Ho letto il libro "Giù al Sud" di Pino Aprile, sottotitolo "Perché i terroni salveranno l'Italia". E' la cronaca di un viaggio a tappe in paesi del Sud, taluni sconosciuti, altri noti solo per fatti di mafia o di degrado. Il ritmo narrativo è rapido, ma intenso e coinvolgente anche. Racconta di incontri che l'autore fa con i giovani dei vari paesi i quali quasi sempre lo applaudono e lo riconoscono come loro padrino, no, pardon! volevo dire come leader di un movimento d'opinione che si sta diffondendo ovunque nel Sud facendo proseliti per la causa comune: reagire alla storica colonizzazione del Sud da parte del Nord, che si è arricchito a nostre spese. Fantastico!...
Si tratta di riscrivere la storia, solo che questa volta saremo noi del Sud a tracciarne le linee. Secondo Aprile i giovani del Sud, sia quelli che restano sia quelli che vanno via, "non ne possono più del clima generale, del familismo amorale imperante, delle arroganze di paese piccole e grandi, delle caste professionali, dei corsi di formazione infinita, degli esami regalati, dei concorsi fasulli. Non ne possono più delle cariche lautamente retribuite e distribuite a pochi privilegiati, per lo più incompetenti e senza professionalità". Insomma, non ne possono più delle raccomandazioni al notabile di turno e nemmeno (aggiungo io) degli eventi culturali in cui la cultura è solo un penoso pretesto per dare spazio e voce a politicanti che con la cultura hanno ben poco a che vedere. Certo, questi vizi non sono più solo meridionali, ormai tutto il Paese è ridotto a letamaio, con la sola differenza che al Nord il servilismo veste altri panni, più sofisticati. Molti giovani dunque vanno via dal Sud disgustati da questo clima, ma soprattutto dalla povertà di risorse e di prospettive per il futuro. Il Sud, secondo la visione storica di Aprile, defraudato di ogni ricchezza da parte del Nord,ridotto in condizione coloniale sin dal 1860, solo ora prenderebbe coscienza della sua condizione, ribellandosi. Ma perché solo ora ci si accorge di questa condizione? E le responsabilità della classe dirigente meridionale perché non vengono evidenziate? Da quel che si intuisce nel libro l'autore tende a fornire ai politici del Sud un alibi inoppugnabile ripetendo il ritornello che "la classe dirigente di un territorio ridotto in condizione di subalternità può gestire il potere che gli viene delegato, solo se consenziente con progetti, idee, interessi di chi comanda davvero". Io direi che tutto ciò è stato ed è vero dal 1994 ad oggi, ma negli anni precedenti, non in tutti gli anni precedenti, ma in quel ventennio dopo De Gasperi, negli anni della I Repubblica, da De Gasperi a De Mita, che cosa è successo? Perché non si parla nel libro dei “limiti” della politica speciale, della Cassa per il Mezzogiorno, per intenderci, che nei primi anni, diciamo fino al 1973, ha funzionato abbastanza bene facendo intravedere possibilità di sviluppo per il Sud e poi nel ventennio successivo tutto è andato a rotoli? Perché i giovani di quelle generazioni non hanno impedito lo scempio dell’intervento straordinario, il degrado della politica, la nascita di un sistema etico-culturale costituito dalla stampa, dalle università, dalle chiese e dalle associazioni culturali, che hanno fornito valori svuotati di significato ed hanno svolto un ruolo fondamentale nella vita delle comunità del Sud? I giovani si ribellano oggi forse perché non possono più ottenere i vantaggi e i benefici dei loro padri e di chi li ha preceduti, e se così non fosse allora dovrebbero ribellarsi ai loro stessi padri, a quelli cioè che hanno alimentato con il loro cieco consenso il degrado di oggi. Secondo me dunque i terroni possono cambiare l'Italia solo se recuperano il senso civico della vita democratica, se si riappropriano del territorio con profondo senso di appartenenza e di identità collettiva.
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