domenica 23 dicembre 2012

sabato 15 dicembre 2012

Le gioie della campagna

Quando, o campagna, ti potrò vedere?
Quando mi sarà dato, ora coi libri
degli antichi, or col sonno ora con l'ozio,
sorbir l'oblio di un'agitata vita?
Quando mi serviranno a mensa, insieme
ai legumi ben unti in grasso lardo,
le fave, di Pitagora parenti?
Oh le notturne, le divine cene
presso il mio focolare: dov'io stesso
mangio coi cari amici e pasco i servi
insolenti coi resti della tavola.
A piacere si vuotano i bicchieri
ineguali, da sciocche convenienze
liberi, e chi da forte bevitore
sceglie vino robusto e chi la gola
gradisce inumidirsi di leggero.
E si discorre allora: non di ville,
non di case degli altri, non se Lepos
danzi più o meno bene: ma di cose
che ci toccano serie da vicino
e che ignorare è male: se felici
gli uomini siano per virtù o ricchezze,
che cosa ci sospinga all'amicizia,
se l'utile o l'onesto; e quale sia
del bene la natura e la pienezza.
[ Orazio, Saturae, II, 6, vv. 60-76, trad. di E. Cetrangolo]

domenica 9 dicembre 2012

Poesia e Pedagogia




Si può insegnare la poesia nella scuola? Intendo dire insegnare come si fa una poesia? Mi verrebbe da dire no, perché la poesia la si deve praticare, essa infatti significa etimologicamente creare, fare, per un istinto quasi naturale. Eppure il problema a scuola ce lo poniamo, almeno noi insegnanti di italiano, quando ci troviamo di fronte alle difficoltà oggettive non dico di comporre una poesia, ma di analizzarla e di comprenderla. Si dice spesso che i giovani non sentano il bisogno di poesia, ma ciò non può essere vero per nessuno, tanto meno per i giovani. Essi piuttosto si nutrono di un’altra poesia, di quella dei cantautori, per intenderci, più semplice e quindi più alla portata della loro comprensione, perché di questo hanno bisogno, di una facilità di apprendimento che gli consenta di godere di emozioni forti, sollecitate dalla musica, senza doversi lambiccare il cervello a sciogliere i dilemmi della metrica e della metafora! Eppure, la poesia “alta” la si deve insegnare, e forse un modo c’è. La poesia a scuola è fuori dalla possibilità di un’esperienza vissuta dai giovani, c’è quindi bisogno di una mediazione, si tratta di ridare, per così dire artificialmente un contesto alla poesia, senza il quale non c’è comprensione. Insomma, la premessa alla comprensione della poesia è la conoscenza storica, cui poi si aggiungono gli strumenti analitici (dello strutturalismo) usati per smontare le componenti peculiari della macchina poetica, ma tutto ciò non risulta quasi mai sufficiente. Allora, a quale espediente possiamo ricorrere per fare apprezzare ai ragazzi la poesia di Dante e di Montale? A me è capitato, nella pratica didattica quotidiana, di dover analizzare una poesia in una classe seconda superiore in un momento assai particolare,ossia in un giorno in cui i ragazzi non avevano il libro di testo né informazioni sulla poesia e sull’autore. Sembrerà strano, ma attraverso la sola lettura che io ho fatto di questa poesia, si è accesa come una luce nella classe e tutti, pienamente coinvolti, mi hanno chiesto di entrare in quel testo, di capirne il messaggio, di studiarne la forma. Abbiamo quindi operato prima una parafrasi del testo chiarendo di ogni singola parola il significato, distinguendone l’aspetto connotativo e quello denotativo, poi l’abbiamo riletta e subito i ragazzi hanno colto il messaggio insito nel testo, lo hanno discusso, ampliato, modificato, nel complesso si sono avvicinati molto alla giusta interpretazione, e questo senza avere dalla loro le giuste inferenze. Voglio dire con ciò che nella scuola i libri di testo, con le interferenze comunicative di note e commenti spesso tediosi e saccenti, privano i ragazzi del gusto di una lettura immediata, della ricerca e della scoperta e in definitiva li demotivano anziché no alla fruizione della poesia. Pertanto, io penso che a volte attraverso la sola lettura, intesa però come comunicazione emotiva, come puro godimento emozionale, attraverso l’empatia che il docente dovrebbe avere, si può aprire un varco nell’animo dei ragazzi alla fruizione e comprensione della poesia. Concludo con una citazione di Gadamer, che recita pressappoco così: "Nulla come lo scritto ha il carattere di pura traccia dello spirito e però nulla come esso è rimandato allo spirito comprendente”.

mercoledì 28 novembre 2012

Lettera al Ministro Profumo

Egregio Ministro, Le voglio descrivere la giornata tipo di un'insegnante di lettere in un liceo. Premetto che io sono fortunata, poiché la scuola dista da casa mia soltanto 7 Km e certamente non posso confrontarmi con colleghi che di Km ne fanno 70 ogni giorno per raggiungere la sede di lavoro. Diciamo però che la sede vicina me la sono guadagnata vincendo un regolare concorso a cattedra nel lontano 1992. Detto questo, ho da raccontare come si svolge la mia giornata di lavoro, che poi è simile a quella di tante altre. Come vede, parlo al femminile, perché i signori maschi, come si sa, non hanno alcuni problemi che abbiamo noi donne. Dunque, mi alzo alle 6.30, mi lavo, mi vesto, faccio una discreta colazione (non ce la farei altrimenti a sopportare il calo fisiologico di zuccheri intorno alle 10.30). Il mio orario settimanale prevede 18 ore spalmate su cinque giorni della settimana, in tre indirizzi diversi: liceo classico, liceo scientifico, liceo delle scienze Applicate. E' vero che mediamente non faccio più di quattro ore al giorno di attività didattica in aula, ma Le assicuro che anche due sole ore in classi affollate di ragazzi che già alle 10.00 non sono più in grado di prestare la dovuta attenzione, sono dure da sopportare! Torno a casa quasi tutti i giorni alle 13.40 e appena arrivo mi spoglio delle vesti "curiali" e indosso quelli della più umile lavandaia. Mi metto ai fornelli e rapidamente preparo un pasto frugale per me e mio marito (anche in questo sono fortunata, non ho bambini cui dare la pappa). Intanto che rassetto la casa continuo a pensare alla scuola, con la mente analizzo, organizzo, programmo già per il prossimo incontro... Il cervello lavora a ritmo serrato! Mi accingo a preparare la cena ed il pranzo del giorno dopo, raramente ho il tempo di uscire per svagarmi un po'. Alle 20.00 la mia giornata è finita. Mentre ceno mi guardo un po' di tv, tanto per non perdermi quanto accade intorno a me e fuori nel mondo. Alle 21.00 mi addormento sul divano sfinita, così decido di andarmene a letto, non senza una breve lettura attinente agli argomenti didattici. Questa naturalmente è la routine quotidiana, quando non ci sono rientri a scuola per i consigli di classe, il collegio dei docenti, il consiglio d'istituto, la riunione dei dipartimenti, l'incontro con le famiglie e i corsi di recupero IDEI! Un momento, io non Le ho ancora detto che insegno italiano e latino in quattro classi diverse: italiano in una prima liceo scienze applicate e in una terza liceo classico, latino in una prima liceo scientifico e in una terza liceo classico. Ah, dimenticavo di aggiungere storia e geografia in una prima scientifico. Lei sicuramente saprà che insegnare italiano in una prima non è lo stesso che insegnarlo in una terza liceo classico. Nella prima devi fare molta grammatica, molti esercizi, lettura, scrittura e almeno 2 compiti nel trimestre. Nella terza insegno storia della letteratura dalle origini fino al Tasso, una bella cavalcata attraverso alcuni secoli di storia e di arte! E anche qui 2 compiti a trimestre, test di verifica, interrogazioni... Riguardo al latino, nella prima liceo scientifico insegno grammatica latina ma anche italiana, analisi logica, analisi del periodo etc etc... Il latino nella terza del liceo classico prevede l'aggiunta della letteratura e la lettura dei classici, quindi 2 compiti, interrogazioni, test. Che dire poi della storia e della geografia? Se ti capita di doverla insegnare dopo un po' di anni (com'è capitato a me), beh, te la devi rileggere, se no che racconti? Tirando le somme, io insegno a 90 ragazzi ogni giorno ben sei discipline diverse, un bel totale, non Le sembra? Indovini un po' quanto guadagno?... Lei lo sa che la mia parrucchiera guadagna 400 euro al giorno ed ha solo la licenza media? E l'idraulico, che ieri mi ha riparato un rubinetto e ha dato uno sguardo alla caldaia, lo sa quanto ha preteso? Glielo dico : 350 euro! Potrei continuare con tanti altri esempi, ma basta così. Ho solo da dirle che la scuola in Italia si regge sulla buona volontà degli insegnanti che come me credono ancora nel lavoro che fanno, ne avvertono il peso e la responsabilità consapevoli che a loro è affidato il progresso civile della società del futuro. E questa non è retorica! Distinti saluti

martedì 20 novembre 2012

Parva desanctisiana

" Tornate ai vostri studi, e fate onore alla vostra provincia nativa, che vi deve essere sempre cara... " C'è nei giovani un sicuro istinto che li avvisa di tutto ciò che è nobile e sincero; ed è vero che i migliori giudici del maestro sono i discepoli" (De Sanctis)

lunedì 15 ottobre 2012

domenica 7 ottobre 2012

Un "altro" sviluppo

Ciò che manca oggi non è tanto o solo lo sviluppo, ma piuttosto la coscienza informata di una realtà che è profondamente mutata. Sopravvive una retorica progressista che non ha più nulla a che fare con il nostro tempo, bisogna perciò essere progressisti in altro modo, inventarsi un modo nuovo di essere, dobbiamo assolutamente uscire dall'ignoranza qualunquistica con cui affrontiamo la realtà, soprattutto occorre un'inversione di rotta per recuperare i valori che abbiamo perduto. Nel dibattito politico non si insiste più di tanto sul problema culturale, che costituisce il nodo centrale di tutte le situazioni che si stanno verificando sotto i nostri occhi. Negli ultimi decenni la classe politica ha creato una forma di potere e quindi una forma di cultura che ha proceduto al più completo e totale genocidio di culture popolari, di valori, di sentimenti che la storia ricordi. Gli italiani hanno perduto per sempre il loro modo di essere, di comportarsi, di giudicare la realtà; è stato loro inculcato un modello di vita integralmente consumistico ed edonistico. La corruzione è diventato l'unico mezzo per ottenere qualsiasi cosa, soprattutto uno stile di vita impensabile per chi lavora onestamente. L'onestà è divenuto un disvalore, sinonimo di debolezza, incapacità, inerzia.

venerdì 31 agosto 2012

Come i terroni salveranno l'Italia?

Ho letto il libro "Giù al Sud" di Pino Aprile, sottotitolo "Perché i terroni salveranno l'Italia". E' la cronaca di un viaggio a tappe in paesi del Sud, taluni sconosciuti, altri noti solo per fatti di mafia o di degrado. Il ritmo narrativo è rapido, ma intenso e coinvolgente anche. Racconta di incontri che l'autore fa con i giovani dei vari paesi i quali quasi sempre lo applaudono e lo riconoscono come loro padrino, no, pardon! volevo dire come leader di un movimento d'opinione che si sta diffondendo ovunque nel Sud facendo proseliti per la causa comune: reagire alla storica colonizzazione del Sud da parte del Nord, che si è arricchito a nostre spese. Fantastico!...
Si tratta di riscrivere la storia, solo che questa volta saremo noi del Sud a tracciarne le linee. Secondo Aprile i giovani del Sud, sia quelli che restano sia quelli che vanno via, "non ne possono più del clima generale, del familismo amorale imperante, delle arroganze di paese piccole e grandi, delle caste professionali, dei corsi di formazione infinita, degli esami regalati, dei concorsi fasulli. Non ne possono più delle cariche lautamente retribuite e distribuite a pochi privilegiati, per lo più incompetenti e senza professionalità". Insomma, non ne possono più delle raccomandazioni al notabile di turno e nemmeno (aggiungo io) degli eventi culturali in cui la cultura è solo un penoso pretesto per dare spazio e voce a politicanti che con la cultura hanno ben poco a che vedere. Certo, questi vizi non sono più solo meridionali, ormai tutto il Paese è ridotto a letamaio, con la sola differenza che al Nord il servilismo veste altri panni, più sofisticati. Molti giovani dunque vanno via dal Sud disgustati da questo clima, ma soprattutto dalla povertà di risorse e di prospettive per il futuro. Il Sud, secondo la visione storica di Aprile, defraudato di ogni ricchezza da parte del Nord,ridotto in condizione coloniale sin dal 1860, solo ora prenderebbe coscienza della sua condizione, ribellandosi. Ma perché solo ora ci si accorge di questa condizione? E le responsabilità della classe dirigente meridionale perché non vengono evidenziate? Da quel che si intuisce nel libro l'autore tende a fornire ai politici del Sud un alibi inoppugnabile ripetendo il ritornello che "la classe dirigente di un territorio ridotto in condizione di subalternità può gestire il potere che gli viene delegato, solo se consenziente con progetti, idee, interessi di chi comanda davvero". Io direi che tutto ciò è stato ed è vero dal 1994 ad oggi, ma negli anni precedenti, non in tutti gli anni precedenti, ma in quel ventennio dopo De Gasperi, negli anni della I Repubblica, da De Gasperi a De Mita, che cosa è successo? Perché non si parla nel libro dei “limiti” della politica speciale, della Cassa per il Mezzogiorno, per intenderci, che nei primi anni, diciamo fino al 1973, ha funzionato abbastanza bene facendo intravedere possibilità di sviluppo per il Sud e poi nel ventennio successivo tutto è andato a rotoli? Perché i giovani di quelle generazioni non hanno impedito lo scempio dell’intervento straordinario, il degrado della politica, la nascita di un sistema etico-culturale costituito dalla stampa, dalle università, dalle chiese e dalle associazioni culturali, che hanno fornito valori svuotati di significato ed hanno svolto un ruolo fondamentale nella vita delle comunità del Sud? I giovani si ribellano oggi forse perché non possono più ottenere i vantaggi e i benefici dei loro padri e di chi li ha preceduti, e se così non fosse allora dovrebbero ribellarsi ai loro stessi padri, a quelli cioè che hanno alimentato con il loro cieco consenso il degrado di oggi. Secondo me dunque i terroni possono cambiare l'Italia solo se recuperano il senso civico della vita democratica, se si riappropriano del territorio con profondo senso di appartenenza e di identità collettiva.

domenica 5 agosto 2012

mercoledì 1 agosto 2012

domenica 8 luglio 2012

Di luglio

Quando su ci si butta lei,
Si fa d'un triste colore di rosa
Il bel fogliame.

Strugge forre, beve fiumi,
Macina scogli, splende,
È furia che s'ostina, è l'implacabile,
Sparge spazio, acceca mete,
È l'estate e nei secoli
Con i suoi occhi calcinanti
Va della terra spogliando lo scheletro.

Giuseppe Ungaretti

Da (Sentimento del Tempo - La fine di Crono - 1931)

lunedì 2 luglio 2012

A proposito del latino...

Circola in questi giorni d'esame una piccola querelle tutta interna alla scuola in cui lavoro e che riguarda il mancato inserimento del latino fra i quesiti della terza prova dell'esame di stato. Mi risulta abbastanza strano che solo ora ci si renda conto del fatto che l'insegnamento del latino occupa nel liceo scientifico un monte ore simile a quello della matematica e della fisica e che di conseguenza c'è un perfetto bilanciamento tra materie umanistiche e materie scientifiche. Sono anni che turandoci il naso facciamo finta che tutto va bene mentre niente ma proprio niente va per il verso giusto. Ce lo vogliamo dire finalmente come stanno veramente le cose, senza inibizioni e senza infingimenti?...
Miei cari colleghi, voi forse vi rifiutate di capire una cosa fondamentale, a proposito dell'insegnamento del latino nei licei, e cioè che questa materia è obbligatoria solo formalmente, mentre di fatto è snobbata e rifiutata dalla maggioranza degli studenti. Da noi, ma anche in tutte le altre scuole, da tempo esiste sul latino un' opzionalità clandestina per cui solo quelli che consapevolmente l'accettano (e sono pochissimi!) lo studiano, gli altri , disprezzandolo, lo mortificano con la loro ignoranza. L'insegnamento di questa nobile disciplina non può risolversi in nessun modo nello studio di declinazioni, verbi e costruzioni fini a se stessi, ma come strumenti di altro, per esempio per far conoscere il pensiero dei grandi che hanno costruito le basi della civiltà occidentale, per conoscere e capire le parole, le nostre e quelle degli altri, per sapere ascoltare e ascoltarsi, etc etc... finalità elevate, come si vede, che richiedono motivazione, sensibilità e consapevolezza, ma anche studio e competenze ad ampio raggio per essere conseguite! Il latino è difficile, non è per tutti, né si può pretendere di banalizzarlo con le fantasiose applicazioni multimediali, con i fumetti e i giochini che vorrebbero propinarci i pedagogisti più in voga. Il latino non è utile nella mentalità dei giovani d'oggi, perciò è tanto difficile apprenderlo e soprattutto insegnarlo, è come la poesia: quanti sono in grado di apprezzarla nella forma e nel contenuto? e poi a che serve la poesia? Miei cari, ho dimenticato di aggiungere, per finire, che non siamo noi di lettere a relegarci ad un ruolo di basso profilo e poco educativo.
La macchina ( riporto le testuali parole di un mio collega indignato) di furbizie, di sotterfugi, di meschinità, di opportunismi, e io direi anche di mascheramenti a coprire una profonda incultura è troppo gigantesca per i pochi che hanno fede nel nostro lavoro.

mercoledì 20 giugno 2012

Ammazzare il tempo

Eugenio Montale, Ammazzare il tempo (da Auto da fé. Cronache in due tempi, Il Saggiatore, Milano 1966)

Per Montale uno dei problemi più preoccupanti che si presenta all'uomo di oggi e di domani è "Ammazzare il Tempo". Il poeta sembra riproporre una questione che è stata ampiamente dibattuta dai pensatori antichi e moderni, da Seneca a S.Agostino a Pascal. Gli antichi avevano trovato però, ognuno a suo modo, una soluzione al dilemma che in ultima analisi era l'aristocratica scelta di privilegiare la qualità e non la quantità del tempo. Nel saper fare un uso sapiente del tempo rientrava la capacità di accettare la vecchiaia riconoscendo anche a quest'età i suoi aspetti positivi, ma noi, nel nostro tempo infame in cui è caduta ogni illusione, tranne quella, assurda, di prolungare artificialmente la giovinezza disprezzando la vecchiaia, come riempiremo il vuoto del tempo che ci si spalanca davanti come un orrido abisso?
In una civiltà come la nostra, in cui il lavoro comincia a scarseggiare a causa della crisi che vede chiudere industrie, fallire imprese, e impiegare sempre più massicciamente macchine sofisticate in sostituzione della mano dell'uomo, è veramente profetica la visione montaliana di uno spettro del tempo che si aggira nella dimensione quotidiana di ognuno di noi. Se non dovesse esserci più lavoro per tutti, come impiegheremmo il nostro tempo vuoto? Questa è la domanda, inquietante ma vera e più che mai attuale, che Montale si pone e ci pone. Lui dice che "pochi sono gli uomini capaci di guardare con
fermo ciglio in quel vuoto", da qui "la necessità sociale di fare qualcosa, anche se questo qualcosa serve appena ad
anestetizzare la vaga apprensione che quel vuoto si ripresenti in noi".
In conclusione, per ammazzare il tempo occorre riempirlo di occupazioni che abbiano un senso, ossia di lavoro.

da Casa sul mare

ll viaggio finisce qui:
nelle cure meschine che dividono
l'anima che non sa più dare un grido.
Ora I minuti sono eguali e fissi
come I giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir d'acqua che rimbomba.
Un altro, altr'acqua, a tratti un cigolio.
[E.Montale]

venerdì 1 giugno 2012

Il carattere di un popolo

Mi colpisce molto la laboriosità del popolo emiliano, sarà perché spontaneamente lo confronto con il popolo irpino, o comunque meridionale, in circostanze analoghe. Questi sfollati non si piangono addosso, anzi piangono senza piangersi addosso, sono spaventati, ma lottano contro la paura e già si apprestano a ricominciare...

lunedì 28 maggio 2012

Non Chiederci La Parola

Non chiederci la parola che squadri da ogni lato
l'animo nostro informe, e a lettere di fuoco
lo dichiari e risplenda come un croco
perduto in mezzo a un polveroso prato.

Ah l'uomo che se ne va sicuro,
agli altri ed a se stesso amico,
e l'ombra sua non cura che la canicola
stampa sopra uno scalcinato muro!

Non domandarci la formula che mondi possa aprirti,
sì qualche storta sillaba e secca come un ramo.
Codesto solo oggi possiamo dirti,
ciò che non siamo, ciò che non vogliamo.

E. Montale

martedì 22 maggio 2012

sabato 19 maggio 2012

Sulla scrittura

Un amico mi ha chiesto un parere sulle regole di una buona scrittura sul blog;  penso francamente (ma non mi ritengo un'esperta) che una scrittura spontanea e irriflessa sia la migliore, al di là di ogni regola (un minimo di grammatical correct ci deve pur essere!).
Mi viene in mente, a proposito di scrittura, quanto ho letto stamani sfogliando Svevo da  "Le confessioni del vegliardo: "... L'unica parte importante della vita è il raccoglimento. Quando tutti lo comprenderanno con la chiarezza ch'io ho tutti scriveranno. La vita sarà letteraturizzata. Metà dell'umanità sarà dedicata a leggere e a studiare quello che l'altra metà avrà annotato. E il raccoglimento occuperà il massimo tempo che così sarà sottratto alla vita orrida vera. E se una parte dell'umanità si ribellerà e si rifiuterà di leggere le elucubrazioni dell' altra, tanto meglio. Ognuno leggerà se stesso. E la propria vita risulterà più chiara o più oscura, ma si ripeterà, si correggerà, si cristallizzerà. Almeno non resterà quale è priva di rilievo, sepolta non appena nata, con quei giorni che vanno via e s'accumulano uno eguale all'altro di fronte agli anni, ai decenni, la vita tanto vuota, capace soltanto di figurare quale un numero di una tabella statistica del movimento demografico. Io voglio scrivere ancora".

venerdì 13 aprile 2012

In memoria

Locvizza il 30 settembre 1916.

Si chiamava
Moammed Sceab

Discendente
di emiri di nomadi
suicida
perché non aveva più
Patria
Amò la Francia
e mutò nome

Fu Marcel
ma non era Francese
e non sapeva più
vivere
nella tenda dei suoi
dove si ascolta la cantilena
del Corano
gustando un caffè

E non sapeva
sciogliere
il canto
del suo abbandono

L’ho accompagnato
insieme alla padrona dell’albergo
dove abitavamo
a Parigi
dal numero 5 della rue des Carmes
appassito vicolo in discesa.

Riposa
nel camposanto d’Ivry
sobborgo che pare
sempre
in una giornata
di una
decomposta fiera

E forse io solo
so ancora
che visse
G. Ungaretti

sabato 7 aprile 2012

lunedì 2 aprile 2012

Compiti sì compiti no

E' di questi giorni la polemica sulla questione dei compiti a casa. E' partita dalla Francia, dove la più autorevole Associazione dei genitori, la FCPE, ha protestato contro i compiti assegnati a casa ai bambini della scuola elementare, ritenuti "inutili e ingiusti", in quanto priverebbero molti allievi dell'aiuto dei genitori che lavorano fuori casa e non possono quindi sobbarcarsi anche della guida allo svolgimento dei compiti dei loro pargoli. Tale polemica ha avuto una vasta eco anche in Italia, tanto che lo stesso Ministro Profumo è intervenuto esprimendo la propria tesi, naturalmente a favore della riduzione dei compiti. Mi permetto di dire la mia: l'affermazione del ministro è, secondo me, capziosa in quanto, in primis, omette di considerare la diversissima situazione della scuola italiana rispetto a quella francese, poi trascura il fatto che la nostra scuola, pur mantenendo, per così dire, la tradizione dei compiti a casa, si è da tempo svuotata di reale e concreta sostanza.
Voglio parlare della mia personale esperienza di docente di un liceo scientifico, ebbene, nel lontano 1996, quando m'insediai stabilmente sulla cattedra di Italiano e latino, di cui tuttora sono titolare, mi fu detto a mo' di accoglienza che in quella scuola i ragazzi erano per lo più interessati alle materie scientifiche e alla matematica, perciò stessi ben attenta a non assegnare "troppi" compiti a casa, specialmente versioni di latino, per non sottrarre ai ragazzi tempo utile agli esercizi di matematica o di inglese (anche questa materia preferita perchè spendibile sul mercato). Di buon grado ho sempre accettato questa logica delle preferenze, anche perché amo la didattica laboratoriale e l'ho sempre praticata con entusiasmo. Voglio solo dire che ho introdotto nella mia scuola un laboratorio di scrittura permanente, sempre richiestissimo dai ragazzi, che è servito anche come attività di recupero per l'italiano, penalizzato dal limitato numero di ore necessarie per la pratica della scrittura. A lungo andare però le cose sono andate diversamente da come mi prefiguravo. Innanzitutto, a furia di ridurre i contenuti, di abbassare gli obiettivi, di uniformare gli intelletti, il latino è divenuto impraticabile, infatti non ci puoi sempre giocare in classe con le traduzioni collettive e facilitate, è necessario anche che ci si applichi personalmente, in maniera autonoma (la traduzione è anche esercizio di stile). E qui viene il bello: il tempo in classe è risultato via via sempre più insufficiente, a casa, gli studenti, per lo più pendolari, dispongono al massimo di due o tre ore in cui fanno matematica e inglese, il latino è messo da parte definitivamente. Ma non finisce qui: la stessa sorte è toccata all'italiano. Se parli del biennio, non puoi pretendere che a casa facciano esercizi di grammatica, riassunti o temi tutti i giorni, devi bilanciare il peso dei compiti con le altre discipline, mentre in classe, nelle poche ore di cui disponi e con un numero esorbitante di alunni, devi barcamenarti fra appello, giustificazioni, spiegazioni, interrogazioni,indicazioni e quant'altro. Se invece parli del triennio, scordati pure la Divina Commedia, tanto non la la leggono e, se pure l'ascoltano talvolta (per "divina" ispirazione dell'insegnante), rimane nella loro mente come una storiella d'altri tempi. Se poi parliamo di letteratura e vuoi azzardare l'ipotesi di un'analisi testuale da far fare a casa, sei una pazza. Già è troppo se imparano la vita, l'opera e il pensiero di un autore a quadrimestre, tanto per essere interrogati. Se infine pretendi che facciano dei collegamenti, che sappiano elaborare un concetto in totale autonomia o che sappiano individuare un preciso contesto storico di riferimento, allora sei non solo pazza ma una "rompi" bestiale. Signori miei, qui non è d'uopo dissertare su compiti sì o compiti no, qui è il sistema d'istruzione in toto che deve essere messo in discussione, per non parlare della valutazione, spina pungente nel fianco dell'istituzione scolastica.

mercoledì 21 marzo 2012

Quale cultura?

La cultura è cambiata. Avanza a grandi passi una cultura diversa, io direi con la "c" minuscola, facile e pronta all'uso, quasi un Fast food i cui ingredienti sono banali informazioni oppure sterili nozioni. Il bello è che la scuola legittima e consacra questa cultura o forse è costretta a farlo, non lo so. Di certo so che nella scuola c'è tanta confusione su questo argomento. Mi si potrà obiettare che la scuola non è la sede della cultura ma dell'istruzione, okay, su questo non ci piove! Ma l'istruzione che dà la scuola a quale uso è destinata? Che istruzione è? Io penso che essa è un un insieme di strumenti, di mezzi che devono servire in ultima analisi ad impossessarsi della cultura, che è conoscenza, capacità, abilità da spendere in futuro in ogni campo. Ebbene, se l'istruzione è finalizzata alla cultura, i suoi contenuti debbono essere culturali, o no?
Il dilemma mi è sorto stamattina in classe nel momento in cui, interrogando un allievo su Tacito, per tutta risposta mi sono sentita un guazzabuglio di informazioni, diciamo di nozioni che l'allievo aveva "scaricate" da Wikipedia. Voi direte: "Bene, il ragazzo ha voluto approfondire l'argomento!" E invece no. Il ragazzo, invitato ad elaborare autonomamente qualche concetto fondamentale, si è sorpreso della sua stessa incapacità e sicuramente mi ha odiato pensando ad una persecuzione contro di lui. Anche perché mi sono infuriata e mi è scappato di dire a gran voce: "Wikipedia lo deve usare tuo padre e quanti come lui sono fuori dal mondo della scuola, unicamente per informarsi su ciò che non sanno! Voi invece dovete studiare sui libri e capire le spiegazioni dell'insegnante!" Da questa mia battuta è scaturito un putiferio: il ragazzo si è sentito offeso perchè ho fatto riferimento al padre non capendo che era lui che si doveva sentire offeso in quanto studente liceale. La discussione è un pò degenerata, perchè io ho voluto rimarcare l'importanza della cultura umanistica in un liceo scientifico, cosa che i ragazzi, alcuni insegnanti e il clima culturale in genere stanno mettendo sotto i piedi. Il latino è ridotto ai minimi termini, la letteratura non conta nulla, la lingua italiana è un optional; abbiamo casi estremi di alunni che in quinta non sanno leggere e scrivere, e ciò nonostante...
Vi assicuro, non sono esagerazioni le mie, i ragazzi copiano tutti i compiti e non c'è nulla da fare, a meno che non vuoi inimicarti genitori e presidi. Il liceo scientifico garantisce la promozione solo a coloro che sanno fare qualche calcolo matematico, le materie umanistiche non sono tenute in grande considerazione. Molti cominciano a pensare che la cultura umanistica serva da corollario a quella tecnica e scientifica. Se così fosse , quale nuova cultura sta emergendo? A questo punto, a che serve che noi docenti ci adeguiamo all'uso dei computer? Mi piacerebbe aprire un dibattito serio su questi problemi, sulla credibilità della scuola , sul futuro delle giovani generazioni...

venerdì 16 marzo 2012

I giovani sono ignoranti? La colpa non è della scuola

La scuola è come un ospedale dove si recano i malati che hanno bisogno di curarsi. Se però la famiglia non ha abituato i figli a leggere, essa può fare poco o anche niente. La scuola dà l'istruzione per l'uso (a chi ne ha bisogno), è come il bugiardino dei farmaci, ti dà le informazioni, ti suggerisce la giusta posologia, ti dà le dovute avvertenze, ma se tu che sei il malato ti rifiuti di guarire, sei destinato a morire.

domenica 11 marzo 2012

L'acqua

Un giorno l'acqua, trovandosi nel suo elemento, ossia nel superbo mare, fu presa dalla voglia di salire nel cielo.
Si rivolse allora ad un altro elemento, cioè al fuoco, pregandolo di aiutarla. Il fuoco acconsentì, e col suo calore la fece diventare più leggera dell'aria trasformandola in sottile vapore.
Il vapore s'innalzò nel cielo, andò molto in alto, fino agli strati più sottili e più freddi dell'aria, dove il fuoco non poteva più seguirlo. Allora le particelle del vapore, intirizzite dal freddo, furono costrette a stringersi insieme, diventando più pesanti dell'aria. E caddero, giù, sotto forma di pioggia. Anzi, non caddero, ma precipitarono. Erano salite nel cielo troppo piene di superbia, e furono messe in fuga. La pioggia fu bevuta dalla terra secca: e così, restando tanto tempo imprigionata nel suolo, l'acqua scontò il suo peccato con una lunga penitenza.

[ Leonardo Da Vinci, Favole, Fo.III.2 r.]

giovedì 8 marzo 2012

8 Marzo: niente da festeggiare

Sono 31 le donne uccise dall'inizio dell'anno in Italia: un dato sconcertante, inaccettabile per un Paese civile!La violenza fisica non è che un retaggio culturale arcaico, un istinto cieco ed elementare che ha radici profonde, giammai sradicate. Oggi non c'è proprio niente da festeggiare, ha dichiarato l'Associazione Telefono Rosa, e lo dico anch'io, in piena convinzione. Ci eravamo illuse sull'emancipazione, riaffiorano invece, anzi si riconfermano in tutta la loro brutalità gli stereotipi consueti, antichi quanto il mondo.
Tutto comincia (stando ai tempi più vicini a noi)con la scienza positivista che teorizza l'inferiorità della donna per ribadirne il ruolo di madre e di angelo tutelare della famiglia. Medici, scienziati, psichiatri e filosofi, da Lombroso a Nietzsche allo stesso Freud, confermano una visione negativa della donna. Addirittura ci fu all'inizio del Novecento un filosofo austriaco che in un saggio tentò di fondare una filosofia dei sessi, considerando il sesso maschile come momento costruttivo del buono, del bello, del vero, e quello femminile come momento opposto. Quel saggio, intitolato "Sesso e carattere" ebbe un successo strepitoso e contribuì non poco alla teorizzazione del diverso come inferiore e della donna associata ai diversi, come gli ebrei o i neri. Il Verismo contribuisce in modo sostanziale al mutamento della raffigurazione della donna e dell'erotismo, accentuando la scissione tra spiritualità e fisicità del desiderio: l'amore diventa una spinta dei sensi, un istinto violento e anche delittuoso. Tematiche come quella dello stupro, presente in una novella di Verga (Tentazione)indagano la fisiologia amorosa nei suoi versanti patologici. E' superfluo elencare quello che aggiunse in seguito il Fascismo sulla donna, con la sua retorica aberrante i cui residui si sono perpetuati fino ai nostri giorni, nel quasi ventennio del berlusconismo. Ma non mi va di ripercorrere la storia dell'antifemminismo nell'arte e nella letteratura, voglio dire solo che la deformazione dell'immagine femminile è stata scientemente costruita dagli uomini che della donna avevano paura, perché sottraeva loro la facoltà del possesso e del dominio.Oggi abbiamo la televisione che ci propina quotidianamente donne svuotate di coscienza e ricche di carne, che mute fanno da contorno in trasmissioni condotte da uomini, ma di che parliamo? Tante, troppe donne oggi non sono ancora consapevoli dei loro diritti di persone e pensano che vestirsi alla moda o anche svestirsi significhi realizzazione di sé e della propria vita.

mercoledì 7 marzo 2012

Quando dici poeta...

A tutti i giovani raccomando:
aprite i libri con religione,
non guardateli superficialmente,
perché in essi è racchiuso
il coraggio dei nostri padri.
E richiudeteli con dignità
quando dovete occuparvi di altre cose.
Ma soprattutto amate i poeti.
Essi hanno vangato per voi la terra
per tanti anni, non per costruivi tombe,
o simulacri, ma altari.
Pensate che potete camminare su di noi
come su dei grandi tappeti
e volare oltre questa triste realtà
quotidiana.

Alda Merini, da "La vita facile"

martedì 14 febbraio 2012

Presagi sulla democrazia

"Se cerco di immaginarmi il nuovo aspetto che il dispotismo potrà avere nel mondo, vedo una folla innumerevole di uomini eguali, intenti solo a procurarsi piaceri piccoli e volgari, con i quali soddisfare i loro desideri. Ognuno di essi, tenendosi da parte, è quasi estraneo al destino di tutti gli altri: i suoi figli e i suoi amici formano per lui tutta la specie umana; quanto al rimanente dei suoi concittadini, egli è vicino ad essi, ma non li vede, li tocca ma non li sente affatto; vive in se stesso e per se stesso e, se gli resta ancora una famiglia, si può dire che non ha più patria.

Al di sopra di essi si eleva un potere immenso e tutelare, che solo si incarica di assicurare i loro beni e di vegliare sulla loro sorte. E' assoluto, particolareggiato, regolare, previdente e mite. Rassomiglierebbe all'autorità paterna se, come essa, avesse lo scopo di preparare gli uomini alla virilità, mentre cerca invece di fissarli irrevocabilmente nell'infanzia, ama che i cittadini si divertano, purché non pensino che a divertirsi. Lavora volentieri al loro benessere, ma vuole esserne l'unico agente e regolatore; provvede alla loro sicurezza e ad assicurare i loro bisogni; facilita i loro piaceri, tratta i loro principali affari, dirige le loro industrie, regola le loro successioni, divide le loro eredità; non potrebbe esso togliere interamente loro la fatica di pensare e la pena di vivere?"
Alexis de Tocqueville, La democrazia in America, 1835

sabato 11 febbraio 2012

mercoledì 8 febbraio 2012

Il liceo sportiv

In riferimento all'ultimo Collegio dei docenti nella cui sede si è discusso sulla eventualità di accogliere la proposta pervenutaci dal Comune di Sturno di aggregare al nostro liceo scientifico un nuovo indirizzo sportivo, appare opportuno puntualizzare lo “stato dell’arte” per quanto riguarda i cosiddetti “licei a indirizzo sportivo”.

Il riordino delle sperimentazioni ad indirizzo sportivo, previsto dall’articolo 3, comma 2 del decreto del Presidente della Repubblica 15 marzo 2010, n. 89, non è ancora intervenuto: sopravvivono, pertanto, le sperimentazioni già autorizzate, ma non possono essere attivati, in nessun caso, nuovi percorsi presso altre istituzioni scolastiche.

È ben vero che il regolamento di riordino è stato approvato in prima lettura, ma l’iter è tutt’altro che concluso e, soprattutto, manca l’approvazione definitiva da parte del Consiglio dei Ministri, unico atto in grado di dare (o meno) l’imprimatur al nuovo indirizzo.
Prot. n. MIUR AOODRLO R.U. 13542
Milano, 15 dicembre 2011

Le istituzioni scolastiche possono ovviamente, utilizzando gli strumenti dell’Autonomia – disciplinati, per quanto riguarda i licei, dal D.P.R. 89/2010 ed in particolare dall’articolo 10, c. 1, lett. c (quote di autonomia), c. 2, lett. c e c. 3 – realizzare particolari curvature “sportive” innestate su uno qualsiasi dei percorsi ordinamentali.

Nel caso si voglia percorrere questa strada, è comunque fatto espresso divieto di utilizzare espressioni quali “indirizzo sportivo” o “opzione sportiva”, poiché i termini “indirizzo” e “opzione” hanno rilevanza ordinamentale e possono essere utilizzati solo nelle situazioni previste dalla legislazione vigente. Le istituzioni scolastiche sono inoltre chiamate a rendere esplicito che l’esame di Stato e il titolo rilasciato al termine del percorso sono quelli previsti dall’ordinamento: a titolo puramente esemplificativo, nel caso in cui una curvatura sportiva sia innestata su un liceo classico lo studente dovrà affrontare le prove dell’esame di Stato previste per il liceo classico e il suo diploma sarà di liceo classico.


CONSIDERAZIONI
L'istituzione del liceo scientifico sportivo è stato sollecitato da Manuela Di Cento, deputata del Pdl al Ministro Gelmini che l'ha subito accolta con entusiasmo, attivandosi ad inserire nel nuovo Ordinamento dei licei questa opzione. L'iniziativa è parsa a molti abbastanza discutibile, considerando l'offerta formativa già abbastanza indebolita dai tagli al monte ore di discipline portanti. Qualcuno ha voluto evidenziare che sostituire l'istruzione con l'attività fisica è tipico dei regimi autoritari, altri pongono il dubbio che lo sport debba essere inteso come strumento di lavoro. Di quale lavoro si tratterebbe? Le materie insegnate saranno tutte declinate allo sport: storia dello sport, letteratura dello sport, diritto dello sport ecc. Il profilo in uscita? Persone preparate alla pratica e alla didattica di attività sportive,capaci di organizzare grandi eventi come le Olimpiadi, oppure, in un prosieguo degli studi, fisioterapisti, medici, esperti della comunicazione. Certo è che dobbiamo abituarci all'idea...

lunedì 6 febbraio 2012

neve di casa mia...

Benedetta sei tu, bianca neve
che avvolgi le cose
in un tacito manto,
benedetta ancor più
perché copri il lordume del mondo...




domenica 5 febbraio 2012

Talvolta subentra la sfiducia

"Talora giaccio in una malinconia insanabile, quando veggo intorno a me il nulla, e me il nulla col tutto, e allora anche l'amicizia mi sfugge; e niente mi può liberare dalla noia mortale che mi circonda; Qui io sono come in Siberia... distrazione nessuna; uniformità e silenzio... Tengo nella mente come qualcosa di piombo che la rende ottusa e tarda: e qui muore ogni aspirazione... e si estingue ogni fiamma"

Francesco De Sanctis

giovedì 2 febbraio 2012

Un Patto per la Giustizia in Alta Irpinia

Il Patto per la Giustizia tra i rappresentanti dei Comuni dell' Alta Irpinia e gli operatori della giustizia del Circondario di Sant'Angelo dei Lombardi rappresenta il primo tra i settori che si intendono affrontare per trovare valide soluzioni.
Gli Stati Generali dell’Alta Irpinia stanno elaborando indicazioni su altri importanti segmenti della società come la sanità, l’ occupazione, l’ ambiente e i trasporti.
Il senso dell'iniziativa è quello di evitare inutili polemiche preferendo, piuttosto, formulare proposte strategicamente collegate tra loro, nell'ambito di un complessivo progetto teso alla valorizzazione ed allo sviluppo dell'intera provincia di Avellino.
Il Presidente della Repubblica, in occasione della VII Conferenza Nazionale dell'Avvocatura, ha affermato " la modernizzazione del 'sistema giustizia' costituisce obbiettivo indifferibile imposto sia dall'esigenza di assicurare al cittadino procedure giudiziarie di 'ragionevole durata' sia per le gravi conseguenze che le odierne inefficenze comportano per la competitività del Paese ".
Si ritiene, tuttavia, che una giustizia efficiente ed efficace è soprattutto quella vicina al cittadino, riuscendo così anche a proporsi come un' insostituibile risorsa per lo sviluppo del territorio.
Il Presidente dell'Organismo Unitario dell'Avvocatura, lanciando un "Patto per la Giustizia di prossimità" contro la chiusura di oltre 50 tribunali, ha rappresentato che "questo tipo di riforme si fanno dialogando con chi opera sul territorio e non possono essere calate dall'alto" ed ha sostenuto " la necessita di garantire il mantenimento di presidi di legalità e sicurezza soprattutto in zone a rischio come in alcune realtà del Sud Italia, ed al tempo stesso l'efficienza del servizio e l'eliminazione degli sprechi".
E' quanto si intende realizzare in Alta Irpinia attraverso un "Patto per la Giustizia con i Comuni ed i Cittadini " per porre questi ultimi al centro del "Servizio Giustizia".
Il Patto nasce dalla richiesta delle popolazioni "assetate di giustizia": infatti, ingiustificatamente vengono eliminati molti dei servizi essenziali nelle aree interne destinando così risorse e strumenti esclusivamente alle aree metropolitane ed ai grossi centri urbani, con la inevitabile conseguenza di disuguaglianze sociali e di trattamento dei cittadini sulla base di un mero criterio di collocazione territoriale.
Questa ingiustizia può essere interrotta facendo comprendere in tutte le sedi Istituzionali che l'intera Campania può continuare a vivere solo riequilibrando questi territori, rendendoli tutti vivibili in egual modo.
Un Patto in cui da un lato i magistrati, gli avvocati, il personale amministrativo e tutti gli operatori del settore si impegnano a continuare a fornire ai cittadini un servizio giustizia efficiente e di qualità, dall'altro tutti i 28 Comuni del Circondario si impegnano a contribuire al mantenimento del Palazzo di Giustizia, in tal modo alcun vantaggio ne deriverebbe allo Stato da un eventuale accorpamento ad altro ufficio giudiziario.
Un Patto con la gente per una giustizia, non calata dall'alto, che tenga conto del particolare tessuto economico ed imprenditoriale, delle specifiche caratteristiche storiche, paesaggistiche ed ambientali del territorio favorendo così la sua tutela, valorizzazione e sviluppo.
Il Patto è l'espressione di un'alleanza tra tutti gli operatori del settore ed i cittadini per un comune obbiettivo : fornire una giustizia umana, efficiente,che punti sull'innovazione organizzativa, sull'informatizzazione dei servizi, sulla digitalizzazione ed archiviazione dei dati, sull'ottimizzazione delle risorse, sì da costituire un'importante risorsa per il territorio.
Un Patto per una giustizia non distante dal cittadino, non accentrata in mega strutture in cui le istanze di legalità diventano solo numeri e pratiche da definire ma in grado di conoscere approfonditamente le necessità della popolazione ed i suoi specifici bisogni e, nel contempo, di fornire servizi adeguati alle caratteristiche del territorio.
La Provincia di Avellino, infatti, si estende su un territorio per gran parte montuoso di circa 2800 kmq., che oltre al capoluogo comprende ben 118 comuni. Di questi centri ben 100 non superano i cinquemila abitanti e sono quindi piccoli comuni.
Con regio decreto del novembre 1861, ovvero da ben 150 anni, furono assegnati alla circoscrizione di Sant'Angelo dei Lombardi oltre 1300 kmq., area che risultava baricentrica a tutta una serie di territori vastissimi su cui amministrare la giustizia e che, originariamente, comprendeva ben 36 comuni tra cui Monteleone, Anzano, Accadia, Rocchetta San Antonio, Orsara. Ben otto di questi comuni, nella prima metà del Novecento, furono trasferiti dalla provincia di Avellino a quella di Foggia e furono inclusi in quest'ultimo Circondario. Nel predetto decreto istitutivo la popolazione del circondario di S. Angelo L. risultava pari a 117.852 abitanti, di poco inferiore a quelle del circondario di Avellino, Campobasso e Reggio e superiore a quelle di Palmi, Rossano e Larino, prima che un'emigrazione (ancora purtroppo perdurante) dissanguasse le aree interne.
L'area storicamente denominata Alta Irpinia ha delle specificità che vanno tutelate e valorizzate con bellissimi boschi e splendide vallate ed attraversata da importanti fiumi come il Calore, l'Ofanto, il Sele, l'Ufita e comprende numerosi ed armoniosi centri arroccati intorno ad un castello e ad una chiesa, rinomati centri turistici e religiosi, numerosi importanti insediamenti industriali.
Questo vastissimo territorio che si protende sino alla Puglia e alla Basilicata, con risorse vitali come l'acqua, di cui usufruiscono sette milioni di abitanti ubicati in tre regioni, con prodotti unici, come la qualità dei vini e delle castagne, ha un'enorme patrimonio ambientale e paesaggistico sostanzialmente intatto che deve essere tutelato perché di importanza strategica per il futuro dell'intero Mezzogiorno.
Ed a presidio di questo territorio "assetato di giustizia", con tali rilevanti specificità storiche, economiche e culturali, i Grandi dell'Unità d'Italia ritennero opportuno porre una Procura ed un Tribunale.
Sopprimere il Circondario di Sant'Angelo dei Lombardi significa disgregare e confondere queste peculiarità e rendere più difficile la tutela e la valorizzazione del territorio compromettendo così il futuro di numerosi piccoli paesi già duramente colpiti da un secolo e mezzo di emigrazione e da terremoti distruttivi.
Dove si amministra la giustizia è un luogo oltre che di confronto, di riconoscimento reciproco che non può non adattarsi alle diverse realtà in cui opera. E questo è possibile solo con una "giustizia di prossimità" perché diritti solo formalmente enunciati vengano realmente tutelati per comunità situate in località montuose molto distanti da Avellino.
Diverse, infatti, sono le esigenze di giustizia di una comunità a seconda che si tratti di una popolosa area metropolitana o di un vasto territorio montuoso pari a 1200 kmq. costituito da numerosi paesi ubicati in aree molto distanti tra loro e scarsamente collegate al capoluogo di provincia.
Omologare tutto, in una sorta di globalizzazione della giustizia, significa svilire queste specifiche esigenze e impedire ai suoi operatori di potersi effettivamente rapportare alla specifica realtà economica, sociale e culturale esistente.
La giustizia non è un prodotto commerciale, ma un valore da tutelare perché comprende il tessuto sociale in cui si opera per preservane la sua identità e le sue specifiche peculiarità.
L'Alta Irpinia chiede che ricominci a spirare il vento della giustizia verso le aree interne del Mezzogiorno, e che ad un progressivo abbandono di tutti i servizi quasi esclusivamente indirizzati verso le aree metropolitane (ormai completamente intasate e saccheggiate da colate di cemento) segua un progetto complessivo di rilancio di questi bellissimi territori.
La vera fabbrica dell'identità dell'Irpinia sono da sempre stati questi piccoli paesi, che costituiscono principale fonte di elaborazione culturale che ha consentito a queste comunità nel corso dei secoli di costruire il loro futuro.
Per l'Irpinia risulta particolarmente valida l'affermazione del Ministro Minghetti espressa nel progetto di legge del 1861 sulla circoscrizione provinciale e comunale "intorno alla città, quasi intorno al nucleo di cristallizzazione, poco a poco si agglomerarono i comuni minori e rurali, e strinsero vincoli che non si possono né disgregare, né confondere con altri."
Le peculiarità espresse dall' intera Alta Irpinia, che non si possono nè confondere nè disgregare, costituiscono quel reticolo di valori sociali e culturali intessuto dalle popolazioni di questi luoghi nel corso dei secoli e che ha consentito a queste comunità di esprimere, in tutti i campi, l'intellighenzia protagonista indiscussa del proscenio nazionale. Un mondo ben espresso da Francesco De Sanctis che va difeso perché è stato il principale centro di elaborazione di idee ed idonea fucina di personalità che, dal mondo della politica a quello della cultura, hanno segnato la storia del nostro Paese.
Mantenere un Palazzo di Giustizia in Alta Irpinia significa continuare a dare un futuro alle aree interne. Un Tribunale ha un senso se intorno esistono delle comunità che vogliono continuare a vivere ed a svilupparsi. Non è un caso che gran parte degli uffici giudiziari, di cui si discute la soppressione, sono nelle aree interne appenniniche tra cui: Sulmona, Avezzano, Lanciano, Castrovillari e Vallo della Lucania.
Abolire i Tribunali nelle aree interne toglierebbe definitivamente ogni ulteriore possibilità di sviluppo a questi territori. Se la giustizia è indiscutibilmente una risorsa, lo Stato non può sottrarre a questi territori una delle fondamentali precondizioni per il loro sviluppo.
In particolare, la Procura ed il Tribunale di Sant'Angelo sono stati sinora non solo una diga per contrastare la crescente invasione delle organizzazioni criminali presenti nel territorio campano e pugliese ma hanno consentito alle popolazioni locali di ottenere rapidamente giustizia. E questi servizi sono irrinunciabili soprattutto per comunità ubicate in luoghi impervi, in località molto distanti tra loro e prive di adeguati collegamenti pubblici.
Non avrebbe alcun senso eliminare una delle strutture ritenute dallo stesso Ministero della Giustizia tra le più efficienti ed informatizzate in Italia.
Il Tribunale, oltre ad aver eliminato quasi del tutto l’arretrato, è in grado oggi di mantenere la durata dei processi nei limiti previsti dalla normativa nazionale ed europea, in piena osservanza del dettato costituzionale. E’ inoltre all’avanguardia sul piano della riconversione telematica, avendo informatizzato tutti i registri, realizzato un sistema di iscrizione degli affari civili mediante lettori digitali di codici a barre, avviato le notifiche telematiche nel settore civile, promosso (mediante insistenti richieste alle quali attende risposta) l’avvio del processo telematico integrato.
Sono partiti, per la Campania, dalla Procura della Repubblica di Sant'Angelo d.L., nel corso degli ultimi anni, tutti i principali progetti di modernizzazione della giustizia: dalle Best Practices al sistema Pass, dalla realizzazione di un innovativo ed interattivo sito Web al Progetto Straordinario per la Digitalizzazione ed archiviazione dei dati processuali.
A conferma di questi dati, elogi sulla produttività, efficienza e capacità di ottimizzare le risorse sono stati espressi, congiuntamente dal Presidente della Corte di Appello e dal Procuratore Generale di Napoli nelle loro relazioni per l’Inaugurazione dell’Anno Giudiziario del 28 gennaio 2012 nei confronti della Procura della Repubblica e del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi.
In particolare il Presidente della Corte d’Appello ha evidenziato come “ Il Tribunale di S. Angelo dei Lombardi vive, da circa 2 anni, una stagione di buona ed apprezzata efficienza. E come l’anno precedente si registra una sensibile riduzione della pendenza nella quasi totalità dei settori e una pari riduzione della durata dei processi”.“L’abnegazione degli interi uffici di Procura hanno consentito di ricondurre iscrizioni e investigazioni arretrate entro limiti di ragionevolezza, tali da diminuire, anche se non eliminare del tutto il fenomeno delle prescrizioni e comunque ridurre, con riguardo ai reati ordinari con imputati noti, le pendenze finali. Tra le Procure minori, Sant’Angelo dei Lombardi che ha registrato il brillante risultato dell’avvenuto dimezzamento delle pendenze”. ( Rel. p.p. 55-56,60 ).
Ed il Procuratore Generale di Napoli dr. Vittorio Martusciello nel suo intervento ( p. 5) tra l’altro, afferma “In proposito devo rilevare con soddisfazione che nel corso delle visite che ho inteso fare alle nove Procure della Repubblica del Distretto, in molte sedi ( Nola, Torre Annunziata, Santa Maria Capua Vetere, Sant’Angelo dei Lombardi ) è emersa una incredibile capacità di attivare, con lo spirito di sacrificio del personale amministrativo e con la collaborazione della classe forense, una serie di progetti volti a migliorare gli standard di servizi, a conferire efficienza al sistema e a contenere i costi (digitalizzazione e postazioni di c.d. front office; processo telematico civile, posta elettronica certificata, pagamenti “on line”). Iniziative lodevoli che vanno sviluppate ed implementate”.
Và rilevato che Tribunale e Procura sono allocati in un edificio di notevole volumetria, funzionale, antisismico, totalmente cablato, che ospita anche il Giudice di Pace: una vera e propria cittadella della Giustizia.
Non si comprenderebbero i motivi per cui occorre accorpare un Palazzo di Giustizia come quello di Sant'Angelo unanimemente ritenuto il più moderno e funzionale esistente in Irpinia ad uno, come quello di Avellino, già insufficiente ad ospitare gli operatori ivi addetti, determinando così la paralisi della giustizia per l'intera provincia.
Ben più conforme ad una logica di sviluppo di questi territori sarebbe un progetto di modifica che preveda l’ampliamento di questo circondario ad esso accorpando diversi altri comuni, tra cui i sette originariamente ricompresi nel disegno del 1865, e che nella prima metà del secolo scorso furono trasferiti nella provincia di Foggia.
Infatti, il circondario di Foggia è particolarmente esteso e con numerose, popolose cittadine in cui sono presenti rilevanti organizzazioni criminali sicché il prospettato accorpamento migliorerebbe la funzionalità del servizio giustizia in tutta quella fascia di territorio situata tra Campania, Puglia e Basilicata. Inoltre, potrebbero essere accorpati altri comuni delle vicine Circoscrizioni di Salerno quali: Castelnuovo di Conza, Santomenna e Laviano; di Potenza come: Pescopagano e Rapone, e di Avellino come Volturara, Montemarano e Castelvetere. Tutti i predetti comuni risultano topograficamente vicini e ben collegati a S.Angelo d.L. tanto che le rispettive popolazioni già usufruiscono di alcuni suoi servizi, come quello scolastico presso gli Istituti Superiori esistenti.

Siamo certi che il Ministro della Giustizia e gli organismi competenti terranno in adeguata considerazione che il Circondario di S. Angelo dei Lombardi risulta :
1) all'interno di una vasta area montuosa estesa circa 1200 kmq., con ben 28 comuni ed un rilevante patrimonio ambientale e paesaggistico da tutelare e per questo sottoposto a specifici vincoli dalla legge ( ad es. Parco Naturale dei Monti Picentini da cui nascono i principali acquedotti del Sud Italia: Pugliese ed Alto Calore );
2) con un circondario vicino alle province di Napoli, Foggia e Potenza dove è rilevante la presenza di organizzazioni criminali e mafiose;
3) con importanti insediamenti industriali ubicati in Calitri, Conza della Campania, Calaggio ( Lacedonia ), Nusco- Lioni- Sant’Angelo dei Lombardi, Morra de Sanctis e Calabritto;
4) con un Palazzo di Giustizia moderno, funzionale ed altamente produttivo ed informatizzato;
5) vicino ad un’altra decina di comuni ricompresi nelle province di Foggia, Salerno, Potenza ed Avellino, i quali, se ricompresi nel circondari di S.Angelo, avrebbero un servizio giustizia piu efficiente;
6) Vorrà inoltre tenere in adeguata considerazione che i Comuni del Circondario si impegnano a contribuire al mantenimento delle spese di gestione del Palazzo di Giustizia sollevando, in tal modo, da ogni onere di spesa il Ministero della Giustizia.

Un Patto, dunque, per la difesa della giustizia di prossimità. Perché la giustizia rappresenta il coraggio e la difesa dei più deboli. Perché non c'e pace senza giustizia. Perché non si intende rinunciare alla tutela del bene comune.
Perché l'Alta Irpinia vuole continuare ad esistere.

Stati Generali dell'Alta Irpinia - - - Pres. Consiglio dell'Ordine Avvocati Sant'Angelo L.

sabato 28 gennaio 2012

pensando alla scuola...

Una scuola che rinuncia a giudicare, che opta per una indistinta tolleranza, rischia di favorire alternative elitarie, che premiano più il censo del merito. Stamane il preside si è affacciato sulla porta della mia classe dicendomi: "professoressa, questi alunni sono proprio degli incolti, bisognerebbe insegnare loro l'abc!" Bella scoperta! Ho detto e ripetuto, non so più quante volte, che nella scuola talvolta si creano situazioni sconcertanti. Alcune classi vengono formate in un modo assolutamente sbagliato, creando un ambiente troppo omogeneo per provenienza sociale e culturale.Si sa che un buon ambiente può supplire alle manchevolezze nell'educazione della famiglia. Un ambiente vario fatto di compagni più bravi, di diversa provenienza sociale e culturale è molto più formativo di un ambiente omogeneo Nella classe in questione, che io ho preso in terza, all'inizio del triennio, i ragazzi sono per lo più accomunati dalle medesime difficoltà, soprattutto di natura linguistico-espressiva. Trattasi di ragazzi che provengono da ambienti culturali alquanto modesti, in cui l'educazione data dalle famiglie cozza con l'ambiente della strada, del quartiere o della contrada dove abitualmente trascorrono gran parte del loro tempo. Molti di questi si esprimono in dialetto e non leggono quasi nulla, a parte il Corriere dello sport, se lo leggono. Io non vorrei improvvisarmi Don Milani, ma si sa che i cosiddetti privilegiati hanno avuto un'educazione solida e, per quanto riguarda la scuola, i bravi spesso sono stati supportati nelle varie discipline sin dalle elementari. Alcuni ragazzi di questa classe non sanno leggere bene né comprendere ciò che leggono, per povertà di lessico, altri commettono errori di ortografia quando scrivono e altri non riescono a esprimere compiutamente un loro pensiero. Mi si dirà: Che ci fanno in un liceo scientifico siffatti alunni? La risposta è semplice, o forse semplicistica: molti hanno uno spiccato intuito matematico e riescono senza troppi sforzi nella matematica, nella fisica e nelle scienze in genere, dunque, anche se non hanno un bagaglio culturale adeguato, la scuola, per effetto di una miscela di paternalismo, buonismo, ipocrita egualitarismo, li promuove, soprattutto perché l'insegnamento disciplinare è sempre più svalutato e depurato da difficoltà concettuali. Questa è la scuola dei nostri tempi, e chi si scandalizza di certi risultati è secondo me un ipocrita conformista che è convinto che i risultati positivi siano l'effetto di un valido insegnamento e non anche dei tanti fattori che fuori della scuola influiscono sul percorso dei singoli alunni.

sabato 21 gennaio 2012

Rivolte e rivoluzione

In un noto aforisma di Bruno Munari si dice:"la rivoluzione va fatta senza che nessuno se ne accorga". Ci sono rivolte e contestazioni violente che spesso non producono effetti, se non momentanei, ma la rivoluzione non violenta, silenziosa, basata sul
convincimento, sull'autorevolezza, quella che non riguarda la sfera politica, ma la percezione del mondo, è infinitamente più condivisa di qualunque altra rivoluzione.

mercoledì 18 gennaio 2012

S. Antuono, "maschere e suono"





Con la piccola festa di S.Antuono (il 17 gennaio) al mio paese iniziavano le "mascherate": gruppi di giovani della campagna e del "paese" acccompagnati da strumenti musicali, per lo più fisarmoniche, andavano in giro improvvisando balletti e cantando canzoni campestri. Ciò durava fino a Carnevale, quando, per la Quaresima, s'interrompeva ogni divertimento.

lunedì 16 gennaio 2012

"Traversando la Maremma Toscana"

Dolce paese, onde portai conforme
l’abito fiero e lo sdegnoso canto
e il petto ov’odio e amor mai non s’addorme,
pur ti riveggo, e il cor mi balza in tanto.

Ben riconosco in te le usate forme
con gli occhi incerti tra ’l sorriso e il pianto,
e in quelle seguo de’ miei sogni l’orme
erranti dietro il giovenile incanto.

Oh, quel che amai, quel che sognai, fu in vano;
e sempre corsi, e mai non giunsi il fine;
e dimani cadrò. Ma di lontano

pace dicono al cuor le tue colline
con le nebbie sfumanti e il verde piano
ridente ne le pioggie mattutine.



Giosuè Carducci

domenica 1 gennaio 2012

IL DISCORSO DEL PRESIDENTE NAPOLITANO

Di seguito pubblichiamo il discorso di fine anno di Giorgio Napolitano in versione integrale.

Buona sera e buon anno. E innanzitutto, grazie. E' un grazie che debbo a tanti di voi, a tanti italiani, uomini e donne, di tutte le generazioni e di ogni parte del paese, per il calore con cui mi avete accolto ovunque mi sia recato per celebrare la nascita dell'Italia unita e i suoi 150 anni di vita. Grazie per la partecipazione sentita e significativa a quelle celebrazioni, per lo spirito di iniziativa che si è acceso nelle più diverse istituzioni e comunità, accompagnando uno straordinario risveglio di memoria storica e di mobilitazione civile, e portando le celebrazioni del Centocinquantenario a un successo, per quantità e qualità, superiore anche alle previsioni più ottimistiche. Il mio è, in sostanza, un grazie per avermi trasmesso nuovi e più forti motivi di fiducia nel futuro dell'Italia. Che fa tutt'uno con fiducia in noi stessi, per quel che possiamo sprigionare e far valere dinanzi alle avversità : spirito di sacrificio e slancio innovativo, capacità di mettere a frutto le risorse e le riserve di un'economia avanzata, solida e vitale nonostante squilibri e punti deboli, di un capitale umano ricco di qualità e sottoutilizzato, di un'eredità culturale e di una creatività universalmente riconosciute.

Non mi nascondo, certo, che nell'animo di molti, la fiducia che ho sentito riaffiorare e crescere nel ricordo della nostra storia rischia di essere oscurata, in questo momento, da interrogativi angosciosi e da dubbi che possono tradursi in scoraggiamento e indurre al pessimismo. La radice di questi stati d'animo, anche aspramente polemici, è naturalmente nella crisi finanziaria ed economica in cui l'Italia si dibatte. Ora, è un fatto che l'emergenza resta grave : è faticoso riguadagnare credibilità, dopo aver perduto pesantemente terreno ; i nostri Buoni del Tesoro - nonostante i segnali incoraggianti degli ultimi giorni - restano sotto attacco nei mercati finanziari ; il debito pubblico che abbiamo accumulato nei decenni pesa come un macigno e ci costa tassi di interesse pericolosamente alti. Lo sforzo di risanamento del bilancio, culminato nell'ultimo, così impegnativo decreto approvato giorni fa dal Parlamento, deve perciò essere portato avanti con rigore. Nessuna illusione possiamo farci a questo riguardo. Ma siamo convinti che i frutti non mancheranno. I sacrifici non risulteranno inutili. Specie se l'economia riprenderà a crescere : il che dipende da adeguate scelte politiche e imprenditoriali, come da comportamenti diffusi, improntati a laboriosità e dinamismo, capaci di produrre coesione sociale e nazionale. Parlo dei sacrifici, guardando specialmente a chi ne soffre di più o ne ha più timore. Nessuno, oggi - nessun gruppo sociale - può sottrarsi all'impegno di contribuire al risanamento dei conti pubblici, per evitare il collasso finanziario dell'Italia. Dobbiamo comprendere tutti che per lungo tempo lo Stato, in tutte le sue espressioni, è cresciuto troppo e ha speso troppo, finendo per imporre tasse troppo pesanti ai contribuenti onesti e per porre una gravosa ipoteca sulle spalle delle generazioni successive.

Nella seconda metà del Novecento, il benessere collettivo è giunto a livelli un tempo impensabili portando l'Italia nel gruppo delle nazioni più ricche. Ma a partire dagli anni Ottanta, la spesa pubblica è cresciuta in modo sempre più incontrollato, e ormai insostenibile. E c'è anche chi ne ha tratto e continua a trarne indebito profitto : a ciò si legano strettamente fenomeni di dilagante corruzione e parassitismo, di diffusa illegalità e anche di inquinamento criminale. Né, quando si parla di conti pubblici da raddrizzare, si può fare a meno di mettere nel mirino l'altra grande patologia italiana : una massiccia, distorsiva e ingiustificabile evasione fiscale. Che ci si debba impegnare a fondo per colpire corruzione ed evasione fiscale, è fuori discussione. Sapendo che è un'opera di lunga lena, che richiede accurata preparazione di strumenti efficaci e continuità : ed è quanto si richiede egualmente per un impegno di riduzione delle disuguaglianze, di censimento delle forme di ricchezza da sottoporre a più severa disciplina, di intervento incisivo su posizioni di rendita e di privilegio. Ma mentre è giusto, anzi sacrosanto, fare appello perché si agisca in queste direzioni, è necessario riconoscere come si debba senza indugio procedere alla puntuale revisione e alla riduzione della spesa pubblica corrente : anche se ciò comporta rinunce dolorose per molti a posizioni acquisite e a comprensibili aspettative.

Per procedere con equità si deve innanzitutto stare attenti a non incidere su già preoccupanti situazioni di povertà, o a non aggravare rischi di povertà cui sono esposti oggi strati più ampi di famiglie, anche per effetto della crescita della disoccupazione, soprattutto giovanile. Ma più in generale occorre definire nuove forme di sicurezza sociale che sono state finora trascurate a favore di una copertura pensionistica più alta che in altri paesi o anche di provvidenze generatrici di sprechi. Bisogna dunque ripensare e rinnovare le politiche sociali e anche, muovendo dall'esigenza pressante di un elevamento della produttività, le politiche del lavoro : per la fondamentale ragione che il mondo è cambiato, che l'epicentro della crescita economica - e anche di quella demografica - si è spostato lontano dall'Europa, e non solo il nostro paese, ma il nostro continente vedono ridursi il loro peso e i loro mezzi, e debbono rivedere il modo di concepire e distribuire il proprio benessere, e concentrare i loro sforzi nel guadagnare nuove posizioni e opportunità nella competizione globale. Senza mettere in causa la dimensione sociale del modello europeo, il rispetto della dignità e dei diritti del lavoro. Mi si consenta una piccola digressione personale : vengo da una lontana, lunga esperienza politica concepita e vissuta nella vicinanza al mondo del lavoro, nella partecipazione alle sue vicende e ai suoi travagli. Mi sono formato, da giovane, nel rapporto diretto, personale con la realtà delle fabbriche della mia Napoli, con quegli operai e lavoratori.

E' un sentimento e un'emozione che ho visto rinnovarsi in me ogni volta che ho visitato da Presidente una fabbrica, incontrandone le maestranze. Comprendo dunque, e sento molto, in questo momento, le difficoltà di chi lavora e di chi rischia di perdere il lavoro, come quelle di chi ha concluso o sta per concludere la sua vita lavorativa mentre sono in via di attuazione o si discutono ancora modifiche del sistema pensionistico. Ma non dimentico come nel passato, in più occasioni, sia stata decisiva per la salvezza e il progresso dell'Italia la capacità dei lavoratori e delle loro organizzazioni di esprimere slancio costruttivo, nel confronto con ogni realtà in via di cambiamento, e anche di fare sacrifici, affermando in tal modo, nello stesso tempo, la loro visione nazionale, il loro ruolo nazionale. Non è stato forse così negli anni della ricostruzione industriale, dopo la liberazione del paese? Non è stato forse così in quel terribile 1977, quando c'era da debellare un'inflazione che galoppava oltre il 20 per cento e da sconfiggere l'attacco criminale quotidiano e l'insidia politica del terrorismo brigatista? Guardiamo dunque con questa consapevolezza alle grandi prove che abbiamo davanti : come superare i rischi più gravi di crisi finanziaria per il nostro paese, e come reagire alle minacce incombenti di recessione. L'Italia può e deve farcela ; la nostra società deve uscirne più severa e più giusta, più dinamica, moralmente e civilmente più viva, più aperta, più coesa.

Rigore finanziario e crescita. Crescita più intensa e unitaria, nel Nord e nel Sud, da mettere in moto con misure finalizzate alla competitività del sistema produttivo, all'investimento in ricerca e innovazione e nelle infrastrutture, a un fecondo dispiegarsi della concorrenza e del merito. E' a queste misure che ha annunciato di voler lavorare il governo, nel dialogo con le parti sociali e in un rapporto aperto col Parlamento. Obbiettivo di fondo : più occupazione qualificata per i giovani e per le donne. Si è diffusa, ormai, la convinzione che dei sacrifici siano inevitabili per tutti : ma la preoccupazione maggiore che emerge tra i cittadini, è quella di assicurare un futuro ai figli, ai giovani. E' questo obbiettivo che può meglio motivare gli sforzi da compiere : è questo l'impegno cui non possiamo sottrarci. Perseguire questi obbiettivi, uscire dalle difficoltà in cui non solo noi ci troviamo è impossibile senza un più coerente sforzo congiunto al livello europeo. E' comprensibile che anche in Italia si manifesti oggi insoddisfazione per il quadro che presenta l'Europa unita. Ma ciò non deve mai tradursi in sfiducia verso l'integrazione europea. Quel che abbiamo costruito, insieme, tenacemente, è stato decisivo per garantirci sempre di più pace e unità nel nostro continente, progresso in ogni campo, crescente benessere sociale, salvaguardia e affermazione nel mondo dei nostri comuni interessi e valori europei. E oggi, ben più di cinquant'anni fa, solo uniti potremo ancora progredire e contare come europei in un quadro mondiale radicalmente cambiato.

All'Italia tocca perciò levare la sua voce perché si vada avanti verso una più conseguente integrazione europea, e non indietro verso anacronistiche chiusure e arroganze nazionali. Occorrono senza ulteriori indugi scelte adeguate e solidali per bloccare le pressioni speculative contro i titoli del debito di singoli paesi come l'Italia, perché il bersaglio è l'Europa, ed europea dev'essere la risposta. Risposta in termini di stabilità finanziaria e insieme di rilancio dello sviluppo. E non ci siamo. Particolarmente sottovalutata è la prospettiva della recessione, con tutte le sue conseguenze. In quanto all'Italia, è tempo che da parte di tutti in Europa si prendano sul serio e si apprezzino le dimostrazioni che il nostro paese ha dato e si appresta a dare, pagando prezzi non lievi, della sua adesione a principi di stabilità finanziaria e di disciplina di bilancio, nonché del suo impegno per riforme strutturali volte a suscitare una più libera e intensa crescita economica. Abbiamo solo da procedere nel cammino intrapreso, anche per far meglio sentire, in seno alle istituzioni europee - in condizioni di parità - il nostro contributo a nuove, meditate decisioni ed evoluzioni dell'Unione. In questo senso sta svolgendo il suo mandato il governo Monti, la cui nascita ha costituito il punto d'arrivo di una travagliata crisi politica di cui il Presidente del Consiglio, on. Berlusconi, poco più di un mese fa, ha preso responsabilmente atto. Si è allora largamente convenuto che il far seguire precipitosamente, all'apertura della crisi di governo, uno scioglimento anticipato delle Camere e il conseguente scontro elettorale, avrebbe rappresentato un azzardo pesante dal punto di vista dell'interesse generale del paese. Di qui è venuto quel largo sostegno in Parlamento al momento della fiducia al governo, con una scelta di cui va dato merito a forze già di maggioranza e già di opposizione. E' importante ora che l'Italia possa contare su una fase di stabilità e di serenità politica. Ciò non toglie che ogni partito mantenga la sua fisionomia e si caratterizzi in Parlamento con le sue proposte rispetto all'azione che l'esecutivo deve portare avanti. Soprattutto, un vasto campo è aperto per l'iniziativa dei partiti e per la ricerca di intese tra loro sul terreno di riforme istituzionali da tempo mature. Queste sono necessarie anche per creare condizioni migliori in vista di un più costruttivo ed efficace svolgimento della democrazia dell'alternanza nello scenario della nuova legislatura dopo il ritorno alle urne. Mi auguro che i cittadini guardino con attenzione, senza pregiudizi, alla prova che le forze politiche daranno in questo periodo della loro capacità di rinnovarsi e di assolvere alla funzione insostituibile che gli è propria di prospettare e perseguire soluzioni per i problemi di fondo del paese. Non c'è futuro per l'Italia senza rigenerazione della politica e della fiducia nella politica. Solo così ci porteremo, nei prossimi anni, all'altezza di quei problemi di fondo che sono ardui e complessi e vanno al di là di pur scottanti emergenze.

Avvertiamo quotidianamente i limiti della nostra realtà sociale, confrontandoci con la condizione di quanti vivono in gravi ristrettezze, con le ansie e le incertezze dei giovani nella difficile ricerca di una prospettiva di lavoro. E insieme avvertiamo i limiti del nostro vivere civile, confrontandoci con l'emergenza della condizione disumana delle carceri e dei carcerati, o con quella del dissesto idrogeologico che espone a ricorrenti disastri il nostro territorio, o con quella di una crescente presenza di immigrati, con i loro bambini, che restano stranieri senza potersi, nei modi giusti, pienamente integrare. Ci si pongono dunque acute necessità di scelte immediate e di visioni lungimiranti. Occorre una nuova "forza motivante" perché si sprigioni e operi la volontà collettiva indispensabile ; occorrono coraggio civile e sguardo rivolto "con speranza fondata verso il futuro". Questo ci hanno detto nei giorni natalizi alte voci spirituali. Esse si sono in effetti rivolte al più vasto mondo in cui si collocano i travagli della nostra Italia e della nostra Europa. Un mondo nel quale sono emerse di recente nuove correnti e forze portatrici di aspirazioni alla libertà e alla giustizia, ma anche difficoltà e tensioni, e ancora feroci repressioni. Mentre restano aperti antichi focolai di contrapposizione e di conflitto, e si manifestano ciechi furori religiosi, fino a dar luogo a orribili stragi di comunità cristiane. L'Italia non può restare, e non resta, estranea a ogni possibile iniziativa di pace e umanitaria : come dice la nostra partecipazione - anche con dolorosi sacrifici di giovani vite - a quelle missioni militari e civili internazionali che vedono migliaia di nostri connazionali farsi onore. Nel salutarli e ascoltarli in occasione del Natale, ho colto accenti confortanti di alto senso di responsabilità e di forte vocazione al servizio del bene comune. Sono accenti che colgo, qui in Italia, in tante occasioni di incontro con le molteplici espressioni dell'universo della solidarietà, del volontariato, dell'impegno civile.

Sono accenti che trovo in lettere toccanti che mi vengono indirizzate da persone anziane, da giovani e ragazzi, da uomini e donne che raccontano i loro propositi operosi e le loro esperienze. Lasciatemi dunque ripetere : la fiducia in noi stessi è il solido fondamento su cui possiamo costruire, con spirito di coesione, con senso dello stare insieme di fronte alle difficoltà, dello stare insieme nella comunità nazionale come nella famiglia. E allora apriamoci così al nuovo anno : facciamone una grande occasione, un grande banco di prova, per il cambiamento e il nuovo balzo in avanti di cui ha bisogno l'Italia. A voi tutti, con affetto, buon 2012 !