Il 29 giugno scorso è apparso sul Corriere della sera un articolo del presidente della Fondazione Agnelli sul problema della retribuzione degli insegnanti; lo riporto integralmente aggiungendo una mia risposta.
RETRIBUZIONI E QUALITÀ DELL’INSEGNAMENTO
Gli stipendi degli insegnanti?
Da cambiare
ANDREA GAVOSTO
Le retribuzioni degli insegnanti italiani seguono un andamento sostanzialmente «piatto», senza eguali nel resto del pubblico impiego: sono, infatti, ancorate in modo rigido ed esclusivo all’anzianità di servizio. Ai docenti che producono risultati educativi migliori non viene riconosciuto alcun premio. Che così non si favorisca il miglioramento della qualità della scuola è ormai convinzione condivisa. È quindi giunto il momento di mettere mano ai criteri di retribuzione degli insegnanti. Di recente ripreso anche dall’Ocse, questo tema è al centro del Rapporto sulla scuola in Italia della Fondazione Agnelli. A quali principi ispirarsi per fare crescere gli stipendi dei docenti in modo non indifferenziato? Uno ovvio, ma disatteso in Italia, è dare più soldi a chi, oltre al solo insegnamento, si assume responsabilità di gestione quotidiana di una scuola o il coordinamento di specifici progetti. Oggi ciò avviene in misura irrisoria. Occorre, poi, differenziare le remunerazioni degli insegnanti per tenere conto delle differenze territoriali nel costo della vita, delle alternative offerte dal mercato del lavoro e del differente fabbisogno di docenti per diverse materie. Oggi si comincia ad avvertire una carenza di docenti: per ben 1.500 delle circa 8.000 graduatorie i posti disponibili superano o stanno per superare gli insegnanti alla ricerca di un’occupazione. La tendenza è più marcata nel Nord, e soprattutto nelle discipline matematiche, scientifiche e tecniche: la difficoltà a incrociare la domanda e l’offerta nella scuola sta diventando sempre più drammatica. La ragione è semplice: un giovane laureato in materie scientifiche che lavora fuori della scuola guadagna in media il 30% in più di uno che insegna. La scuola per questi laureati non è attraente e, in molti casi, deve accontentarsi di chi non ha trovato occupazione altrove. Ma non sono proprio gli apprendimenti matematico-scientifici quelli che in Italia presentano le lacune più gravi e vanno perciò rafforzati? Solo adeguando le loro prospettive di guadagno, sarà possibile convincere i migliori laureati in queste discipline a dedicarsi all’insegnamento. Infine, si dice, va premiato il merito degli insegnanti. Il principio è corretto, ma generico e si presta a un eccesso di retorica. Differenziare in base ai risultati degli studenti in termini di conoscenze e competenze appare un criterio meglio definito. Si premino allora gli insegnanti di quelle scuole dove i ragazzi ottengono risultati migliori. Si badi: non necessariamente i risultati migliori in assoluto; così, infatti, si finirebbe per favorire le scuole — tipicamente i licei — frequentate da chi è avvantaggiato dalla provenienza sociale e dal maggior sostegno della famiglia. Occorre invece valutare e premiare i progressi compiuti dai ragazzi tenendo conto del loro livello all’ingresso e del loro retroterra economico e culturale, il cosiddetto «valore aggiunto» della singola scuola. Così si valorizzerebbe il lavoro degli insegnanti anche nelle situazioni meno favorevoli, contribuendo a elevare la qualità media del sistema scolastico e ad attenuarne gli insostenibili divari territoriali. A chi spetta il premio retributivo assegnato in base al «valore aggiunto»? Al singolo insegnante o a tutti i docenti di una scuola che realizza buoni e misurabili progressi? Noi crediamo che il progresso scolastico sia innanzitutto frutto di un lavoro di squadra. Perciò vanno premiati tutti gli insegnanti di quella scuola. Pagare di più gli insegnanti migliori e quelli di cui c’è maggior bisogno — incentivando l’ingresso di nuove leve — è una condizione necessaria per un progetto di miglioramento della qualità della scuola sostenibile nel tempo.
Direttore Fondazione Giovanni Agnelli
29 giugno 2009
Da quel che leggo, il signor Gavosto non sa nulla di come va la scuola pubblica in Italia!
Dare più soldi a chi, oltre all'insegnamento, si occupa di gestione e di coordinamento di progetti?!... Ma stiamo scherzando?!
Innanzitutto, chi si occupa di gestione non fa insegnamento, non può, non ha né il tempo né le energie per insegnare: le due cose sono alquanto incompatibili.
In secondo luogo, solitamente, i collaboratori del preside sono scelti da lui medesimo sulla base di un rapporto di amicizia e di fiducia, qualità che nulla hanno a che fare con il merito professionale... Purtroppo, chi lavora con passione e dedizione, lo fa nel chiuso delle aule e nessuno si degna di riconoscergli alcun merito!
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