La scuola deve offrire pari opportunità a tutti: questo è un diritto riconosciuto nella nostra Costituzione agli artt. 3, 33, 34.
Ci sono molti ragazzi, specialmente nei nostri piccoli paesi del Sud, che entrano nelle scuole superiori, nei licei, ma soprattutto negli istituti professionali e tecnici, con uno svantaggio sociale o socio-culturale notevole. Si tratta spesso di ragazzi che hanno alle spalle una famiglia con un reddito minimo, con difficoltà economiche e disagi di ogni tipo. Ci sono, al contrario, ragazzi che, soprattutto nei licei, partono "Bene", provenendo da ambienti socio- culturali già avvantaggiati. Questi ultimi hanno solitamente genitori che svolgono buone professioni, sono in possesso di titolo di studio elevato oppure, in mancanza di questo, dispongono di denaro sufficiente per sostenere le spese di studio dei propri figli, i quali possono avvantaggiarsi, così, di un supporto nelle discipline in cui hanno difficoltà.
Queste differenze sono sempre esistite (tolta la parentesi storica del '68 che ha dato l'illusione dell'uguaglianza sociale e soprattutto culturale), ma oggi tali differenze esplodono in una forma forse inusitata. In piena recessione economica, in un momento in cui la disoccupazione aumenta vertiginosamente, i salari sono al minimo storico in valore d'acquisto, la società non consente alcuna mobilità e i ricchi diventano sempre più ricchi e i poveri sempre più poveri, pur lavorando, le differenze aprono un baratro incolmabile. Proprio nella scuola, che per anni è riuscita, pur fra mille difficoltà, ad assicurare la pari opportunità a tutti, aiutando di conseguenza la mobilità sociale e conservando una parvenza di democrazia, si sta registrando una situazione inaccettabile. Il degrado morale sta invadendo ogni aspetto della nostra vita: chi è furbo ed ha mezzi ottiene ciò che vuole, gli onesti, privi di mezzi, non ottengono niente. Siamo in piena barbarie, e dei costumi e dei comportamenti. In un simile scenario, ci si aspetta che almeno la scuola pubblica conservi la sua autonomia, nel senso che non ceda alle pressioni dei privati che vorrebbero scegliersi, per esempio, gli insegnanti ritenuti più idonei per i propri figli, o addirittura i programmi di studio, o altro...
Quando una scuola cede a queste tentazioni tradisce se stessa, mortifica i più deboli impedendo loro il diritto alla pari opportunità. Praticare la democrazia non è predicarla ex cathedra, ma è rimuovere ogni ostacolo alla piena realizzazione della persona, nella fattispecie dell'alunno, soprattutto se bisognoso e meritevole. Nella mia scuola, da qualche anno, si tende a valorizzare le "eccellenze", che molto spesso sono determinate da situazioni di partenza già avvantaggiate, mentre per gli alunni molto svantaggiati non si prevede mai, nei cosiddetti IDEI, un modulo di azzeramento per colmare le gravi lacune nella preparazione d'ingresso.
Forse non c'entra, ma io che mi ritrovo il primo liceo sento la necessità di azzerare anche i cosiddetti bravi, spiego: Ho dei ragazzi che vengono dalle medie e, spero onestamente, sostengono che 6 è un voto pessimo. Per costoro esiste solo il 10, nessuno mi ha mai chiesto come essere promosso, ma ogni anno mi chiedono come prendere 10. Almeno ad inizio anno!
RispondiEliminacaro Franco, beato te che hai di questi problemi! Mettere 6 o 10 nella nostra scuola non fa molta differenza; di solito gli alunni che arrivano alla sufficienza con le proprie forze, basta un "aiutino" e facilmente il 6 arriva anche all'8. Assai più difficile risulta invece portare alla soglia della sufficienza coloro che sono ben al di sotto del 6!
RispondiEliminaIl problema è che alcuni, molto al di sotto del 6, ritengono di meritare 10. Dopo aver fatto un test e aver dato le risposte corrette, un alunno ha fatto il discorso di cui parlavo (6 = voto pessimo), ma il voto da lui preso, poi ho visto, era più basso.
RispondiEliminaUn altro ragazzo a cui dicevo che il voto non era tanto importante, ma era meglio acquisire un buon metodo di studio mi ha chiesto: Ma chi lo dice ai miei genitori?