domenica 12 luglio 2009

Rigore, etica e responsabilità: assenti nella scuola

E' tempo di esami. A quel che si sente in giro, ma anche sulla base della mia personale esperienza, i risultati non sono proprio soddisfacenti; si profilano giudizi e voti che lasciano l'amaro in bocca, un pò in tutte le scuole...
L'esame di maturità, che quest'anno sembrava risentire del clima di maggiore serietà, annunciato dal ministro Gelmini, ha messo a nudo ancora una volta tutte le falle del sistema scuola. In molti casi si è perpetuato un rito che sa molto di farsa, con tanto di voti alterati e falsati, per effetto delle solite "pressioni", dirette o indirette, da parte di quelli che conoscono bene tutte le strategie per rimanere a galla. Siamo alle solite! Mentre gli insegnanti seri annaspano nei torbidi grovigli dell'ignoranza dei propri alunni, di quelli che la scuola si trascina come pesi morti per anni, altri, arrivano gaudenti all'esame, con in tasca la soluzione a tutti i quesiti da distribuire per salvare la faccia. Le parole serietà, responsabilità, moralità risultano assenti nella scuola italiana.

... Ma vogliamo almeno provare ad affrontare o quantomeno a discutere qualche problema onde evitare un ulteriore degrado culturale causato proprio dalla scuola?

Uno dei tanti problemi di oggi nella scuola, e penso soprattutto ai licei cui è o dovrebbe essere demandata la formazione della futura classe dirigente, è la mancata individuazione delle reali capacità e possibilità degli alunni, i quali vengono sempre più spesso indirizzati ad un tipo di educazione del tutto inadeguato a loro. Se la maggioranza degli studenti si riversa nei licei perché questo tipo di scuola è l’unico in grado di dare quantomeno una parvenza di formazione, questi, a loro volta, si vedono costretti ad attuare un percorso formativo adatto a tutti e pertanto facilitato e svuotato di reali conoscenze e competenze. Ma questo in generale è quanto si verifica in tutti gli indirizzi di studio e in tutti gli ordini di scuola. Oggi si assiste ad una facilitazione del cursus scolastico e all’estensione dell’obbligatorietà senza per questo garantire all’interno di un processo effettivamente formativo l’acquisizione di competenze e l’individuazione di sbocchi professionali, sia attraverso la continuità nell’università sia con modalità alternative. Misurare accuratamente le capacità di ciascun individuo e metterlo in condizione, mediante un'istruzione adatta, di assolvere a quelle funzioni per le quali si sente portato per disposizione naturale, è di per sé un passo avanti nella direzione giusta. L'educazione perfetta, ripeto le parole di Aldous Huxley, è quella che alleva ogni essere umano perché occupi precisamente il posto che deve occupare nella gerarchia sociale, senza distruggere, nel processo educativo, la sua individualità. Non vorrei ripetermi, ma oggi stiamo andando nella direzione esattamente opposta. L'istruzione di massa, nella sua pretesa egalitaria di uniformare gli intelletti rischia di appiattire la cultura inaridendo la ricerca, l'individualità dei giovani che si concedono senza riflettere ad un sistema omologante, che indulge alla passività, all'incapacità di autogestirsi e alla violenza psicologica. Vedo questa realtà tutti i giorni nella scuola dove insegno. In tutte le classi di un liceo solo un numero esiguo di allievi è in grado di rispondere positivamente agli stimoli culturali loro offerti; la stragrande maggioranza "bivacca" nella scuola non riuscendo neanche a capire perché si trova in quel preciso contesto. Quando parlo di senso morale, di responsabilità che noi educatori dovremmo avere, mi riferisco anche alla nostra capacità di valutare gli allievi, di stabilire con esattezza quanti e quali sono gli alunni dotati di capacità adeguate al tipo di scuola che frequentano. Altrimenti, che senso hanno i diversi indirizzi di studio? Dico forse una verità scontata, ma se la formazione della scuola secondaria è differenziata rispetto ai vari indirizzi, come mai alla fine del corso di studi i ragazzi affollano le medesime facoltà universitarie? E' normale che un ragazzo che abbia frequentato un istituto tecnico per geometri si ritrovi poi a frequentare la facoltà di lettere, ad ottenerne la laurea e anche semmai, in seguito, ad insegnare? Io francamente ritengo di no, senza nulla togliere al sacrosanto diritto di ciascuno alla formazione e all’ istruzione che ritiene giusta per sé. Vedo in ciò un grande pericolo, per il disordine e l'anarchia che nella scuola stanno dilagando, per il degrado dell'offerta educativa camuffato da una retorica aberrante. Vorrei precisare: io non intendo distinguere tra scuole onorate e scuole che non lo sono, anzi ritengo che la scuola superiore non dovrebbe essere indirizzata a questa o a quella professione, ma a tutte indistintamente, perché, a dirla con De Sanctis, “E’ un pensiero di lesa umanità voler dividere gli uomini in più e meno educati”, ma questo discorso attiene propriamente all’educazione, all’istruzione civile, per intenderci, e non all’acquisizione di specifiche competenze. Lo stesso De Sanctis in un discorso pronunciato alla Camera il 30 maggio 1878, proprio riguardo a questo avrebbe detto: “Bisogna usare una giusta severità negli esami di ammissione e in quelli di promozione. Perché, cosa volete? Quando il giovane trova intoppi al principio,voi gli potete ben dire: “Amico, non sei nato a questo, fà altra cosa.” La scuola in molti casi consente e legittima la crescente indistinzione fra lecito ed illecito, con attacchi continui all’autorità della norma. La scuola non è più il luogo della formazione delle coscienze, né in essa si stabilisce più quella naturale e spontanea gerarchia onestamente accettata con dignità da tutti, come presentimento di una società in cui i cittadini mettano in gioco tutte le potenzialità ed energie, ciascuno secondo il compito che gli è stato affidato. Mi piace riportare le parole del grande critico e storico Francesco De Sanctis" La vita è una missione determinata dalle forze che ciascuno ha sortito da natura, e che ha il dovere di svolgere secondo i grandi fini dell'umanità: la scienza, la giustizia, l'arte. La dignità è uno sforzo verso il meglio, che nobilita la persona." Così, ai giovani nella scuola diceva:" Quando vi sarete avvezzi a scrivere quello che avete prima sentito, preparatevi a scrivere con verità e naturalezza, serbando inviolata in voi l'umana dignità; sia questo il principio e l'insegnamento della scuola"
... Quel che invece si registra nella nostra realtà è una quasi totale assenza della disciplina, intendendo con questo termine non quel tipo di disciplina rigorosa, sistematica che produce una mentalità militaristica, bensì quella disciplina come valore interiore che abitua ad essere liberi e ad autogovernarsi. Quando dico che la scuola molto spesso indulge alla violazione delle norme, mi riferisco anche alle semplici regole di comportamento, che vanno dalle continue assenze alle richieste sempre più pressanti di uscite anticipate, per non parlare poi della reale partecipazione degli alunni alle varie attività didattiche. Si registra nelle varie realtà scolastiche una generale disaffezione per lo studio, ma anche per le più semplici regole di un buon comportamento. Insomma, in che modo noi docenti dobbiamo esplicare la nostra funzione educativa? Se imponiamo un modello d'insegnamento improntato alla serietà, nel rispetto delle regole, veniamo tacciati di eccessiva severità e di non apertura nei confronti dei ragazzi, viceversa se diventiamo "amici" e confidenti nonché complici del loro riprovevole comportamento, non saremo mai contestati. Voglio riportare una mia esperienza personale: mi è capitato di essere contestata dagli alunni di una classe perché durante i compiti in classe facevo una sorveglianza troppo attenta impedendo loro il rituale passaggio di biglietti e sbirciatine sui libri di testo e sui temari. In quell'occasione fui richiamata dal preside il quale tenne a precisarmi che non è un reato copiare il compito da un compagno più bravo e che dovevo instaurare un clima di collaborazione e di maggiore distensione durante le prove di verifica. Io vorrei a questo proposito dire qualcosa di più inerente alla sfera dell'etica nel lavoro scolastico, e i momenti di verifica e di valutazione sono sicuramente i momenti più propriamente educativi della programmazione didattica. Ebbene, le trame della maglia educativa si allentano e si spezzano proprio in questi punti. In un contesto in cui si annullano le differenze di ogni tipo, in cui non si stabilisce nessuna gerarchia e soprattutto non viene incentivato il merito né dei discenti né dei docenti, quale educazione può mai esistere? La scuola, che dovrebbe essere l'unica e la più diretta portatrice dei veri valori della vita, smentisce se stessa mortificando le qualità migliori; in essa trionfa la mediocrità fatta sistema, ufficializzata e quasi consacrata dalle autorità di turno; in essa si coltiva non già l'amore per la cultura ma l'attaccamento a "quel pezzo di carta" con cui vantare conoscenze e competenze mai acquisite. L'obliterazione dei valori sta prendendo piede nella scuola e si concretizza nell'assenza di un qualsivoglia sentimento di stima o di rispetto nei riguardi della scuola e degli insegnanti, soprattutto degli insegnanti, piegati dalla logica del sistema, privati della dignità intellettuale, ridotti ai più bassi livelli del pubblico impiego. I giovani intanto rischiano di essere risucchiati dal vortice della pubblicità, dall'unico imperativo della Utilità economica verso cui si mostrano sempre più indulgenti, inconsapevoli di perdere l'unica opportunità che la vita gli offre: impossessarsi degli strumenti di conoscenza e insieme di controllo del divenire della loro civiltà.

Da Rossana Cetta, La ginnastica dell'anima , Ed. Delta 3, 2008, Grottaminarda (AV)

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