principi di legalità e di interesse pubblico, il mercato politico, il mercato degli appalti, il mercato del lavoro attraverso un circuito perfettamente strutturato di lobbies politico-economiche, di clientele sociali e di esperte competenze professionali, che spaziano dal territorio alla legislazione, dal fisco agli investimenti. A questa già difficile situazione si è poi aggiunto, come ulteriore spinta verso il degrado morale, il fenomeno del Berlusconismo che ha fatto presa sulla parte debole del popolo meridionale mediante i programmi televisivi di Mediaset, che hanno dato il colpo di grazia ai valori positivi tradizionali, in nome della "modernità".

domenica 18 ottobre 2009

Ritorno al Meridionalismo

Secondo gli ultimi dati disponibili Ocse Pisa relativi al 2007 in cinque tipi di scuola (licei, istituti tecnici, istituti professionali, scuole medie, formazione professionale) e riguardanti la matematica, le scienze e la comprensione dei testi in termini di competenze essenziali, nel Nord Est gli studenti quindicenni sono competitivi oltre la media Ocse, nel Nord Ovest ottengono dei buoni risultati, al Centro si collocano nella media dei Paesi sviluppati mentre al Sud e nelle Isole precipitano a meno settanta rispetto alla media. «Non è un numero irrilevante. Equivale, secondo un calcolo fatto con tecniche statistiche molto sofisticate, ad un ritardo di due anni — spiega Cipollone, presidente dell'associazione —. È come se un ragazzo del Sud avesse frequentato la scuola due anni di meno. Dietro tutto questo c'è una componente ambientale. È accertato che le condizioni socioeconomiche sono una delle componenti essenziali dell'apprendimento e purtroppo non si possono cambiare da un momento all'altro».
Data questa situazione, in una congiuntura difficile qual è questa che stiamo vivendo, non possiamo non pensare che il nostro Sud risulta doppiamente penalizzato, per l'antico ritardo, che oramai è mitico, e per il nuovo che vede la scuola deprivata delle risorse fondamentali.
E' urgente e necessario ripensare a un nuovo modo di affrontare la "questione meridionale".

sabato 10 ottobre 2009

Per una scuola democratica


Un discorso di Piero Calamandrei ai giovani nel 1955


L’articolo 34 dice “I capaci e i meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi”. Eh! E se non hanno i mezzi? Allora nella nostra Costituzione c’è un articolo che è il più importante, il più importante di tutta la Costituzione, il più impegnativo, impegnativo per noi che siamo al declinare, ma soprattutto per voi giovani che avete l’avvenire davanti a voi. Dice così: “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del paese”. E’ compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli che impediscono il pieno sviluppo della persona umana. Quindi dare lavoro a tutti, dare una giusta retribuzione a tutti, dare la scuola a tutti. Dare a tutti gli uomini dignità di uomo. Soltanto quando questo sarà raggiunto, si potrà veramente dire che la formula contenuta nell’art. 1 “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, questa formula corrisponderà alla realtà. Perché fino a che non c’è questa possibilità per ogni uomo di lavorare e studiare e trarre con sicurezza dal proprio lavoro i mezzi per vivere da uomo, non solo la nostra Repubblica non si potrà chiamare fondata sul lavoro, ma non si potrà chiamare neanche democratica, perché una democrazia in cui non ci sia questa eguaglianza di fatto, in cui ci sia soltanto una eguaglianza di diritto, è una democrazia puramente formale. E' vera democrazia quella in cui tutti i cittadini siano veramente messi in grado di concorrere alla vita della società, di portare il loro migliore contributo, in cui tutte le forze spirituali di tutti i cittadini siano messe a contribuire a questo cammino, a questo progresso continuo di tutta la società; e allora voi capite da questo che la nostra Costituzione è in parte una realtà, ma soltanto in parte è una realtà; in parte è ancora un programma, un ideale, una speranza, un impegno, un lavoro da compiere. Quanto lavoro avete da compiere! Quanto lavoro vi sta dinnanzi!...
Però vedete, la Costituzione non è una macchina che una volta messa in moto va avanti da sé. La Costituzione è un pezzo di carta, la lascio cadere e non si muove; perché si muova bisogna ogni giorno rimetterci dentro il combustibile; bisogna metterci dentro l’impegno, lo spirito, la volontà di mantenere queste promesse, la propria responsabilità. Per questo una delle offese che si fanno alla Costituzione è l’indifferenza alla politica. L’indifferentismo che è, non qui per fortuna, in questo uditorio, ma spesso in larghi strati, in larghe categorie di giovani, un po’ una malattia dei giovani: l’indifferentismo. “La politica è una brutta cosa. Che me ne importa della politica?”
Ed io, quando sento fare questo discorso, mi viene sempre in mente quella vecchia storiellina che qualcheduno di voi conoscerà: di quei due emigranti, due contadini che traversavano l’oceano su un piroscafo traballante. Uno di questi contadini dormiva nella stiva e l’altro stava sul ponte e si accorgeva che c’era una gran burrasca con delle onde altissime, che il piroscafo oscillava. E allora questo contadino impaurito domanda a un marinaio: - Ma siamo in pericolo?- E questo dice- Se continua questo mare tra mezz’ora il bastimento affonda -. Allora lui corre nella stiva a svegliare il compagno e dice – Beppe, Beppe, Beppe, se continua questo mare tra mezz’ora il bastimento affonda -. Quello dice – Che me n’importa? Unn’è mica mio!- Questo è l’indifferentismo alla politica.
E’ così bello, è così comodo, è vero? è così comodo! La libertà c’è, si vive in regime di libertà. C’è altre cose da fare che interessarsi di politica! Eh, lo so anche io, ci sono…Il mondo è così bello vero? Ci sono tante cose belle da vedere, da godere, oltre che occuparsi di politica!
E la politica non è una piacevole cosa: Però la libertà è come l’aria. Ci si accorge di quanto vale quando comincia a mancare, quando si sente quel senso di asfissia che gli uomini della mia generazione hanno sentito per vent’anni e che io auguro a voi giovani di non sentire mai. E vi auguro di non trovarvi mai a sentire questo senso di angoscia in quanto vi auguro di riuscire a creare voi le condizioni perché questo senso di angoscia non lo dobbiate provare mai ricordandovi ogni giorno che sulla libertà bisogna vigilare, vigilare dando il proprio contributo alla vita politica…
Quindi voi giovani alla Costituzione dovete dare il vostro spirito, la vostra gioventù, farla vivere, sentirla come vostra, metteteci dentro il senso civico, la coscienza civica, bisogna rendersi conto (questa è una delle gioie della vita), rendersi conto che nessuno di noi nel mondo è solo, non è solo,
siamo in più, siamo parte, parte di un tutto, un tutto nei limiti dell’Italia e del mondo. Ora, vedete, io ho poco altro da dirvi. In questa Costituzione c’è dentro tutta la nostra storia, tutto il nostro passato, tutti i nostri dolori, tutte le nostre sciagure, le nostre glorie. Sono tutti sfociati qui in questi articoli e, a sapere intendere, dietro questi articoli ci si sentono delle voci lontane… E quando io leggo nell’art. 2 “l’adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”; o quando leggo nell’articolo 11: “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli”, la patria italiana in mezzo alle altre patrie…ma questo è Mazzini! Questa è la voce di Mazzini! O quando io leggo nell’art. 8: “tutte le confessioni religiose sono egualmente libere davanti alla legge”, ma questo è Cavour! O quando io leggo nell’art. 5: “la Repubblica, una e indivisibile, riconosce e promuove le autonomie locali”, ma questo è Cattaneo!; o quando nell’art. 53 io leggo a proposito delle forze armate: “l’ordinamento delle forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”, esercito di popolo; ma questo è Garibaldi! E quando leggo nell’art. 27: “non è ammessa la pena di morte”, ma questo, o studenti milanesi, è Beccaria! Grandi voci lontane, grandi nomi lontani…
Ma ci sono anche umili voci, voci recenti! Quanto sangue, quanto dolore per arrivare a questa Costituzione!Dietro ad ogni articolo di questa Costituzione, o giovani, voi dovete vedere giovani come voi caduti combattendo, fucilati, impiccati, torturati, morti di fame nei campi di concentramento, morti in Russia, morti in Africa, morti per le strade di Milano, per le strade di Firenze, che hanno dato la vita perché la libertà e la giustizia potessero essere scritte su questa carta, Quindi, quando vi ho detto che questa è una carta morta, no, non è una carta morta, è un testamento, un testamento di centomila morti. Se voi volete andare in pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione, andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati, dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la dignità, andate lì o giovani, col pensiero, perché lì è nata la nostra Costituzione.
(da Piero Calamandrei, Discorso sulla Costituzione, Milano, 1955, disco Cetra CL 0449/33 giri)
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lunedì 5 ottobre 2009

Il Congresso del PD

IL Partito democratico ha formalmente chiamato i suoi iscritti, mediante i delegati provinciali, alla convenzione provinciale, che si è tenuta ad Avellino domenica, 4 ottobre 2009. In vista del congresso nazionale dell'11 ottobre e poi delle primarie che si terranno il 25 per l'elezione del futuro segretario nazionale, il partito si è dato e si dà tuttora un gran da fare, tessendo e ritessendo relazioni, alleanze e patti di fedeltà più o meno occulti.
I toni della convenction sono stati accesi durante le varie tappe, sembrava che le tre mozioni (Bersani, Franceschini, Marino) dilaniassero il partito dall'interno, senza soluzione di continuità.
Io sono appena entrata nel PD e non ho provato una piacevole sensazione...
Ho avvertito il disagio di chi arriva ad una festa nuziale a fine banchetto: tutti sembravano interessati a numeri e cifre per la spartizione di un bottino, ma dov'è lo spirito di appartenenza al partito, dov'è la condivisione di un progetto? dove sono le idee?...
Mi viene in mente una citazione di Antoine de Saint-Exupery, che può sintetizzare bene il mio pensiero:
"Se vuoi costruire una nave non devi affaticarti per prima cosa a chiamare la gente a raccogliere la legna e a preparare gli attrezzi; non distribuire i compiti, non organizzare il lavoro. Ma invece prima risveglia negli uomini la nostalgia del mare lontano e sconfinato. Appena si sarà risvegliata in loro questa sete si metteranno subito al lavoro per costruire la nave".

giovedì 1 ottobre 2009

Per una scuola democratica 1

La scuola deve offrire pari opportunità a tutti: questo è un diritto riconosciuto nella nostra Costituzione agli artt. 3, 33, 34.

Ci sono molti ragazzi, specialmente nei nostri piccoli paesi del Sud, che entrano nelle scuole superiori, nei licei, ma soprattutto negli istituti professionali e tecnici, con uno svantaggio sociale o socio-culturale notevole. Si tratta spesso di ragazzi che hanno alle spalle una famiglia con un reddito minimo, con difficoltà economiche e disagi di ogni tipo. Ci sono, al contrario, ragazzi che, soprattutto nei licei, partono "Bene", provenendo da ambienti socio- culturali già avvantaggiati. Questi ultimi hanno solitamente genitori che svolgono buone professioni, sono in possesso di titolo di studio elevato oppure, in mancanza di questo, dispongono di denaro sufficiente per sostenere le spese di studio dei propri figli, i quali possono avvantaggiarsi, così, di un supporto nelle discipline in cui hanno difficoltà.
Queste differenze sono sempre esistite (tolta la parentesi storica del '68 che ha dato l'illusione dell'uguaglianza sociale e soprattutto culturale), ma oggi tali differenze esplodono in una forma forse inusitata. In piena recessione economica, in un momento in cui la disoccupazione aumenta vertiginosamente, i salari sono al minimo storico in valore d'acquisto, la società non consente alcuna mobilità e i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, pur lavorando, le differenze aprono un baratro incolmabile. Proprio nella scuola, che per anni è riuscita, pur fra mille difficoltà, ad assicurare la pari opportunità a tutti, aiutando di conseguenza la mobilità sociale e conservando una parvenza di democrazia, si sta registrando una situazione inaccettabile. Il degrado morale sta invadendo ogni aspetto della nostra vita: chi è furbo ed ha mezzi ottiene ciò che vuole, gli onesti, privi di mezzi, non ottengono niente. Siamo in piena barbarie, e dei costumi e dei comportamenti. In un simile scenario, ci si aspetta che almeno la scuola pubblica conservi la sua autonomia, nel senso che non ceda alle pressioni dei privati che vorrebbero scegliersi, per esempio, gli insegnanti ritenuti più idonei per i propri figli, o addirittura i programmi di studio, o altro...
Quando una scuola cede a queste tentazioni tradisce se stessa, mortifica i più deboli impedendo loro il diritto alla pari opportunità. Praticare la democrazia non è predicarla ex cathedra, ma è rimuovere ogni ostacolo alla piena realizzazione della persona, nella fattispecie dell'alunno, soprattutto se bisognoso e meritevole. Nella mia scuola, da qualche anno, si tende a valorizzare le "eccellenze", che molto spesso sono determinate da situazioni di partenza già avvantaggiate, mentre per gli alunni molto svantaggiati non si prevede mai, nei cosiddetti IDEI, un modulo di azzeramento per colmare le gravi lacune nella preparazione d'ingresso.

lunedì 28 settembre 2009

Ho incontrato il PD

Mi sono iscritta al Pd, voglio sostenerlo, ne condivido il progetto, che trovo grandioso!...
Quando è nato, nel 2007, sulle ceneri dell'Ulivo, ha entusiasmato molti: era un progetto assolutamente nuovo e suscitò perciò molte aspettative. Nasceva dall'incontro dei tre principali partiti della storia repubblicana: Il Partito Comunista italiano, la Democrazia cristiana ed il Partito socialista italiano, tre linee di pensiero che, pur nella diversità, convergevano nella concezione dell'uomo al centro di ogni attenzione da parte di uno Stato equo, giusto e solidale. Non poteva quindi non risvegliare le coscienze civili, assopite da un lungo torpore; non dimentichiamo che fino alla fine degli anni novanta c'era stato un lungo periodo in cui la politica si era adagiata sul vissuto, sul ripetitivo, su una prassi consolidata e consumata, che non lasciava intravedere nessun rinnovamento, nessuna cesura rispetto al passato. Abbiamo provato noia e disgusto per quella prassi politica, addirittura una sorta di asfissia al solo pensarla. Il Partito democratico ci ha subito catturato ed abbiamo sofferto quando l'abbiamo visto in crisi per un'emorragia di voti sempre più estesa. Abbiamo sofferto con Prodi, con Veltroni, con Franceschini, a tutt'oggi. L'idea nuova e geniale che sottende al partito, l'alba di un nuovo giorno non riesce ancora a dare bagliori di luce, delude le aspettative, perde voti quasi ogni giorno, ma noi non demordiamo, esso vivrà e sarà finalmente il centro di gravità permanente per tutti coloro che oggi sono smarriti.
Ma perché il PD delude le aspettative? Dov'è l'errore di strategia? E' forse un progetto troppo ambizioso e perciò stesso un'utopia, oppure delude per la mancanza di una leadership forte, di un capo carismatico, alla Berlusconi, per intenderci?
Io mi sono iscritta a questo partito in un momento cruciale della sua storia, a ridosso del suo congresso fondativo che, almeno si spera, darà una svolta con la segreteria di Pierluigi Bersani. Da subito, come sono entrata nella sede del partito, ho capito in quali gravi difficoltà si dibatte il nuovo PD! C'è in atto una guerra tra il vecchio ed il nuovo: da un lato i vecchi quadri dirigenti, abituati da anni ad una pratica di gestione della politica affaristica e consortile, finalizzano la loro azione al mantenimento dello status quo, senza peraltro escludere i propri interessi individuali, dall'altro i rappresentanti del nuovo tentano di applicare regole più democratiche e trasparenti nella organizzazione e nella gestione del nuovo partito. A tutto questo si aggiunge la libera interpretazione delle norme contenute nello Statuto, affidata spesso a persone non proprio di alto profilo culturale. Spero di sbagliarmi, ma voglio credere che il contrasto non nasca dalla contrapposizione d'idee, per il semplice fatto che non sono discordanti sui temi fondamentali quali la diseguaglianza sociale, la globalizzazione, la sperequazione della risorse, ecc...
Penso che le differenze sono sempre un arricchimento e tutti gli aderenti al partito vogliono confrontarsi, il problema è trovare un punto d'incontro.

martedì 22 settembre 2009

Il sacrosanto principio dell'autodeterminazione dei popoli

Nelle varie norme della giurisprudenza internazionale si afferma il diritto per tutti i popoli di stabilire in piena libertà, quando e come lo desiderano, il loro regime politico senza ingerenza esterna e di perseguire come desiderano il loro sviluppo economico, sociale e culturale.Tra i popoli soggetti a dominio militare straniero, attualmente, il popolo afghano sembrerebbe essere il più bisognoso di affermare tale diritto, ma tutte le grandi potenze occidentali si ostinano a credere e a far credere che quelle popolazioni non siano ancora mature per reagire ai talebani, che hanno in mente di annientare la loro libertà...
Intanto, in Afghanistan sono morti 6 soldati italiani, giovani e forti, e non erano andati lì solo per la gloria delle armi!...

mercoledì 9 settembre 2009

8/9/2009 - INTERVENTO di BARACK OBAMA





Ragazzi volete il successo?
Dovete studiare





So che per molti di voi questo è il primo giorno di scuola. E per chi è all’asilo o all’inizio delle medie o delle superiori è l’inizio di una nuova scuola, così un minimo di nervosismo è comprensibile.

Immagino che tra voi ci siano dei veterani a cui manca solo un anno per concludere gli studi e quindi contenti. E, non importa a quale classe siate iscritti, qualcuno tra voi probabilmente sta pensando con nostalgia all’estate e rimpiange di non aver potuto dormire un po’ di più stamattina. So cosa vuol dire. Quando ero giovane la mia famiglia visse in Indonesia per qualche anno e mia madre non aveva abbastanza denaro per mandarmi alla scuola che frequentavano tutti i ragazzini americani. Così decise di darmi lei stessa delle lezioni extra, dal lunedì al venerdì alle 4,30 di mattina. Ora, io non ero proprio felice di alzarmi così presto. Il più delle volte mi addormentavo al tavolo della cucina. Ma ogni volta quando mi lamentavo mia madre mi dava un’occhiata delle sue e diceva: «Anche per me non è un picnic, ragazzo».

Ora, io ho fatto un sacco di discorsi sull’istruzione. E ho molto parlato di responsabilità. Della responsabilità degli insegnanti che devono motivarvi all’apprendimento e ispirarvi. Della responsabilità dei genitori che devono tenervi sulla giusta via e farvi fare i compiti e non lasciarvi passare la giornata davanti alla tv. Ho parlato della responsabilità del governo che deve fissare standard adeguati, dare sostegno agli insegnanti e togliere di mezzo le scuole che non funzionano, dove i ragazzi non hanno le opportunità che meritano. Ma alla fine noi possiamo avere gli insegnanti più appassionati, i genitori più attenti e le scuole migliori del mondo: nulla basta se voi non tenete fede alle vostre responsabilità. Andando in queste scuole ogni giorno, prestando attenzione a questi maestri, dando ascolto ai genitori, ai nonni e agli altri adulti, lavorando sodo, condizione necessaria per riuscire.

Questo è quello che voglio sottolineare oggi: la responsabilità di ciascuno di voi nella vostra educazione. Parto da quella che avete nei confronti di voi stessi. Ognuno di voi sa far bene qualcosa, ha qualcosa da offrire. Avete la responsabilità di scoprirlo. Questa è l’opportunità offerta dall’istruzione. Magari sapete scrivere bene, abbastanza bene per diventare autori di un libro o giornalisti, ma per saperlo dovete scrivere qualcosa per la vostra classe d’inglese. Oppure avete la vocazione dell’innovatore o dell’inventore, magari tanto da saper mettere a punto il prossimo i Phone o una nuova medicina o un vaccino, ma non potete saperlo fino a quando non farete un progetto per la vostra classe di scienze.

Oppure potreste diventare un sindaco o un senatore o un giudice della Corte suprema ma lo scoprirete solo se parteciperete a un dibattito studentesco. Non è solo importante per voi e per il vostro futuro. Che cosa farete della vostra possibilità di ricevere un’istruzione deciderà il futuro di questo Paese, nulla di meno. Ciò che oggi imparate a scuola domani sarà decisivo per decidere se noi come nazione sapremo raccogliere le sfide che ci riserva il futuro. Avrete bisogno della conoscenza e della capacità di risolvere i problemi che imparate con le scienze e la matematica per curare malattie come il cancro e l’Aids e per sviluppare nuove tecnologie ed energie e proteggere l’ambiente. Avrete bisogno delle capacità di analisi e di critica che si ottengono con lo studio della storia e delle scienze sociali per combattere la povertà e il disagio, il crimine e la discriminazione e rendere la nostra nazione più corretta e più libera.

Vi occorreranno la creatività e l’ingegno che vengono coltivati in tutti i corsi di studio per fondare nuove imprese che creeranno posti di lavoro e faranno fiorire l’economia. So che non è sempre facile far bene a scuola. So che molti di voi devono affrontare sfide tali da rendere difficile concentrarsi sui compiti e sull’apprendimento.

Mi è successo, so com’è. Mio padre lasciò la famiglia quando avevo due anni e sono stato allevato da una madre single che lottava ogni girono per pagare i conti e non sempre riusciva a darci quello che avevano gli altri ragazzi. Spesso sentivo la mancanza di mio padre. A volte mi sentivo solo e pensavo che non ce l’avrei fatta. Non ero sempre così concentrato come avrei dovuto.

Ho fatto cose di cui non vado fiero e sono finito nei guai. E la mia vita avrebbe potuto facilmente prendere una brutta piega.

Ma sono stato fortunato. Ho avuto un sacco di seconde possibilità e l’opportunità di andare al college e alla scuola di legge e seguire i miei sogni. Qualcuno di voi potrebbe non godere di questi vantaggi. Può essere che nella vostra vita non ci siano adulti che vi appoggiano quanto avete bisogno. Magari nelle vostre famiglie qualcuno ha perso il lavoro e il denaro manca. O vivete in un quartiere poco sicuro, o avete amici che cercano di convincervi a fare cose sbagliate. Ma, alla fine dei conti, le circostanze della vostra vita - il vostro aspetto, le vostre origini, la vostra condizione economica e familiare - non sono una scusa per trascurare i compiti o avere un atteggiamento negativo. Non ci sono scuse per rispondere male al proprio insegnante, o saltare le lezioni, o smettere di andare a scuola. Non c’è scusa per chi non ci prova.

Il vostro obiettivo può essere molto semplice: fare tutti i compiti, fare attenzione a lezione o leggere ogni giorno qualche pagina di un libro. Potreste decidere di intraprendere qualche attività extracurricolare o fare del volontariato. Potreste decidere di difendere i ragazzi che vengono presi in giro o che sono vittime di atti di bullismo per via del loro aspetto o delle loro origini perché, come me, credete che tutti i bambini abbiano diritto a un ambiente sicuro per studiare e imparare. Potreste decidere di avere più cura di voi stessi per rendere di più e imparare meglio.

E in tutto questo, spero vi laviate molto le mani e ve ne stiate a casa se non state bene in modo da evitare il più possibile il contagio dell’influenza quest’inverno. Qualunque cosa facciate voglio che vi ci dedichiate. So che a volte la tv vi dà l’impressione di poter diventare ricchi e famosi senza dover davvero lavorare, diventando una star del basket o un rapper, o protagonista di un reality. Ma è poco probabile, la verità è che il successo è duro da conquistare.

Non vi piacerà tutto quello che studiate. Non farete amicizia con tutti i professori. Non tutti i compiti vi sembreranno così fondamentali. E non avrete necessariamente successo al primo tentativo. È giusto così. Alcune tra le persone di maggior successo nel mondo hanno collezionato i più enormi fallimenti. Il primo Harry Potter di JK Rowling è stato rifiutato dodici volte prima di essere finalmente pubblicato. Michael Jordan fu espulso dalla squadra di basket alle superiori e perse centinaia di incontri e mancò migliaia di canestri durante la sua carriera. Ma una volta disse: «Ho fallito più e più volte nella mia vita. Ecco perché ce l’ho fatta».

Nessuno è nato capace di fare le cose, si impara sgobbando. Non sei mai un grande atleta la prima volta che tenti un nuovo sport. Non azzecchi mai ogni nota la prima volta che canti una canzone. Occorre fare esercizio. Con la scuola è lo stesso. Può capitare di dover fare e rifare un esercizio di matematica prima di risolverlo o di dover leggere e rileggere qualcosa prima di capirlo, o dover scrivere e riscrivere qualcosa prima che vada bene. La storia dell’America non è stata fatta da gente che ha lasciato perdere quando il gioco si faceva duro ma da chi è andato avanti, ci ha provato di nuovo e con più impegno e ha amato troppo il proprio Paese per fare qualcosa di meno che il proprio meglio.

È la storia degli studenti che sedevano ai vostri posti 250 anni fa e fecero una rivoluzione per fondare questa nazione. Di quelli che sedevano al vostro posto 75 anni fa e superarono la Depressione e vinsero una guerra mondiale. Che combatterono per i diritti civili e mandarono un uomo sulla Luna. Di quelli che sedevano al vostro posto 20 anni fa e hanno creato Google, Twitter e Facebook cambiando il modo di comunicare.

Così, vi chiedo, quale sarà il vostro contributo? Quali problemi risolverete? Quali scoperte farete? Il presidente che verrà di qui a 20, 50 o 100 anni cosa dirà che avrete fatto per questo Paese? Le vostre famiglie, i vostri insegnanti e io stiamo facendo di tutto per fare sì che voi abbiate l’istruzione necessaria per saper rispondere a queste domande. Mi sto dando da fare per garantirvi classi e libri e accessori e computer, tutto il necessario al vostro apprendimento. Ma anche voi dovete fare la vostra parte. Quindi da voi quest’anno mi aspetto serietà. Mi aspetto il massimo dell’impegno in qualsiasi cosa facciate. Mi aspetto grandi cose, da ognuno di voi. Quindi non deludeteci, non deludete le vostre famiglie, il vostro Paese e voi stessi. Rendeteci orgogliosi di voi. So che potete farlo.

Questo è un estratto del discorso di saluto che il Presidente degli Stati Uniti ha rivolto ai giovani americani.
Pubblicato dal quotidiano La Stampa

venerdì 4 settembre 2009

La solidarietà è un dovere morale

Siamo sconcertati dinanzi alle conseguenze devastanti della politica scolastica portata avanti con estrema durezza dal ministro "Gelmini-Tremonti". Non possiamo rimanere inerti di fronte al dramma di migliaia di precari, in tutta Italia e più che al Nord nel Sud, nella nostra regione, nella nostra provincia. Solo in Campania i tagli finanziari mettono in mezzo alla strada oltre ottomila persone, delle quali seimila sono docenti. Si tratta di persone che si vedono preclusa dall'oggi al domani ogni possibilità di lavoro, di guadagno strettamente connesso ai più elementari bisogni di sussistenza. NOI, che operiamo nella scuola, abbiamo il preciso dovere di dimostrare la nostra solidarietà ai colleghi più sfortunati! Accolgo, pertanto, la proposta di un collega particolarmente sensibile di farsi portavoce, in sede di Collegio dei docenti, di un'istanza che conceda ai precari che ne facciano richiesta di effettuare le ore di recupero previste nelle varie discipline, previa formale rinuncia dei docenti interni, come segnale concreto di solidarietà.

venerdì 28 agosto 2009

Sui figli

di Kahlil Gibran


"...E una donna che reggeva un bambino al seno disse:
Parlaci dei Figli.
E lui disse:
I vostri figli non sono figli vostri.
Sono figli e figlie della sete che la vita ha di se stessa.
Essi vengono attraverso di voi, ma non da voi, e benché vivano con voi non vi appartengono.
Potete donare loro amore ma non i vostri pensieri: essi hanno i loro pensieri.
Potete offrire rifugio ai loro corpi ma non alle loro anime: esse abitano la casa del domani, che non vi sarà concesso visitare neppure in sogno.
Potete tentare di essere simili a loro, ma non farli simili a voi: la vita procede e non s'attarda sul passato.
Voi siete gli archi da cui i figli, come frecce vive, sono scoccate in avanti.
L'Arciere vede il bersaglio sul sentiero dell'infinito, e vi tende con forza affinché le sue frecce vadano rapide e lontane.
Affidatevi con gioia alla mano dell'Arciere;
poiché come ama il volo della freccia così ama la fermezza dell'arco".

venerdì 21 agosto 2009

Girovagando per antichi borghi

Non amo il folklore in modo particolare, non perché voglia snobbare la cultura del popolo, anzi!... Mi piacerebbe che le feste paesane, le sagre, le leggende, le usanze di ogni paese si rianimassero di uno spirito nuovo, sincero e non finalizzato alla promozione forzata del proprio territorio. Dico questo, perché ovunque, nel mese di agosto, si percepisce una strisciante competizione fra paesi, dove, a proposito di sagre e di feste, chi più ne ha più ne mette. Alcuni paesi addirittura certe tradizioni se le sono inventate di sana pianta, costruendo con sapiente maestria grandi scenografie, vere e proprie rappresentazioni teatrali nelle piazze e nelle strade... tutto a fin di bene, s'intende, per attrarre turisti e visitatori in luoghi desolati per il resto dell'anno!
A me è capitato, tuttavia, per una mera casualità, di visitare un luogo, ma soprattutto di conoscere un'usanza popolare, una tradizione veramente insolita. A Campagna, un'antica cittadina in provincia di Salerno, si ripete da anni la splendida festa della "Chiena" nel corso della quale l'intero centro abitato viene fatto inondare dalle acque del fiume Tenza sovrastante deviandone volutamente il corso. E' indescrivibile ciò che accade: la gente scende tutta in strada a piedi nudi nell'acqua, giocando con incredibile allegria a buttarsi addosso reciprocamente secchiate di acqua. Se ho ben capito, si celebra in questa occasione l'acqua come fonte di prosperità e di ricchezza per questo territorio.












venerdì 31 luglio 2009

La scuola è classista

In uno scenario di appiattimento generale in cui l'insegnamento è ridotto ai minimi termini, chi ne paga le spese sono al solito i ragazzi meno abbienti, ed essi ne sono sempre più consapevoli.  Forse anche per questo sono disaffezionati allo studio.  Mi  ripetono, tutte le volte che tento di sublimare l'istruzione, la cultura, la scuola: "Tanto lo sappiamo che andranno avanti solo i raccomandati!" Questo è l'insegnamento che dà la scuola? Su questi fondamenti basa la sua azione di formazione della persona e delle norme che regolano la sua condotta?
 Sembrerebbe assurdo, ma   la dissoluzione delle regole  sta minando le basi della società civile, soprattutto nel Sud, dove di prepotenza, già da tempo, sono entrate  anche  nella scuola certe "pratiche" tipiche dei centri politico-amministrativi.
E' indubbio che a risolvere la  questione morale di cui si dibatte in ambito politico,  è chiamata in primo luogo  la scuola, deve essere questa la prorità assoluta,  se vogliamo migliorare la futura classe dirigente!  E allora, da dove cominciare?  I mille  pezzi di cui si si compone il  puzzle del sistema scuola  vanno risistemati, pazientemente, ma soprattutto razionalmente, per ottenere alla fine un 'idea quanto meno chiara sul profilo del nuovo cittadino di domani.  Vogliamo formare un cittadino attivo, consapevole , in grado di dare un contributo alla crescita  di una società sana, oppure la scuola deve diventare una fabbrica dell'ignoranza e della protervia? Insomma, la scuola dove sta andando? Quali nuovi valori deve trasmettere? Viviamo in un tempo caratterizzato da scetticismo, disillusione, alienazione: dove stiamo andando? La risposta a questo non ha niente a che vedere con leggi, riforme e riforme delle riforme, con le responsabilità degli insegnanti, con la dimensione delle classi, con gli altri mille problemi della conduzione della scuola!  Se il sistema scolastico è arretrato, deformato e persino corrotto, perché inficiato dalle gravi colpe di un sistema politico sostanzialmente immorale, ebbene, io credo che in ultima analisi il nocciolo di tutta la questione ci riporta ad un problema di ordine morale; tutto il resto, e cioè tutto il dibattito in corso sul modello educativo su cui dovrà fondarsi la nuova scuola, è secondario. Secondario è persino il problema del ruolo che le nuove tecnologie dovrebbero avere nella scuola, perché è chiaro che il computer non è quella sorta di panacea in virtù della quale vengono risolti tutti i problemi dell'apprendimento, anzi si è ormai consapevoli che quest'aggiunta imponente alla cultura non fa che aggravare la situazione. Né oggi né mai prima le scuole hanno dato ai ragazzi solo delle informazioni, ma piuttosto gli strumenti per acquisire una coscienza critica, una capacità di discernimento; l'intelligenza umana non potrà mai misurarsi dalla rapidità di una risposta, nè dalla quantità delle informazioni. "Il sommo della scienza", diceva F. De Sanctis, "può essere spesso il punto più basso della vita di un popolo. La scienza corrisponde alla maturità nella vita dei popoli, e dopo la maturità viene la decadenza e la morte. La scienza cresce a spese della vita." Non intendo ovviamente vanificare quanto "le magnifiche sorti e progressive" hanno realizzato in ogni campo, ma il problema dell'educazione non è stato ancora risolto e, anzi, mai come oggi esso si trova in un ginepraio di possibili soluzioni, tutte valide e tutte improponibili nello stesso tempo...
 Allora, cominciamo una buona volta dai problemi concreti: il sistema e la pratica della valutazione nella scuola italiana necessitano quantomeno di una revisione, per non parlare della competenza professionale dei docenti. Cito le parole di Vertecchi: "La valutazione coinvolge fortemente l'affettività degli allievi, determinando in buona misura la qualità dei loro atteggiamenti nei confronti della scuola".  Personalmente la considero il momento più importante di tutta l'azione educativa. Ogni qualvolta devo esprimere la mia valutazione con un voto, provo una forte sensazione di disagio, lo stesso che provavo ai tempi del liceo, quando percepivo che mi si faceva un'ingiustizia. Per quel che mi riguarda,  non valuto soltanto le conoscenze specifiche delle mie discipline (le nozioni), poco m'importa se il ragazzo non conosce la vita e le opere di un autore, se non ricorda la battaglia di Salamina o il fiume più lungo del Canada, io valuto i progressi nello sviluppo della sua personalità, i suoi livelli di strutturazione mentale, i livelli di espressione e comunicazione, di conoscenza scientifica e di socializzazione, di ragionamento, di creatività, conseguenti alle modifiche della sua situazione di partenza. Non è un'impresa facile, lo ammetto, una valutazione attenta e critica richiede una maggiore frequenza di verifiche e quindi un maggior carico di lavoro per la produzione di materiale e di strumenti vari, da inventare ogni volta. Sarebbe d'uopo pertanto compensare adeguatamente i docenti impegnati nel difficile compito della valutazione mediante l'uso di strumenti obbligatori, come le prove scritte. Insisto col dire che la valutazione è l'aspetto fondamentale della attività didattica, é la valutazione seria e senza pregiudizi che assicura l'eguaglianza nelle opportunità.  

mercoledì 22 luglio 2009

Il peso della saggezza

"Capita alle persone veramente sapienti quello che capita alle spighe di grano:
si levano e alzano la testa dritta finché sono vuote, ma quando sono piene di chicchi cominciano a umiliarsi e ad abbassare il capo".

Michel de Montaigne

giovedì 16 luglio 2009

Opinioni a confronto

Il 29 giugno scorso è apparso sul Corriere della sera un articolo del presidente della Fondazione Agnelli sul problema della retribuzione degli insegnanti; lo riporto integralmente aggiungendo una mia risposta.

RETRIBUZIONI E QUALITÀ DELL’INSEGNAMENTO
Gli stipendi degli insegnanti?
Da cambiare
ANDREA GAVOSTO



Le retribuzioni degli insegnanti italia­ni seguono un andamento sostanzial­mente «piatto», senza eguali nel re­sto del pubblico impiego: sono, infatti, an­corate in modo rigido ed esclusivo all’anzia­nità di servizio. Ai docenti che producono risultati educativi migliori non viene ricono­sciuto alcun premio. Che così non si favorisca il miglioramen­to della qualità della scuola è ormai convin­zione condivisa. È quindi giunto il momen­to di mettere mano ai criteri di retribuzione degli insegnanti. Di recente ripreso anche dall’Ocse, questo tema è al centro del Rap­porto sulla scuola in Italia della Fondazione Agnelli. A quali principi ispirarsi per fare cresce­re gli stipendi dei docenti in modo non in­differenziato? Uno ovvio, ma disatteso in Italia, è dare più soldi a chi, oltre al solo in­segnamento, si assume responsabilità di ge­stione quotidiana di una scuola o il coordi­namento di specifici progetti. Oggi ciò av­viene in misura irrisoria. Occorre, poi, differenziare le remunera­zioni degli insegnanti per tenere conto del­le differenze territoriali nel costo della vita, delle alternative offerte dal mercato del la­voro e del differente fabbisogno di docenti per diverse materie. Oggi si comincia ad av­vertire una carenza di docenti: per ben 1.500 delle circa 8.000 graduatorie i posti di­sponibili superano o stanno per superare gli insegnanti alla ricerca di un’occupazio­ne. La tendenza è più marcata nel Nord, e soprattutto nelle discipline matematiche, scientifiche e tecniche: la difficoltà a incro­ciare la domanda e l’offerta nella scuola sta diventando sempre più drammatica. La ra­gione è semplice: un giovane laureato in materie scientifiche che lavora fuori della scuola guadagna in media il 30% in più di uno che insegna. La scuola per questi laure­ati non è attraente e, in molti casi, deve ac­contentarsi di chi non ha trovato occupazio­ne altrove. Ma non sono proprio gli apprendimenti matematico-scientifici quelli che in Italia presentano le lacune più gravi e vanno per­ciò rafforzati? Solo adeguando le loro pro­spettive di guadagno, sarà possibile convin­cere i migliori laureati in queste discipline a dedicarsi all’insegnamento. Infine, si dice, va premiato il merito degli insegnanti. Il principio è corretto, ma gene­rico e si presta a un eccesso di retorica. Dif­ferenziare in base ai risultati degli studenti in termini di conoscenze e competenze ap­pare un criterio meglio definito. Si premino allora gli insegnanti di quelle scuole dove i ragazzi ottengono risultati mi­gliori. Si badi: non necessariamente i risul­tati migliori in assoluto; così, infatti, si fini­rebbe per favorire le scuole — tipicamente i licei — frequentate da chi è avvantaggiato dalla provenienza sociale e dal maggior so­stegno della famiglia. Occorre invece valuta­re e premiare i progressi compiuti dai ragaz­zi tenendo conto del loro livello all’ingresso e del loro retroterra economico e culturale, il cosiddetto «valore aggiunto» della singo­la scuola. Così si valorizzerebbe il lavoro de­gli insegnanti anche nelle situazioni meno favorevoli, contribuendo a elevare la quali­tà media del sistema scolastico e ad atte­nuarne gli insostenibili divari territoriali. A chi spetta il premio retributivo assegna­to in base al «valore aggiunto»? Al singolo insegnante o a tutti i docenti di una scuola che realizza buoni e misurabili progressi? Noi crediamo che il progresso scolastico sia innanzitutto frutto di un lavoro di squa­dra. Perciò vanno premiati tutti gli inse­gnanti di quella scuola. Pagare di più gli insegnanti migliori e quelli di cui c’è maggior bisogno — incenti­vando l’ingresso di nuove leve — è una con­dizione necessaria per un progetto di mi­glioramento della qualità della scuola soste­nibile nel tempo.

Direttore Fondazione Giovanni Agnelli
29 giugno 2009






Da quel che leggo, il signor Gavosto non sa nulla di come va la scuola pubblica in Italia! 
Dare più soldi a chi, oltre all'insegnamento, si occupa di gestione e di coordinamento di progetti?!... Ma stiamo scherzando?!
 Innanzitutto, chi si occupa di gestione non fa insegnamento, non può, non ha né il tempo né le energie per insegnare: le due cose sono alquanto incompatibili.
In secondo luogo, solitamente, i collaboratori del preside sono scelti da lui medesimo sulla base di un rapporto di amicizia e di fiducia, qualità che nulla hanno a che fare con il merito professionale... Purtroppo, chi lavora con passione e dedizione, lo fa nel chiuso delle aule e nessuno si degna di riconoscergli alcun merito!

domenica 12 luglio 2009

Rigore, etica e responsabilità: assenti nella scuola

E' tempo di esami. A quel che si sente in giro, ma anche sulla base della mia personale esperienza, i risultati non sono proprio soddisfacenti; si profilano giudizi e voti che lasciano l'amaro in bocca, un pò in tutte le scuole...
L'esame di maturità, che quest'anno sembrava risentire del clima di maggiore serietà, annunciato dal ministro Gelmini, ha messo a nudo ancora una volta tutte le falle del sistema scuola. In molti casi si è perpetuato un rito che sa molto di farsa, con tanto di voti alterati e falsati, per effetto delle solite "pressioni", dirette o indirette, da parte di quelli che conoscono bene tutte le strategie per rimanere a galla. Siamo alle solite! Mentre gli insegnanti seri annaspano nei torbidi grovigli dell'ignoranza dei propri alunni, di quelli che la scuola si trascina come pesi morti per anni, altri, arrivano gaudenti all'esame, con in tasca la soluzione a tutti i quesiti da distribuire per salvare la faccia. Le parole serietà, responsabilità, moralità risultano assenti nella scuola italiana.

... Ma vogliamo almeno provare ad affrontare o quantomeno a discutere qualche problema onde evitare un ulteriore degrado culturale causato proprio dalla scuola?

Uno dei tanti problemi di oggi nella scuola, e penso soprattutto ai licei cui è o dovrebbe essere demandata la formazione della futura classe dirigente, è la mancata individuazione delle reali capacità e possibilità degli alunni, i quali vengono sempre più spesso indirizzati ad un tipo di educazione del tutto inadeguato a loro. Se la maggioranza degli studenti si riversa nei licei perché questo tipo di scuola è l’unico in grado di dare quantomeno una parvenza di formazione, questi, a loro volta, si vedono costretti ad attuare un percorso formativo adatto a tutti e pertanto facilitato e svuotato di reali conoscenze e competenze. Ma questo in generale è quanto si verifica in tutti gli indirizzi di studio e in tutti gli ordini di scuola. Oggi si assiste ad una facilitazione del cursus scolastico e all’estensione dell’obbligatorietà senza per questo garantire all’interno di un processo effettivamente formativo l’acquisizione di competenze e l’individuazione di sbocchi professionali, sia attraverso la continuità nell’università sia con modalità alternative. Misurare accuratamente le capacità di ciascun individuo e metterlo in condizione, mediante un'istruzione adatta, di assolvere a quelle funzioni per le quali si sente portato per disposizione naturale, è di per sé un passo avanti nella direzione giusta. L'educazione perfetta, ripeto le parole di Aldous Huxley, è quella che alleva ogni essere umano perché occupi precisamente il posto che deve occupare nella gerarchia sociale, senza distruggere, nel processo educativo, la sua individualità. Non vorrei ripetermi, ma oggi stiamo andando nella direzione esattamente opposta. L'istruzione di massa, nella sua pretesa egalitaria di uniformare gli intelletti rischia di appiattire la cultura inaridendo la ricerca, l'individualità dei giovani che si concedono senza riflettere ad un sistema omologante, che indulge alla passività, all'incapacità di autogestirsi e alla violenza psicologica. Vedo questa realtà tutti i giorni nella scuola dove insegno. In tutte le classi di un liceo solo un numero esiguo di allievi è in grado di rispondere positivamente agli stimoli culturali loro offerti; la stragrande maggioranza "bivacca" nella scuola non riuscendo neanche a capire perché si trova in quel preciso contesto. Quando parlo di senso morale, di responsabilità che noi educatori dovremmo avere, mi riferisco anche alla nostra capacità di valutare gli allievi, di stabilire con esattezza quanti e quali sono gli alunni dotati di capacità adeguate al tipo di scuola che frequentano. Altrimenti, che senso hanno i diversi indirizzi di studio? Dico forse una verità scontata, ma se la formazione della scuola secondaria è differenziata rispetto ai vari indirizzi, come mai alla fine del corso di studi i ragazzi affollano le medesime facoltà universitarie? E' normale che un ragazzo che abbia frequentato un istituto tecnico per geometri si ritrovi poi a frequentare la facoltà di lettere, ad ottenerne la laurea e anche semmai, in seguito, ad insegnare? Io francamente ritengo di no, senza nulla togliere al sacrosanto diritto di ciascuno alla formazione e all’ istruzione che ritiene giusta per sé. Vedo in ciò un grande pericolo, per il disordine e l'anarchia che nella scuola stanno dilagando, per il degrado dell'offerta educativa camuffato da una retorica aberrante. Vorrei precisare: io non intendo distinguere tra scuole onorate e scuole che non lo sono, anzi ritengo che la scuola superiore non dovrebbe essere indirizzata a questa o a quella professione, ma a tutte indistintamente, perché, a dirla con De Sanctis, “E’ un pensiero di lesa umanità voler dividere gli uomini in più e meno educati”, ma questo discorso attiene propriamente all’educazione, all’istruzione civile, per intenderci, e non all’acquisizione di specifiche competenze. Lo stesso De Sanctis in un discorso pronunciato alla Camera il 30 maggio 1878, proprio riguardo a questo avrebbe detto: “Bisogna usare una giusta severità negli esami di ammissione e in quelli di promozione. Perché, cosa volete? Quando il giovane trova intoppi al principio,voi gli potete ben dire: “Amico, non sei nato a questo, fà altra cosa.” La scuola in molti casi consente e legittima la crescente indistinzione fra lecito ed illecito, con attacchi continui all’autorità della norma. La scuola non è più il luogo della formazione delle coscienze, né in essa si stabilisce più quella naturale e spontanea gerarchia onestamente accettata con dignità da tutti, come presentimento di una società in cui i cittadini mettano in gioco tutte le potenzialità ed energie, ciascuno secondo il compito che gli è stato affidato. Mi piace riportare le parole del grande critico e storico Francesco De Sanctis" La vita è una missione determinata dalle forze che ciascuno ha sortito da natura, e che ha il dovere di svolgere secondo i grandi fini dell'umanità: la scienza, la giustizia, l'arte. La dignità è uno sforzo verso il meglio, che nobilita la persona." Così, ai giovani nella scuola diceva:" Quando vi sarete avvezzi a scrivere quello che avete prima sentito, preparatevi a scrivere con verità e naturalezza, serbando inviolata in voi l'umana dignità; sia questo il principio e l'insegnamento della scuola"
... Quel che invece si registra nella nostra realtà è una quasi totale assenza della disciplina, intendendo con questo termine non quel tipo di disciplina rigorosa, sistematica che produce una mentalità militaristica, bensì quella disciplina come valore interiore che abitua ad essere liberi e ad autogovernarsi. Quando dico che la scuola molto spesso indulge alla violazione delle norme, mi riferisco anche alle semplici regole di comportamento, che vanno dalle continue assenze alle richieste sempre più pressanti di uscite anticipate, per non parlare poi della reale partecipazione degli alunni alle varie attività didattiche. Si registra nelle varie realtà scolastiche una generale disaffezione per lo studio, ma anche per le più semplici regole di un buon comportamento. Insomma, in che modo noi docenti dobbiamo esplicare la nostra funzione educativa? Se imponiamo un modello d'insegnamento improntato alla serietà, nel rispetto delle regole, veniamo tacciati di eccessiva severità e di non apertura nei confronti dei ragazzi, viceversa se diventiamo "amici" e confidenti nonché complici del loro riprovevole comportamento, non saremo mai contestati. Voglio riportare una mia esperienza personale: mi è capitato di essere contestata dagli alunni di una classe perché durante i compiti in classe facevo una sorveglianza troppo attenta impedendo loro il rituale passaggio di biglietti e sbirciatine sui libri di testo e sui temari. In quell'occasione fui richiamata dal preside il quale tenne a precisarmi che non è un reato copiare il compito da un compagno più bravo e che dovevo instaurare un clima di collaborazione e di maggiore distensione durante le prove di verifica. Io vorrei a questo proposito dire qualcosa di più inerente alla sfera dell'etica nel lavoro scolastico, e i momenti di verifica e di valutazione sono sicuramente i momenti più propriamente educativi della programmazione didattica. Ebbene, le trame della maglia educativa si allentano e si spezzano proprio in questi punti. In un contesto in cui si annullano le differenze di ogni tipo, in cui non si stabilisce nessuna gerarchia e soprattutto non viene incentivato il merito né dei discenti né dei docenti, quale educazione può mai esistere? La scuola, che dovrebbe essere l'unica e la più diretta portatrice dei veri valori della vita, smentisce se stessa mortificando le qualità migliori; in essa trionfa la mediocrità fatta sistema, ufficializzata e quasi consacrata dalle autorità di turno; in essa si coltiva non già l'amore per la cultura ma l'attaccamento a "quel pezzo di carta" con cui vantare conoscenze e competenze mai acquisite. L'obliterazione dei valori sta prendendo piede nella scuola e si concretizza nell'assenza di un qualsivoglia sentimento di stima o di rispetto nei riguardi della scuola e degli insegnanti, soprattutto degli insegnanti, piegati dalla logica del sistema, privati della dignità intellettuale, ridotti ai più bassi livelli del pubblico impiego. I giovani intanto rischiano di essere risucchiati dal vortice della pubblicità, dall'unico imperativo della Utilità economica verso cui si mostrano sempre più indulgenti, inconsapevoli di perdere l'unica opportunità che la vita gli offre: impossessarsi degli strumenti di conoscenza e insieme di controllo del divenire della loro civiltà.

Da Rossana Cetta, La ginnastica dell'anima , Ed. Delta 3, 2008, Grottaminarda (AV)

lunedì 22 giugno 2009

La follia della politica italiana

...Adesso si capisce l'importanza di porre un limite all'uso delle intercettazioni telefoniche! Mai come adesso sono servite! Attivate per una "normale" inchiesta sulla malasanità in Puglia, gli inquirenti sono incappati in storie molto private, molto piccanti, molto deplorevoli... ed anche pubbliche! Si parla di induzione alla prostituzione, reato commesso da un certo Tarantini, che avrebbe procurato belle donne a pagamento per allietare le feste a Palazzo Grazioli di Silvio Berlusconi. L'avvocato del premier, Niccolò Ghedini, ha incautamente definito il premier "utilizzatore finale" del corpo del reato e perciò innocente, fino a prova contraria. Ma io dico, se l'etica civile è andata a farsi friggere, della coscienza morale e individuale che ne è stato? E le donne che sono in parlamento, perchè tacciono? perchè non s'indignano? Siamo in un clima di follia che mi ricorda molto da vicino le vicende più truculenti nonché succulenti degli ultimi imperatori romani, quelli della decadenza. Macché! A pensarci bene, l'ambientazione delle cene a casa di Berlusconi ricorda, anzi ricalca, La cena di Trimalchione nel Satyricon di Petronio:" In his eramus lautitiis, cum ipse Trimalchio ad symphoniam allatus est..."

sabato 13 giugno 2009

Ai miei "ex alunni"


Cari ragazzi, mi è piaciuta la lettera che avete scritto a memoria perenne della fine di un viaggio che insieme abbiamo fatto. Bravi! Mi è piaciuta la metafora del viaggio su un treno con tante fermate dove alcuni sono scesi per non salire mai più... Mi è piaciuto anche lo slancio di sincerità quando avete dichiarato che talvolta ci avete odiato, qualche volta anche amato. E' giusto, più che giusto che sia così! Purché ci ricordiate, va bene tutto, e non perché egoisticamente vogliamo che ci ricordiate, ma perché se conserverete la memoria di questi anni in cui assaporate la vita (vi auguro di assaporarla per sempre!) in tutta la sua pienezza, avrete di che gioire nell'età adulta. Naturalmente, se resteremo anche noi,i vostri insegnanti del liceo, nei vostri ricordi, sarà perché, nel bene o nel male ce lo siamo meritato..."Ai posteri l'ardua sentenza!"

Il nostro viaggio insieme finisce qui: per voi questa è solo la prima fermata, proseguirete d'ora in poi da soli. L'augurio che possiamo farvi è di realizzarvi pienamente nella vita, come uomini e donne attivamente partecipi della vita civile, consapevoli del contributo ricco di valori positivi che ognuno di voi può dare al miglioramento del mondo...
Per il momento, per rendervi più fiduciosi del vostro futuro, un pratico consiglio: non precipitate nella vuota dimensione della contemporaneità attraverso Internet rimanendo prigionieri senza più vedere le vie di uscita del passato e del futuro. Non passate il vostro tempo a cercare affannosamente il consenso; non vi abbandonate a questa imperante e sconcertante mancanza di rigore, a questa clownerie che non prende nulla sul serio! Le regole servono per vivere meglio. Affidatevi alla cultura che, sebbene non sia una madre amorosa, è pur sempre un baluardo contro la seduzione del nulla!
"Res severa est verum gaudium!"

giovedì 11 giugno 2009

CRESCENDO IMPARI

Crescendo impari che la felicità non e' quella delle grandi cose.
Non e' quella che si insegue a vent'anni, quando, come gladiatori si combatte il mondo per uscirne vittoriosi...
La felicità non e' quella che affannosamente si insegue credendo che l'amore sia tutto o niente,...
non e' quella delle emozioni forti che fanno il "botto" e che esplodono fuori con tuoni spettacolari...
la felicità non e' quella di grattacieli da scalare, di sfide da vincere mettendosi continuamente alla prova.
Crescendo impari che la felicità e' fatta di cose piccole ma preziose....
...e impari che il profumo del caffe' al mattino e' un piccolo rituale di felicità, che bastano le note di una canzone, le sensazioni di un libro dai colori che scaldano il cuore, che bastano gli aromi di una cucina, la poesia dei pittori della felicità, che basta il muso del tuo gatto o del tuo cane per sentire una felicità lieve.
E impari che la felicità e' fatta di emozioni in punta di piedi, di piccole esplosioni che in sordina allargano il cuore, che le stelle ti possono commuovere e il sole far brillare gli occhi,
e impari che un campo di girasoli sa illuminarti il volto, che il profumo della primavera ti sveglia dall'inverno, e che sederti a leggere all'ombra di un albero rilassa e libera i pensieri.

E impari che l'amore e' fatto di sensazioni delicate, di piccole scintille allo stomaco, di presenze vicine anche se lontane, e impari che il tempo si dilata e che quei 5 minuti sono preziosi e lunghi più di tante ore,
e impari che basta chiudere gli occhi, accendere i sensi, sfornellare in cucina, leggere una poesia, scrivere su un libro o guardare una foto per annullare il tempo e le distanze ed essere con chi ami.

E impari che sentire una voce al telefono, ricevere un messaggio inaspettato, sono piccolo attimi felici.
E impari ad avere, nel cassetto e nel cuore, sogni piccoli ma preziosi.

E impari che tenere in braccio un bimbo e' una deliziosa felicità.
E impari che i regali più grandi sono quelli che parlano delle persone che ami...
E impari che c'e' felicità anche in quella urgenza di scrivere su un foglio i tuoi pensieri, che c'e' qualcosa di amaramente felice anche nella malinconia.

E impari che nonostante le tue difese,
nonostante il tuo volere o il tuo destino,
in ogni gabbiano che vola c'e' nel cuore un piccolo-grande
Jonathan Livingston.
E impari quanto sia bella e grandiosa la semplicità.

mercoledì 10 giugno 2009

Il nuovo sogno americano

Obama: quando la Politica tocca il cuore
By Sandra Amurri
“Salaam aleikum, sono felice di portarvi il saluto di pace delle comunità mussulmane del mio Paese”

Inizia così il tanto atteso discorso di Barack Hussein Obama, all’Univeristà del Cairo . Parole che si toccano. Parole, che danno, più di mille contratti sottoscritti, la certezza che si tramuteranno in concretezza di azioni, di scelte. Parole, che provengono dal cuore e tradotte dalla ragione che arrivano dritte al cuore di donne e uomini. Parole di cui il Mondo ha bisogno come il pane per vivere.

“ Il rapporto tra Islam e Ocidente ha alle spalle secoli di coesistenza e cooperazione, a anche di conflitto e di guerre di religione. In tempi più recenti, questa tensione è stata alimentata dal colonialismo, che ha negato diritti e opportunità a molti mussulmani…Io sono qui oggi per cercare di dare il via a un nuovo inizio tra gli Stati Uniti e i mussulmani di tutto il mondo.In parte le mie convinzioni si basano sulla mia stessa esperienza:sono cristiano, ma mio padre era originario di una famiglia del Kenia, della quale acecano fatto parte generazioni intere di mussulmani.Da bambino ho trascorso svariati anni in Indonesia, e ascoltavo al sorgere del Sole e al calare delle tenebre la chiamat dell’azaan. Da giovane ho prestato servizio nelle comunità di Cicago presso le quali molti ritrovavano dignità e pace nella loro fede musulmana.Ho studiato Storia e ho imparato la civiltà sia debitrice nei confronti dell’islam.Fu l’islam infatti a tenere alta la fiaccola del sapere per molti secoli, preparando la strada al Rinascimento europeo e all’Illuminismo. Fu l’innovazione presso le comunità musulmane a sviluppare scienze come l’algebra, la bussola magnetica, vari strumenti per la navigazione; a far progredire la maestria nello scrivere e nella stampa; la nostra comprensione di come si diffondono le malattie e come è possibile la curarle. La cultura islamica ci ha regalato maestosi archi e cuspidi elevate, poesia immortale, calligrafia elegante e luoghi di meditazione pacifica. Per tutto il corso della sua storia l’Islam ha dimostrato con le parole e le azioni la possibilità di praticare la tolleranza religiosa e l’eguaglianza tra le razze…..Ritengo che rientri negli obblighi e nelle mie responsabilità di presidente degli Stati Uniti lottare contro qualsiasi stereotipo negativo dell’Islam, ovunque esso possa affiorare. Ma questo medesimo principio deve applicarsi alla percezione dell’America da parte dei musulmani. …L’11 settembre è stato un trauma immenso per il ostro Paese. La paura e la rabbia che quegli attentati hanno scatenato sono state comprensibili, ma in alcuni casi ci hanno spinto ad agire in modo contrario ai nostri stessi ideali. Ci stiamo adoperando concretamente per cambiare linea d’azione.. Ho proibito personalmente e inequivocabilmente il ricorso alla tortura….l’America si difenderà rispettando la sovranità altrui e la legalità delle altre nazioni….Dobbiamo discutere della situazione tra israeliani e palestinesi, palestinesi e mondo arabo.. Sono bene noti i i soldi rapporti che legano Israele e Stati Uniti che ha radici in legami culturali che risalgono indietro nel tempo, nel riconoscimento che l’aspirazione a una patria ebraica è legittimo e ha anch’esso radici in una storia tragica, innegabile…..nel mondo il popolo ebraico è stato perseguitato per secoli e l’antisemitismo in Europa è culminato nell’Olocausto, uno sterminio senza precedenti….Dall’altra parte è innegabile che il popolo palestinese ha sofferto anch’esso nel tentativo di avere una propria patria. Da oltre 60 anni affronta tutto ciò che di doloroso è connesso all’essere sfollati. Giorno dopo giorno i palestinesi affrontano umiliazioni piccole e grandi che sempre si accompagnano all’occupazione di un territorio. Sia, dunque, chiara una cosa: la situazione per il popolo palestinese è insostenibile. L’America non volterà le spalle alla legittima aspirazione del popolo palestinese alla dignità alle apri opportunità, a uno Stato proprio. Se insisteremo a voler considerare questo conflitto da una parte piuttosto che dall’altra, rimarremo ciechi e non riusciremo a vedere la verità: l’unica soluzione possibile per le aspirazioni di entrambe le parti è quella dei due Stati, dove israeliani e palestinesi possano vivere in pace e in sicurezza. Noi tutti condividiamo la responsabilità di dover lavorare per il giorno in cui le madri israeliane e palestinesi potranno vedere i loro figli crescere insieme senza paura; in cui la terra Santa delle tre grandi religioni diverrà quel luogo di pace che Dio voleva che fosse; in cui Gerusalemme sarà la casa sicura ed eterna di ebrei, cristiani e mussulmani insieme, la città di pace nella quale tutti i figli di Abramo convivranno come nella storia di Isra, allorchè Mosè, Gesù e Maometto- la pace sia con loro- si riunirono in preghiera”

Barack Hussein Obama

sabato 6 giugno 2009

L'appartenenza

L'appartenenza
non è lo sforzo di un civile stare insieme
non è il conforto di un normale voler bene
l'appartenenza è avere gli altri dentro di sé.

L'appartenenza
non è un insieme casuale di persone
non è il consenso a un'apparente aggregazione
l'appartenenza è avere gli altri dentro di sé.
Uomini uomini del mio passato
che avete la misura del dovere
e il senso collettivo dell'amore
io non pretendo di sembrarvi amico.
Mi piace immaginare la forza
di un culto così antico
e questa strada non sarebbe disperata
se in ogni uomo ci fosse un po' della mia vita.
Ma piano piano il mio destino
é andare sempre più verso me stesso
e non trovar nessuno.

L'appartenenza
non è lo sforzo di un civile stare insieme
non è il conforto di un normale voler bene
l'appartenenza è avere gli altri dentro di sé.
L'appartenenza
è assai di più della salvezza personale
è la speranza di ogni uomo che sta male
e non gli basta esser civile.
È quel vigore che si sente se fai parte di qualcosa
che in sé travolge ogni egoismo personale
con quell'aria più vitale che è davvero contagiosa.
Uomini uomini del mio presente
non mi consola l'abitudine
a questa mia forzata solitudine
io non pretendo il mondo intero
Vorrei soltanto un luogo
un posto più sincero
dove magari un giorno molto presto
io finalmente possa dire questo è il mio posto
Dove rinasca non so come e quando
il senso di uno sforzo collettivo
per ritrovare il mondo.

L'appartenenza
non è un insieme casuale di persone
non è il consenso a un'apparente aggregazione
l'appartenenza è avere gli altri dentro di sé.
L'appartenenza
è un'esigenza che si avverte a poco a poco
si fa più forte alla presenza di un nemico
di un obiettivo o di uno scopo.
E' quella forza che prepara al grande salto decisivo
che ferma i fiumi sposta i monti con lo slancio
di quei magici momenti in cui ti senti ancora vivo.
Sarei certo di cambiare la mia vita
se potessi cominciare a dire noi.
Giorgio Gaber

mercoledì 3 giugno 2009

giovedì 28 maggio 2009

L'arte di fare politica

"... In questi piccoli centri, il mondo comincia e finisce lì. Il campanile è la stella maggiore di quel piccolo cielo. E in quelle gare, in quelle gelosie, in quelli che tu chiami pettegolezzi municipali è tanta passione, quanta è, poniamo, tra Francia e Germania. Ciascuno ha la sua epopea a modo suo. L'epopea del fanciullo è il suo castello di carta. E l'epopea loro è l'assalto al municipio. E tu chiami tutto questo pettegolezzi. E vuoi essere un uomo serio. Ma un uomo serio deve usare ogni industria per tener vive quelle gare, e vellicare le passioni, e incensare le vanità, e suscitare le rivalità tra un paese e l'altro, tra una famiglia e l'altra. L'entusiasmo è fuoco fatuo. Passioni e interessi, questa è la pasta umana, lì è la base dell'operazione".

..."questa è la storia .E tu vuoi fare un romanzo. Il romanzo ti dice che bisogna tenersela con gli onesti, brava gente, ma poltrona e sconclusionata.E se vuoi sentire la storia hai a tenertela coi forti, leoni o volpi che siano, e meno hanno scrupoli, e più sono efficaci, gente che ti sa bene ordire le fila..."

Francesco De Sanctis

martedì 19 maggio 2009

"Aurea" mediocritas


Ardo dal desiderio di spiegare, e la mia massima soddisfazione è prendere qualcosa di ragionevolmente intricato e renderlo chiaro passo dopo passo. È il modo più facile per chiarire le cose a me stesso. »
(Isaac Asimov)

L'idillio scuola-società è finito. La società italiana oramai reputa la scuola un mero servizio burocratico che rilascia diplomi agli utenti con tanto di voti buoni, e poco importa che essi non corrispondano a qualità e a competenze.
Siamo alle prese con il delicatissimo compito della valutazione finale e nella scuola c'è nervosismo tra i ragazzi, la maggior parte dei quali si sta giocando l'ultima carta, l'interrogazione finale, che lo scagiona da tutte le mancanze dell'anno scolastico. C'è nervosismo e stanchezza anche tra i docenti, in special modo tra quelli che correggono i compiti scritti che non finiscono mai e portano via tanto tempo a casa, tra le mura domestiche, ben oltre l'orario scolastico. A proposito, quando e chi farà finalmente una distinzione netta e precisa tra chi lavora tanto e chi invece poco (e male) nella scuola?? Scusatemi, ma non si può più tollerare qusta difformità nel lavoro dell'insegnante! Sarebbe d'uopo compensare adeguatamente i docenti impegnati nel difficile compito della valutazione mediante l'uso di strumenti obbligatori, come i compiti scritti. Senza nulla togliere alle altre discipline, accetto di buon grado che esse nella stessa misura concorrono alla formazione culturale dello studente, ma non è forse vero che la preparazione e la correzione dei compiti di italiano, matematica, latino, inglese richiedono ore e ore di lavoro in pù non retribuito? E' accettabile che uno che insegna due materie scritte in più classi e deve perciò fare svolgere 4 compiti al mese, che richiedono in media un tempo di 4 ore solo per la correzione ed altrettante per la preparazione, debba poi percepire uno stipendio analogo a chi insegna Religione o Educazione fisica? Io francamente ritengo di no, e aggiungo pure che sarebbe necessaria una classificazione,in ordine di importanza, delle discipline, ma quest'idea, convengo, non è popolare...
Torno all'argomento di cui volevo parlare: Questo (il momento della valutazione) è il momento della spannung, della massima tensione di una storia che ha avuto un inizio, uno svolgimento ed una fine. I protagonisti della storia, come in tutte le storie che si rispettano, sono collocati nella vicenda secondo un sistema canonico: l'alunno funge da protagonista, il docente da antagonista o viceversa, dipende dai punti di vista. La famiglia di solito è l'aiutante del protagonista, il preside è invece solitamente l'oppositore (del docente, sia nella veste del protagonista che in quella dell'antagonista). Nello scrutinio finale ogni personaggio si scatena a difesa della propria azione e con tutti i mezzi, comprese le famigerate "pressioni" che entrano in gioco quando meno te le aspetti, alterando soluzioni e prospettive...

...E così, la tensione si scioglie, l'austerità del momento viene meno, tutto il lavoro snervante della valutazione, del giudizio motivato, dello scrupoloso report sull'andamento di un intero anno viene azzerato: tutti promossi! Un altro anno è passato, andiamo avanti!
E' superfluo dire che la valutazione è l'aspetto fondamentale della attività didattica e, soprattutto alle superiori, implica una necessaria quanto doverosa selezione, per non consentire alle persone impreparate di accedere alle professioni o ad un lavoro, a discapito dell'intera collettività??

sabato 9 maggio 2009

Davvero, vivo in tempi bui!
La parola innocente è stolta. Una fronte distesa
vuol dire insensibilità. Chi ride,
la notizia atroce
non l'ha saputa ancora.

Bertolt Brecht

mercoledì 6 maggio 2009

Uno scandalo opportuno

E' così. E' proprio vero, talvolta è un bene che uno scandalo avvenga. Mi riferisco, ovviamente, a tutti gli argomenti di cui si discute intorno alla vicenda del divorzio di Silvio Berlusconi. Si tratta di argomenti noti, ma è sempre un bene che se ne parli. Tanto per cominciare, questo divorzio non è secondo me un fatto solo privato, ma ci riguarda tutti, tutti noi popolo italiano, che dovremmo quanto meno allarmarci, se non indignarci, per le inquietanti dichiarazioni della signora Lario sul conto del marito. Non può lasciarci indifferenti che il numero uno della politica italiana, il Presidente del Consiglio, si diverta con le minorenni e vada alla ricerca delle più belle del reame per farle entrare in politica, con la stessa logica che si usa per il mondo dello spettacolo. Io, e come me tanti, non avrei nulla in contrario se in parlamento ci fossero tante belle donne, belle sì, ma anche capaci, motivate, dotate di una forte carica morale, tenaci nel perseguire gli interessi comuni,in grado veramente di rappresentare le istanze e le esigenze di larga parte del popolo, ma... Ahimé! Ci risulta difficile credere a tutto questo, soprattutto tenuto conto dell'aria che tira nelle televisioni, sui giornali e sulle riviste in Italia, dove campeggiano in primissimo piano le immagini di donne svestite e ridotte a puro oggetto di desiderio e di piacere. Non è vero che abbiamo pregiudizi e preconcetti sulle belle donne in politica, il fatto è che Berlusconi sta facendo del parlamento una specie di sultanato in cui non manca un harem di belle donne. E' innegabile che nella maggior parte dei casi le nuove donne in politica hanno una carriera televisiva alle spalle o comunque segnata dalla notorietà per la loro avvenenza. Berlusconi tenta in ogni modo di rassicurarci presentandoci le sue candidate alle europee come plurilaureate, professioniste, insignite di meriti e quant'altro. Omette però di dire che oggi, nel nostro corrotto Paese, con un minimo di disponibilità di mezzi e di opportune conoscenze, la laurea non è irraggiungibile e che il "pezzo di carta" non si nega più a nessuno! Ma parliamo di morale: Dov'è la morale in tutto questo? Merita il popolo italiano di avere una classe dirigente malata di narcisismo, assetata di potere, portatrice di "valori" che non sono più, manco per niente, la tutela dei diritti, la libertà, la democrazia, ecc. ecc...? Io direi proprio di sì: Ogni paese ha il governo che si merita. Che ci possiamo fare se il popolo italiano non conosce più (o ancora?) i suoi diritti civili, se reclama prepotentemente i suoi spazi di illegalità quotidiana, dal parcheggio abusivo al condono edilizio, dalla raccomandazione per una visita medica o per il rilascio di un certificato, come cent'anni fa? E' normale quindi che esprime una classe dirigente che gli assomigla molto. La crisi che stiamo vivendo, prima ancora che politica, è culturale, e si andrà sempre peggio. Chi può essere ottimista in tutto questo?

domenica 3 maggio 2009

Il Dio denaro

E' di oggi la notizia bomba che Veronica Lario intende chiedere il divorzio da Berlusconi. Urrààà!!... Finalmente, in mezzo ad un mare di nonsenso, anzi di volgarità gratuita e sozzure di ogni sorta,una notizia che ha il sapore di una ripulita generale, di una rivincita del sentimento, dell'onore e della dignità!!
Mi viene da dire: "Brava, Veronica! Dimostra al signor Denaro che la persona con la sua dignità vale molto, molto di più di tutto l'oro luccicante del mondo! Era ora che qualcuno facesse passare un messaggio di questo tipo:
" Il denaro può comprare una casa ma non un focolare
può comprare il letto ma non il sonno
può comprare un orologio ma non il tempo
può comprare un libro ma non la conoscenza
può comprare una posizione ma non il rispetto
può comprare l'anima ma non la vita
può comprare il sesso ma non l'amore".
(Questo messaggio riflette, ovviamente, il comune sentire di tutti i mortali, e non può riguardare certamente i coniugi Berlusconi, né tanto meno la signora Veronica Lario, che, in fatto di denaro, a causa del divorzio non perderebbe nulla delle sue enormi ricchezze, ma mi piace pensare che la signora difenda la sua dignità di persona e di donna).

venerdì 24 aprile 2009

martedì 21 aprile 2009

Democrazia...questa sconosciuta

Oggi voglio parlare di democrazia, ne sento un profondo bisogno.
Ho dato ai ragazzi della mia classe un tema da svolgere sul concetto di democrazia...

"La democrazia, come sistema di rapporti, come atteggiamenti da vivere, è, a tuo parere, davvero operante nei costumi e nella pratica quotidiana della scuola? Analizza la situazione sulla base della tua personale esperienza e formula personali osservazioni su ciò che consideri un modello auspicabile di scuola democratica".
Quasi tutti hanno dichiarato nello svolgimento del tema che in base alla loro esperienza la scuola non è affatto democratica, per i seguenti motivi:
  • La scuola non dà regole, non c'è un'autorità che le impone;
  • agli studenti è concessa troppa libertà: ognuno può entrare a scuola in ritardo anche tutti i giorni senza per questo subire punizioni o castighi;
  • come gli studenti scorretti non subiscono castighi, così i meritevoli non ricevono elogi nè aiuti o stimoli se ne hanno bisogno;
  • La scuola è un luogo di scontro fra alunni e docenti, di competizione cattiva fra gli studenti;
  • la scuola riflette come in uno specchio tutte le miserie della società: corruzione, ipocrisie, inefficienza, disordine, caos...

Insomma, tutti i ragazzi, pur non avendo le idee molto chiare sulla democrazia, hanno tuttavia espresso la convinzione che essa c'entri comunque con il riconoscimento di diritti e doveri (più di diritti, per la verità), laddove hanno saputo riconoscere che la democrazia è prima di tutto un fatto costituzionale e un sistema politico. Io aggiungerei che paradossalmente, sono proprio loro, i nostri giovani, che stanno svuotando la democrazia dall'interno, magari inconsapevolmente, proprio perchè non ne riconoscono i vantaggi. Essi ad esempio non sanno che la scuola pubblica è il risultato di una faticosa conquista, che solo qualche decennio fa per il figlio di un operaio o di un contadino una scuola come il liceo era praticamente inaccessibile, sia per i costi sia per per l'inadeguateza culturale esistente nelle classi povere. Come si può far capire agli studenti, ma anche alle famiglie, che la scuola è un'istituzione che va rispettata, e che loro, i principali fruitori, dovrebbero salvaguardarla come un bene prezioso? Bisogna far capire che le regole in un sistema democratico non si devono imporre con la forza e con la coercizione, ma devono essere condivise ed accettate in un implicito patto e nella prospettiva di un beneficio comune. La democrazia è prima di tutto un comportamento fondato sullo spirito del dialogo e dell'uguaglianza, sull'apertura, curiosità e disponibilità nei confronti del diverso, sull'atteggiamento critico nei confronti delle proprie capacità, sulla disponibilità ad apprendere dai propri errori, sulla responsabilità, sull'atteggiamento altruistico e sull'onestà comunicativa attraverso la precisione, la comprensibilità, il carattere non violento del linguaggio impiegato. La pratica della democrazia deve cominciare dalla scuola, perchè nella scuola si formano i cittadini di domani.

Io mi chiedo, e chiedo a chi è in grado di dare una risposta, come mai parte una esigenza di rispetto delle regole proprio da quelli sono più inclini a non rispettarle? Non è forse questo un segno preciso del totale degrado in cui è caduta la scuola?

sabato 18 aprile 2009

segni di vite assurdamente spezzate

E troveremo una bambola, un diario
una valigia sventrata
una fotografia, una scarpa
Scavando troveremo ciò che fu
una vacanza una famiglia una piazza
E troveremo sangue
sparso, ignoto, mescolato
separeremo dalle loro pietre
ciò che era nostro
eppure anche quelle pietre
erano nostre, una volta
case, stazione, città.
E troveremo un cratere, una miccia
un'auto sbranata, una scheggia
una mano attenta separerà
ciò che uccise da ciò che ha ucciso
E quando ci chiederanno di dimenticare
troveremo una bugia, un volto
di tradimento, una traccia
di nuovo ore e giorni scaveremo
anche se triste è il paese
dove la vita non è più di questo
troveremo una bambola, un diario
e un respiro, qualche volta.

Stefano Benni

lunedì 6 aprile 2009

Dies irae

... E che valore dunque volete che abbiano le nostre piccole miserie particolari e quotidiane di fronte all'immane catastrofe di un terremoto? Storie di vermucci , direbbe il nostro Pirandello!
La terra, stanca di girare senza scopo, ha avuto un piccolo moto d'impazienza ed ha distrutto, in 22 secondi, secoli di storia, di cultura e di civiltà! Ci sia di monito quanto è accaduto nella terra d'Abruzzo!!
Consideriamoci meno che niente nell'universo, con tutte le nostre belle scoperte ed invenzioni! Consideriamo la nostra infinita debolezza e cerchiamo di vivere con serenità e fratellanza questo nostro passaggio sulla terra!...

Non che voglia sentenziare su quanto è accaduto in Abruzzo, anzi provo dolore e sconforto riuscendo ad immedesimarmi perfettamente nella tragedia che lì si sta consumando. Io ho vissuto il terremoto dell'80 in prima persona, a S.Angelo dei Lombardi e posso affermare con certezza che il terremoto è sempre lì, è rimasto nel mio paese radicato nelle pietre, nelle singole pietre delle case, delle strade, anche se messe a nuovo dopo tanto tempo.

Nel mio paese da allora, da quella domenica sera del 23 novembre 1980, gli uomini, le donne, le cose portano ancora i segni del lontano dolore.Tanti piangono ancora i loro morti: in ogni casa, in ogni strada si percepisce un'assenza, una mancanza...
E che dire, poi, di quel senso di vuoto dell'anima che è rimasto in noi sopravvissuti?! Chi ci darà tutto quello che si è perso, la nostra identità, la nostra storia, tutto quello che i nostri padri avevano costruito uscendo dalla miseria degli anni della fame, del freddo, del bisogno incalzante? La comunità era cresciuta nella condivisione di semplici valori: la famiglia, la chiesa, il vicinato, il rispetto della parola data, la solidarietà... Il terremoto ha spazzato via tutto questo in una manciata di secondi. Ciò che ora è rimasto è senza vita, arido, nudo e refrattario, come le pietre.

mercoledì 1 aprile 2009

Lentamente muore

Lentamente muore
chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia, chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati. Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso.
Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendente felicità...
PABLO NERUDA
da Erminio Volpe

sabato 28 marzo 2009

Desiderata

Va' serenamente in mezzo al rumore e alla fretta e ricorda quanta pace ci puo' essere nel silenzio. Finche' e' possibile senza doverti arrendere conserva i buoni rapporti con tutti. Di' la tua verita' con calma e chiarezza, e ascolta gli altri, anche il noioso e l'ignorante, anch'essi hanno una loro storia da raccontare. Evita le persone prepotenti e aggressive, esse sono un tormento per lo spirito. Se ti paragoni agli altri, puoi diventare vanitoso e aspro, perche' sempre ci saranno persone superiori ed inferiori a te. Rallegrati dei tuoi risultati come dei tuoi progetti. Mantieniti interessato alla tua professione, benche' umile; e' un vero tesoro rispetto alle vicende mutevoli del tempo. Sii prudente nei tuoi affari, poiche' il mondo e' pieno di inganno. Ma questo non ti impedisca di vedere quanto c'e' di buono; molte persone lottano per alti ideali, e dappertutto la vita e' piena di eroismo. Sii te stesso. Specialmente non fingere di amare. E non essere cinico riguardo all'amore, perche' a dispetto di ogni aridita' e disillusione esso e' perenne come l'erba. Accetta di buon grado l'insegnamento degli anni, abbandonando riconoscente le cose della giovinezza. Coltiva la forza d'animo per difenderti dall'improvvisa sfortuna. Ma non angosciarti con fantasie. Molte paure nascono dalla stanchezza e dalla solitudine. Al di la' di ogni salutare disciplina, sii delicato con te stesso.Tu sei un figlio dell'universo, non meno degli alberi e delle stelle; tu hai un preciso diritto ad essere qui. E che ti sia chiaro o no, senza dubbio l'universo va schiudendosi come dovrebbe. Percio' sta in pace con Dio, comunque tu Lo concepisca, e qualunque siano i tuoi travagli e le tue aspirazioni, nella rumorosa confusione della vita conserva la tua pace con la tua anima. Nonostante tutta la sua falsita', il duro lavoro e i sogni infranti, questo e' ancora un mondo meraviglioso. Sii prudente. Fà di tutto per essere felice.


Questo testo bellissimo viene quasi sempre presentato come "Manoscritto del 1692 trovato a Baltimora nell'antica chiesa di San Paolo". Invece nel 1959 il reverendo Frederick Kates rettore della chiesa di St. Paul, a Baltimore, Maryland, incluse questo pensiero in una raccolta di materiale devozionale. In cima alla raccolta, c'era l'annotazione "Old St. Paul's Church, Baltimore, A.C. 1692", che è l'anno di fondazione della chiesa... da qui l'equivoco. In realtà, l'autore di questi versi è Max Ehrmann, un poeta di Terre Haute, Indiana, vissuto dal 1872 al 1945, e scrisse Desiderata intorno al 1927.


da Erminio Volpe

Il chiostro delle monache (ex convento di S. Marco - Sant'Angelo dei Lombardi)

...C'è qualcosa nell'aria che mi riporta indietro, ad altra vita, in altro luogo. Oggi non c'è sole, il cielo è opaco per una densa foschia, eppure la primavera si sente, si sente che sono nate le viole tra le foglie secche ai piedi delle querce. All'improvviso mi affiora nella mente il ricordo di quando si andava a scoprire le viole appena nate nelle aiuole del convento...
In primavera, la domenica mattina, dopo la messa si scendeva al chiostro ad ammirare il prodigio della nuova vita: qualche fiore bianco, una primula , sui rami ancora spogli un pettirosso saltellante, una timida lucertola e, la regina del giardino, la centenaria tartaruga che lenta lenta usciva al primo sole a perlustrar la zona.

martedì 24 marzo 2009




Questo è Tequila, un cagnolino deliziosiossimo, il più bello che io abbia mai visto nella vita! Ha condiviso con me un lungo (o breve?) lasso di tempo, ben tredici anni! Ora non c'è più... è morto nel mese di novembre, in un giorno di pioggia e di vento, oggi che è primavera mi manca. Mi manca una creatura dolcissima, tenera, mi mancano i suoi occhi neri lucenti come due biglie di vetro, mi manca il suo volto aggraziato, perfetto, come quello di un meraviglioso peluche. Mi manca la sua gioiosa allegrezza, al solo vederlo svaniva ogni malumore, ogni sconforto. Calmava ogni rabbia e mi guardava con certi occhi quando ero arrabbiata che mi faceva vergognare, si, proprio così, vergognare, quando mi capitava di urlare per casa per un nonnulla. Era allora che incontravo il suo sguardo, supplichevole e tenero, era in quei momenti che il suo aspetto smontava la rabbia: le orecchie abbassate, la codina fra le zampe, il corpicino tutto un fremito. Tequila si rattristava quando io ero triste, gioiva quando ero allegra e non c'era bisogno di parole tra noi per esprimere i suoi e i miei sentimenti. Solo adesso riesco a parlare di lui, dopo cinque mesi dalla sua morte. Ho amato questa creaturina, che gli altri vedevano cane mentre io la percepivo come un'anima piena d'amore, di dolore, di gioia, proprio un alter ego di me.