mercoledì 30 giugno 2010

Le gioie più naturali

«I filosofi ed i sinonimisti vi spiegano con paziente sollecitudine la differenza precisa che passa fra la giustizia, la
bontà e il dovere; ma voi stessi potete persuadervi che essi fabbricano un mondo di carta pesta. Ciò che è giusto è
buono, ciò che è dovere è giustizia, e ciò che si deve fare è ciò che è giusto e buono. Ma non vedete voi il circolo
eterno del cosmo, la volta infinita del cielo che non comincia in un alcun luogo e mai non finisce? Studiate il
cerchio, perché in verità vi dico che la sua geometria morale abbraccia la storia del mondo. Le gioie della
giustizia e del dovere esercitano la più benefica influenza sulla felicità della vita e, rendendoci calmi e soddisfatti
nel presente, ci preparano un avvenire felice. Chi possiede maggiori ricchezze di fortuna, di mente e di cuore, ha
anche maggiori doveri da esercitare; ma tutti gli uomini, purché abbiano soltanto un’individualità morale, devono
essere giusti e buoni, e devono quindi rendersi degni di gustare queste gioie sublimi.»
Paolo MANTEGAZZA, Fisiologia del piacere, 1992 (1ª edizione 1854

martedì 29 giugno 2010

Goal

Il portiere caduto alla difesa
ultima vana, contro terra cela
la faccia, a non veder l'amara luce.
Il compagno in ginocchio che l'induce,
con parole e con mano, a rilevarsi,
scopre pieni di lacrime i suoi occhi.

La folla - unita ebbrezza - par trabocchi
nel campo. Intorno al vincitore stanno,
al suo collo si gettano i fratelli.
Pochi momenti come questo belli,
a quanti l'odio consuma e l'amore,
è dato, sotto il cielo, di vedere.

Presso la rete inviolata il portiere
- l'altro - è rimasto. Ma non la sua anima,
con la persona vi è rimasto sola.
La sua gioia si fa una capriola,
si fa baci che manda di lontano.
Della festa - egli dice - anch'io son parte.
Umberto Saba.

giovedì 24 giugno 2010

Experiri placet

ESAMI DI STATO CONCLUSIVI DEI CORSI DI STUDIO DI ISTRUZIONE
SECONDARIA SUPERIORE
PROVA DI ITALIANO

TIPOLOGIA A - ANALISI DEL TESTO

Primo Levi
, dalla Prefazione di La ricerca delle radici. Antologia personale, Torino 1981

Poiché dispongo di input ibridi, ho accettato volentieri e con curiosità la proposta di comporre anch’io
un’«antologia personale», non nel senso borgesiano di autoantologia, ma in quello di una raccolta,
retrospettiva e in buona fede, che metta in luce le eventuali tracce di quanto è stato letto su quanto è stato
scritto. L’ho accettata come un esperimento incruento, come ci si sottopone a una batteria di test; perché
placet experiri e per vedere l’effetto che fa.
Volentieri, dunque, ma con qualche riserva e con qualche tristezza. La riserva principale nasce appunto
dal mio ibridismo: ho letto parecchio, ma non credo di stare inscritto nelle cose che ho letto; è probabile che
il mio scrivere risenta più dell’aver io condotto per trent’anni un mestiere tecnico, che non dei libri ingeriti;
perciò l’esperimento è un po’ pasticciato, e i suoi esiti dovranno essere interpretati con precauzione.
Comunque, ho letto molto, soprattutto negli anni di apprendistato, che nel ricordo mi appaiono stranamente
lunghi; come se il tempo, allora, fosse stirato come un elastico, fino a raddoppiarsi, a triplicarsi. Forse lo
stesso avviene agli animali dalla vita breve e dal ricambio rapido, come i passeri e gli scoiattoli, e in genere a
chi riesce, nell’unità di tempo, a fare e percepire più cose dell’uomo maturo medio: il tempo soggettivo
diventa più lungo.
Ho letto molto perché appartenevo a una famiglia in cui leggere era un vizio innocente e tradizionale,
un’abitudine gratificante, una ginnastica mentale, un modo obbligatorio e compulsivo di riempire i vuoti di
tempo, e una sorta di fata morgana nella direzione della sapienza. Mio padre aveva sempre in lettura tre libri
contemporaneamente; leggeva «stando in casa, andando per via, coricandosi e alzandosi» (Deut. 6.7); si
faceva cucire dal sarto giacche con tasche larghe e profonde, che potessero contenere un libro ciascuna.
Aveva due fratelli altrettanto avidi di letture indiscriminate; i tre (un ingegnere, un medico, un agente di
borsa) si volevano molto bene, ma si rubavano a vicenda i libri dalle rispettive librerie in tutte le occasioni
possibili. I furti venivano recriminati pro forma, ma di fatto accettati sportivamente, come se ci fosse una
regola non scritta secondo cui chi desidera veramente un libro è ipso facto degno di portarselo via e di
possederlo. Perciò ho trascorso la giovinezza in un ambiente saturo di carta stampata, ed in cui i testi
scolastici erano in minoranza: ho letto anch’io confusamente, senza metodo, secondo il costume di casa, e
devo averne ricavato una certa (eccessiva) fiducia nella nobiltà e necessità della carta stampata, e, come
sottoprodotto, un certo orecchio e un certo fiuto. Forse, leggendo, mi sono inconsapevolmente preparato a
scrivere, così come il feto di otto mesi sta nell’acqua ma si prepara a respirare; forse le cose lette riaffiorano
qua e là nelle pagine che poi ho scritto, ma il nocciolo del mio scrivere non è costituito da quanto ho letto. Mi
sembra onesto dirlo chiaramente, in queste «istruzioni per l’uso» della presente antologia.

Giulio Bollati nel 1980 aveva invitato alcuni scrittori italiani a scrivere un'antologia personale non delle opere che avevano scritto, bensì delle letture che erano state per loro fondamentali. Primo Levi rispose scrivendo La ricerca delle radici. L'autore racconta di aver cominciato a leggere sin da piccolo, perché in famiglia si leggeva molto, di tutto e con piacere. Non c'erano dei libri preferiti, si leggeva confusamente, senza metodo, per un'abitudine gratificante, un vizio innocente, una ginnastica mentale che era poi un bisogno di riempire i vuoti del
tempo. Levi ritiene in buona fede che il nocciolo del suo scrivere non è costituito da quanto ha letto, anche se le cose lette riaffiorano nei suoi scritti qua e là, suo malgrado. Egli è invece assolutamente convinto che la sua scrittura risenta più del lavoro di tecnico svolto per più di trent'anni(fu chimico di laboratorio e direttore di fabbrica) piuttosto che dei libri che ha letto in tutta la sua vita. Ammette tuttavia che dalle letture fatte in famiglia ma soprattutto nel tempo del suo apprendistato (di lavoro e di vita) ha ricavato una grande fiducia nella nobiltà della carta stampata e una certa finezza d'ingegno, sicuramente acuita dalle letture.
Se dovesse capitare a me di scegliere i libri che sono stati fondamentali nella mia vita, mi ritroverei negli stessi dubbi e perplessità. Ho letto anch'io senza metodo e in modo più che confuso direi compulsivo e sfrenato, per colmare un bisogno di evasione dalla realtà che ancora oggi mi appartiene. Mi viene da raccontare non tanto degli autori e delle opere dei libri che ho letto, ma invece del mio primo approccio ai libri considerati proibiti ad una ragazzina di 14 anni in cerca di emozioni d'amore. In quarta ginnasiale frequentavo la mia compagna di banco fuori della scuola e lei aveva un fratello più grande, ventenne o anche più, il quale possedeva una collezione di libri di narrativa fatta per corrispondenza. Un giorno m'invitò a casa sua (lei viveva in campagna) e di nascosto mi fece vedere quella magnifica collezione che il fratello teneva custodita come una reliquia. I libri erano tutti della stessa dimensione, allineati con precisione in uno scaffale a tre ripiani. Ricordo la copertina verde con i titoli e gli autori scritti a caratteri d'oro. Me li passava in classe nascosti fra i libri di scuola ed io correvo a casa tutta eccitata per poterli leggere. Credo di averne letto in una sola estate almeno una trentina. Gli autori erano i più disparati: Gabriele D'Annunzio, Guy de Maupassant, Victor Hugo, Honoré de Balzac, Tolstoj, Calvino, e tanti altri. Quali di questi sono stati fondamentali? Tutti.

lunedì 21 giugno 2010

Buongiorno
by Massimo Gramellini

Il grande Embè


Della motivazione con cui il tribunale di Firenze ha negato la libertà provvisoria a due comandanti delle ferocissime Truppe d’Appalto (Balducci & De Santis) mi ha colpito l’ultima riga: «Gli indagati mostrano una evidente carenza di percezione della antigiuridicità del proprio comportamento». Insomma, dopo mesi di cella, i signori della Cricca continuano a non capire cos’hanno fatto di male. Anche il caso Scajola e le recenti dichiarazioni dell’ex ministro Lunardi rivelano uno stile di vita allucinante percepito come assolutamente normale. La famosa filosofia dell’Embè. Ho ristrutturato casa a un amico, embè? L’amico ha dato un lavoro a mio figlio, embè? Mio figlio ha messo su una società con la moglie dell’amico, embè? Un embè tira l’altro e alla fine tutti confluiscono nel Grande Embè che rischia di sommergerci. Perché Balducci e De Santis non sono schegge impazzite, ma espressioni estreme di un atteggiamento diffuso: il primato delle relazioni sulle capacità, delle conoscenze sulla conoscenza. Chi entra in contatto con un ente pubblico non si chiede neanche più quali siano le procedure. La sua unica preoccupazione è: conosco qualcuno lì dentro? Il morbo ha invaso persino i recinti sacri della giustizia, dove l’avvocato più ricercato non è quello che conosce la legge, ma quello che conosce il giudice.

«L’Italia è tutta un frou frou di do ut des» scriveva lo scrittore Enzo Siciliano, assiduo frequentatore delle terrazze romane, altamente specializzate in materia. Non immaginava di avere coniato l’epigrafe delle mille cricche d’Italia.

giovedì 17 giugno 2010

Un pò di saggezza

Quanto più si estende la grande conoscenza dei buoni libri, tanto più si restringe la cerchia degli uomini di cui ci è gradita la compagnia.

Ludwig Feuerbach

venerdì 4 giugno 2010

Economia

Il blocco degli stipendi
costa 1.700 euro a testa (per i dipendenti pubblici)

LUISA GRION


ROMA - Da qui a tre anni gli stipendi degli statali perderanno, in media 1.700 euro. Soldi che sarebbero dovuti arrivare nelle buste paga dei dipendenti pubblici entro il 2012 grazie ai rinnovi contrattuali e alle normali progressioni di carriera, ma che il vento della manovra correttiva ha spinto via lontano. I redditi degli statali resteranno fermi, insensibili al costo della vita: così ha deciso la Finanziaria che dovrà mettere in sesto i conti dello Stato. Pochi tagli veri e propri, ma tanti pesanti freni: dalla sanità alla scuola, dai ministeri agli enti locali, alla magistratura.

Meno soldi, ma in diversi casi anche meno lavoro: uno studio della Flc-Cgil stima, per esempio, che alla fine di questo buio periodo, l'Università si sveglierà con 26.500 precari in meno, occupati mandati a casa alla scadenza del tempo determinato. Di questi 20 mila sono docenti a contratto.
Meno soldi, ma anche meno formazione: la manovra prevede che a partire dal gennaio 2011 le risorse destinate a tale voce siano tagliate del 50 per cento. Per la scuola, ciò vuol dire che i milioni a disposizione dagli attuali 8 diventino 4. E che - considerati tutti i lavoratori dalle elementari alle superiori - l'investimento pro capite sarà di 5 euro a lavoratore.

Meno soldi e quindi una minor capacità di spesa, con buona pace del rilancio dei consumi e dell'economia. Dal punto di vista degli stipendi, infatti, i conti si fanno presto: i rinnovi contrattuali del pubblico impiego - 3,3 milioni di dipendenti circa - si muovono in base all'Ipca (indice europeo armonizzato dei prezzi al consumo) che da oggi al 2012 darebbe diritto ad un recupero sull'inflazione del 6 per cento. Considerato che nel periodo in questione salterà anche il rimborso riconosciuto come "vacanza contrattuale", ecco che la perdita media della categoria si attesta, nei tre anni, a 1.700 euro lordi. Certo non per tutti il taglio sarà uguale: ci saranno variazioni legate alle diverse quote di parte fissa e variabile della retribuzione, alla diversa struttura degli incentivi, ma, comunque sia, il tutto si tradurrà in un mancato guadagno per ciascuna categoria.

La premessa vale anche per i magistrati, colpiti dalla Finanziaria nonostante la versione originaria del testo sia stata ammorbidita dopo un appello rivolto al Presidente della Repubblica. Qui, secondo le stime dell'Associazione nazionale magistrati, si arriva ad una perdita secca in busta paga fino a 18 mila euro lordi. I tagli veri e propri riguarderanno solo i magistrati con una discreta anzianità alle spalle, per via della riduzione del 5 per cento riferita alla quota di stipendio che supera i 90 mila euro, ma il blocco alla progressione economica e agli adeguamenti triennali colpiranno soprattutto le nuove leve. Considerati tutti i tagli e i mancati guadagni attribuiti alle funzione pubblica, Michele Gentile, responsabile del comparto per la Cgil considera che "l'intero settore mette sul piatto 1.850 milioni di euro: lo scippo della vacanza contrattuale vale da solo 600 milioni di euro". Un conto "troppo alto, inaccettabile se si considera che i tanto decantati tagli alla politica si sono fermati a 72 mila euro".

giovedì 3 giugno 2010

Agonia

Da "L'allegria"
Giuseppe Ungaretti


Morire come le allodole assetate
sul miraggio

O come la quaglia
passato il mare
nei primi cespugli
perché di volare
non ha più voglia

Ma non vivere di lamento
come un cardellino accecato