Quando, o campagna, ti potrò vedere?
Quando mi sarà dato, ora coi libri
degli antichi, or col sonno ora con l'ozio,
sorbir l'oblio di un'agitata vita?
Quando mi serviranno a mensa, insieme
ai legumi ben unti in grasso lardo,
le fave, di Pitagora parenti?
Oh le notturne, le divine cene
presso il mio focolare: dov'io stesso
mangio coi cari amici e pasco i servi
insolenti coi resti della tavola.
A piacere si vuotano i bicchieri
ineguali, da sciocche convenienze
liberi, e chi da forte bevitore
sceglie vino robusto e chi la gola
gradisce inumidirsi di leggero.
E si discorre allora: non di ville,
non di case degli altri, non se Lepos
danzi più o meno bene: ma di cose
che ci toccano serie da vicino
e che ignorare è male: se felici
gli uomini siano per virtù o ricchezze,
che cosa ci sospinga all'amicizia,
se l'utile o l'onesto; e quale sia
del bene la natura e la pienezza.
[ Orazio, Saturae, II, 6, vv. 60-76, trad. di E. Cetrangolo]
Nessun commento:
Posta un commento
Puoi lasciare un commento