Il giorno di Natale mi trovavo a Pozzallo (Ragusa) insieme alla mia famiglia, i miei due figli e mio marito.
Non sapevo che la notte precedente, mentre noi eravamo a cena aspettando la mezzanotte davanti ad una tavola imbandita con ogni bendidio e nella gioia di aspettare il Bambin Gesù coi nipotini festosi ed eccitati, proprio in quelle ore, forse proprio a mezzanotte, un bambino veniva salvato dal mare insieme ad altre 31 persone. Erano 32 migranti di nazionalità libica che si trovavano sulla nave Alan Kurdi della ong Sea Eye, respinti da Malta la notte di Natale ed accolti nell'unico porto sicuro di Pozzallo. Io ero lì il giorno di Natale, a zonzo sul lungomare di questa cittadina che d'estate accoglie turisti oziosi e ben paganti giunti da ogni parte per godere di questo splendido mare. Qui la gente è cordiale e molto accogliente, ma il dramma dei migranti in mare è lontano, nella zona del porto, dove gli sbarchi si fanno senza troppo rumore e senza turbare più di tanto la comunità. Sapere che la notte di Natale un bambino è tornato alla vita da morte sicura mi dà un po' di speranza, posso ancora credere che Gesù è nato per redimere il mondo.
domenica 29 dicembre 2019
domenica 24 novembre 2019
una nuova ecologia umana
Ho letto con piacere il libro di Isabella Guanzini, Tenerezza, la rivoluzione del potere gentile.
"Non c'è altra via di umanizzazione per il tempo presente e futuro: la forza rivoluzionaria della tenerezza e dell'affetto corrisponde alla via sovrana per una nuova ecologia umana, sensibile alle mani, alle facce, alle voci e ai corpi nella loro irriducibile singolarità e verità."
La gentilezza può rappresentare l'unica via di umanizzazione, l'unica difesa dall'ideologia del consumo e dello sfruttamento nichilistico di ciò che esiste in ogni sua forma.
giovedì 17 ottobre 2019
L'ossessione del cibo
E' stato aperto nella mia scuola un bar, sì un vero e proprio bar, piccolo, carino, fornito di tutto: caffè, cornetti caldi, bibite, tisane, ma soprattutto pizzette, panini e focacce farcite, riscaldate al momento, fragranti e profumate. Al mattino, sin dalle 8 entrando a scuola anziché sentire l'odore stantio della vecchia cancelleria degli uffici e delle aule, si sente un profumino delizioso che solletica l'olfatto ma specialmente la gola, producendo un'acquolina in bocca che è difficile neutralizzare. Capisco i ragazzi che si accalcano al bancone sin dalla prima ora di lezione; abbiamo provato a disciplinarne l'andirivieni incessante e la loro richiesta di uscire dall'aula a tutte le ore, ma è difficile... Niente da fare! Frenare l'impulso di mangiare o meglio di consumare qualsiasi cosa che sia commestibile è per i ragazzi un'impresa. Un mio alunno di prima stamattina mi ha chiesto di uscire ed io ho voluto prima sapere quante volte nelle prime tre ore era uscito. Candidamente mi ha detto che solo una volta era andato al bar a prendersi un tè, e quando gli ho chiesto che cosa voleva andare a comprare, mi ha detto: "Booh, non lo so, forse un altro tè." Allora non c'ho visto più, mi sono messa ad impartire principi di una sana e corretta alimentazione, nel vano tentativo di distoglierli da comprare qualsiasi cosa pur di comprare. Intanto ho scoperto che quasi nessuno fa colazione a casa al mattino, quindi arrivano a scuola affamati... e va bene. Si trattasse di far colazione con un cornetto e un caffè latte saremmo tutti d'accordo, ma loro, i ragazzi, mangiano e consumano patatine per lo più e bevono tante bottigliette d'acqua che sembrano dromedari, e questo succede troppo spesso nella giornata. D'altra parte la tentazione prende anche noi, quando l'odore del caffè si diffonde nell'aria. Io personalmente m'impongo di resistere alla tentazione soprattutto perché soffro di reflusso e di gastrite, ma anche per noi adulti è difficile ignorare l'opportunità di un bel caffè a mezza mattinata, quando hai bisogno di carburare un po'. Eh... intanto da quando bevo più di un caffè al giorno sono molto peggiorata con la salute. Ma io dico, era proprio necessario aprire un bar nella scuola?
venerdì 20 settembre 2019
Lettera al Ministro Fioramonti
Egregio sig. Ministro,
i problemi della scuola italiana sono tanti, troppi per essere elencati, perciò ne sollevo solo alcuni che secondo me risultano di fondamentale importanza. Vorrei parlare, tanto per cominciare, di digitalizzazione della scuola e dei docenti i quali, sì, ammettiamolo, sono oggettivamente scarsamente informatizzati. Ciò è vero soprattutto per due motivi: primo, perché la formazione negli anni scorsi è stata per lo più inadeguata da parte di numerosi formatori, che spesso s'improvvisavano esperti ed invece non lo erano; secondo, per la scarsa disponibilità degli stessi docenti, nella maggioranza non più giovani e quindi stanchi e demotivati. D'altra parte, però, la scuola è ancora oggi priva di computer aggiornati e ben funzionanti, nonostante gli innumerevoli progetti PON lautamente finanziati.
Correlato a questo problema rimane l'enorme mole di carta stampata alimentata da quella macchina infernale che è la burocrazia la quale avvilisce e strozza nella scuola qualsiasi tentativo di creatività e di libertà d'insegnamento. Un altro problema è rappresentato dai progetti PON: ormai le scuole sono oberate da mille attività legate ai PON, le quali determinano a loro volta una didattica sempre più discontinua e rarefatta in cui le conoscenze hanno ceduto il posto alle cosiddette competenze spendibili sul mercato, o almeno così si vuole far credere.
La verità, sig. Ministro, è che le scuole sono diventate veri e propri progettifici, che poco o nulla hanno a che fare con la didattica; per non parlare, poi, dei docenti esperti PON che ormai non fanno altro, con il solo fine d'impinguarsi lo stipendio!
Parliamoci chiaro, la scuola versa in una situazione non buona e sopravvive solo grazie a quella ridotta percentuale di docenti bravi e motivati, che poi stanno sulle scatole a tutti, compresi i Dirigenti!
Nelle scuole oggi l'insegnante "severo" è visto come il nemico giurato del successo formativo, locuzione tutta moderna che, tradotta, significa promozione per tutti, anche per quelli che a scuola vengono saltuariamente a scaldare il banco. Il problema, però, è che la scuola non è più democratica, non costituisce più ascensore sociale, non è meritocratica! Allora, torniamo agli studi seri, diamo almeno nella scuola, ai ragazzi la parvenza di una possibile società democratica e giusta!
I vari ministri che si sono succeduti, di destra e di sinistra, hanno demolito un po' per volta un sistema che nulla aveva da invidiare agli altri paesi europei, anzi. Se pensiamo che il Ministro Gelmini ha ridotto le ore di insegnamento delle materie fondamentali per le famose tre I, che altri hanno dato importanza alle prove Invalsi introducendo in Italia una pratica che in America ha dato risultati nefasti, di che altro dobbiamo parlare?
Un altro problema importante è la mancata valorizzazione delle scuole professionali, lasciate, soprattutto al Sud, nell'abbandono più totale, deprivando i giovani di competenze reali, queste sì spendibili sul mercato! La corsa ai licei non fa bene alla crescita del nostro Paese. Occorre ritornare ad una seria selezione degli studenti: non tutti sono portati per lo studio liceale e non è giusto che vi si acceda solo per vanità e orgoglio, sicuri di guadagnarsi comunque la promozione!
Ritornare alla serietà degli studi è un'esigenza fondamentale per assicurare ai giovani la possibilità di inserirsi nella società del futuro preparati sia nel lavoro sia come cittadini consapevoli!
i problemi della scuola italiana sono tanti, troppi per essere elencati, perciò ne sollevo solo alcuni che secondo me risultano di fondamentale importanza. Vorrei parlare, tanto per cominciare, di digitalizzazione della scuola e dei docenti i quali, sì, ammettiamolo, sono oggettivamente scarsamente informatizzati. Ciò è vero soprattutto per due motivi: primo, perché la formazione negli anni scorsi è stata per lo più inadeguata da parte di numerosi formatori, che spesso s'improvvisavano esperti ed invece non lo erano; secondo, per la scarsa disponibilità degli stessi docenti, nella maggioranza non più giovani e quindi stanchi e demotivati. D'altra parte, però, la scuola è ancora oggi priva di computer aggiornati e ben funzionanti, nonostante gli innumerevoli progetti PON lautamente finanziati.
Correlato a questo problema rimane l'enorme mole di carta stampata alimentata da quella macchina infernale che è la burocrazia la quale avvilisce e strozza nella scuola qualsiasi tentativo di creatività e di libertà d'insegnamento. Un altro problema è rappresentato dai progetti PON: ormai le scuole sono oberate da mille attività legate ai PON, le quali determinano a loro volta una didattica sempre più discontinua e rarefatta in cui le conoscenze hanno ceduto il posto alle cosiddette competenze spendibili sul mercato, o almeno così si vuole far credere.
La verità, sig. Ministro, è che le scuole sono diventate veri e propri progettifici, che poco o nulla hanno a che fare con la didattica; per non parlare, poi, dei docenti esperti PON che ormai non fanno altro, con il solo fine d'impinguarsi lo stipendio!
Parliamoci chiaro, la scuola versa in una situazione non buona e sopravvive solo grazie a quella ridotta percentuale di docenti bravi e motivati, che poi stanno sulle scatole a tutti, compresi i Dirigenti!
Nelle scuole oggi l'insegnante "severo" è visto come il nemico giurato del successo formativo, locuzione tutta moderna che, tradotta, significa promozione per tutti, anche per quelli che a scuola vengono saltuariamente a scaldare il banco. Il problema, però, è che la scuola non è più democratica, non costituisce più ascensore sociale, non è meritocratica! Allora, torniamo agli studi seri, diamo almeno nella scuola, ai ragazzi la parvenza di una possibile società democratica e giusta!
I vari ministri che si sono succeduti, di destra e di sinistra, hanno demolito un po' per volta un sistema che nulla aveva da invidiare agli altri paesi europei, anzi. Se pensiamo che il Ministro Gelmini ha ridotto le ore di insegnamento delle materie fondamentali per le famose tre I, che altri hanno dato importanza alle prove Invalsi introducendo in Italia una pratica che in America ha dato risultati nefasti, di che altro dobbiamo parlare?
Un altro problema importante è la mancata valorizzazione delle scuole professionali, lasciate, soprattutto al Sud, nell'abbandono più totale, deprivando i giovani di competenze reali, queste sì spendibili sul mercato! La corsa ai licei non fa bene alla crescita del nostro Paese. Occorre ritornare ad una seria selezione degli studenti: non tutti sono portati per lo studio liceale e non è giusto che vi si acceda solo per vanità e orgoglio, sicuri di guadagnarsi comunque la promozione!
Ritornare alla serietà degli studi è un'esigenza fondamentale per assicurare ai giovani la possibilità di inserirsi nella società del futuro preparati sia nel lavoro sia come cittadini consapevoli!
martedì 23 luglio 2019
Cosa significa essere di centro-sinistra
Per me i punti cardini di una qualsivoglia fede politica devono essere semplicemente disinteresse, amore di patria, libertà, moralità.
Ho sempre creduto che questi fossero i valori di quella parte politica in cui tuttora mi riconosco, ossia il centro-sinistra. Ma questo non significa necessariamente che mi riconosca nel Partito Democratico né tanto meno in qualsiasi altro partito che si professi di sinistra; significa invece, non essere propensa ad opinioni estreme, ma moderata nella politica come nella vita in generale. Essere di centro -sinistra significa un modo di vedere i problemi sintetizzato nel binomio ordine-progresso, rispetto assoluto dell'autorità dello Stato, rispetto delle esigenze espresse dal Paese, solidarietà verso i più deboli. Nel nostro mondo globalizzato, in cui il denaro è più importante di qualsiasi altra cosa e tutti lo rincorrono anche svendendo la propria dignità e umanità, io credo che un'idea politica di buon senso debba essere un punto di riferimento, un'ancora di salvezza, un baluardo di democrazia. Voglio sperare che il partito democratico in Italia e in Europa riesca in questa operazione, altrimenti i derelitti della terra saranno destinati alla sopraffazione senza speranza.
mercoledì 3 luglio 2019
Sogno di un pomeriggio d'estate
In un giorno di luglio come questo, non potendo uscire per il troppo caldo, mi viene da riflettere su come è cambiata la vita dei nostri paesi rispetto al tempo della mia fanciullezza e adolescenza, che non è poi un tempo così lontano.
Quanto abbiamo perso nel giro di appena qualche ventennio!
Quanto abbiamo perso nel giro di appena qualche ventennio!
Mi soffermo a leggere le numerose locandine che annunciano eventi, sagre, feste e festoni nei vari paesi, il palinsesto dell'estate, e non posso non pensare che ormai i paesi fanno a gara a chi le spara più grosse, a chi spende di più per questi pubblici eventi che servono solo a ricreare scenari di condivisione e di socialità che non esistono più. Le feste di paese sono diventate lo specchio del nostro modo di vivere: strade affollate di persone sconosciute, volti estranei che ti passano accanto, falsi saluti cerimoniosi di quelli che ti conoscono, uno sfilare di ragazze seminude e di bambini tenuti a guinzaglio come animali domestici. Uno sfavillio di colori, di luci e fastidiosi rumori con tanto di musica di fondo che alla lunga stancano i sensi e la mente. Cosa rimane di tutto questo baccano? Per me soltanto un senso di sazietà, di saturazione che procurano un gran mal di testa. Quanto sarebbe meglio invece investire su un luogo che ritorni ad essere familiare per tutti, dove ci si conosce tutti, dove ci si informa delle cose del mondo parlando con l'amica che esce ogni giorno a fare la spesa! Quanto mi manca il contatto con la natura, la vita all'aria aperta!...
Come possiamo realizzare un qualcosa che rallenti il ritmo frenetico delle nostre giornate, che lo armonizzi con i nostri bisogni? Secondo me questo potrebbe essere il futuro dei nostri piccoli paesi! Non abbandonarli ad un destino di morte perché non reggono il confronto con la vita delle grandi città, non dobbiamo confrontarci con le realtà che non ci appartengono; dobbiamo invece recuperare la nostra dimensione e costruire su questa la nostra forza! Immagino un luogo dove i bambini giocano per le vie, le persone si salutano calorosamente, un luogo dove la condivisione con gli altri sia fatta di ascolto, di parole, di tempo non frettoloso, di silenzio partecipato! Che bel sogno è il mio!...
Il rumore delle auto in corsa sulla strada sotto casa mi riporta ad un brusco risveglio. Fa caldo, siamo tutti chiusi in casa con i climatizzatori accesi, aspettiamo che si rinfreschi un po' l'aria per una solitaria passeggiata, in mezzo al traffico di un paese che d'estate si mostra in tutto il suo squallore.
Come possiamo realizzare un qualcosa che rallenti il ritmo frenetico delle nostre giornate, che lo armonizzi con i nostri bisogni? Secondo me questo potrebbe essere il futuro dei nostri piccoli paesi! Non abbandonarli ad un destino di morte perché non reggono il confronto con la vita delle grandi città, non dobbiamo confrontarci con le realtà che non ci appartengono; dobbiamo invece recuperare la nostra dimensione e costruire su questa la nostra forza! Immagino un luogo dove i bambini giocano per le vie, le persone si salutano calorosamente, un luogo dove la condivisione con gli altri sia fatta di ascolto, di parole, di tempo non frettoloso, di silenzio partecipato! Che bel sogno è il mio!...
Il rumore delle auto in corsa sulla strada sotto casa mi riporta ad un brusco risveglio. Fa caldo, siamo tutti chiusi in casa con i climatizzatori accesi, aspettiamo che si rinfreschi un po' l'aria per una solitaria passeggiata, in mezzo al traffico di un paese che d'estate si mostra in tutto il suo squallore.
sabato 22 giugno 2019
Perchè restare
Chi sia stato il primo, non
è certo. Lo seguì un secondo. Un terzo.
Poi, uno dopo l’altro, tutti han preso la stessa via.
Ora non c’è più nessuno.
La mia
casa è la sola
abitata.
Son vecchio
Che cosa mi trattengo a fare,
quassù, dove tra breve forse
nemmeno ci sarò più io
a farmi compagnia?
Meglio – lo so – è ch’io bada
prima che me ne vada anch’io.
Eppure, non mi risolvo. Resto.
Mi lega l’erba. Il bosco.
Il fiume. Anche se il fiume è appena
un rumore ed un fresco
dietro le foglie.
La sera
siedo su questo sasso, e aspetto.
Aspetto non so che cosa, ma aspetto.
Il sonno. La morte direi, se anch’essa
da un pezzo – già non se ne fosse andata
da questi luoghi.
Aspetto
e ascolto.
(L’acqua,
da quanti milioni d’anni, l’acqua,
ha questo suo stesso suono
sulle sue pietre?)
Mi sento
perso nel tempo.
Fuori
del tempo, forse.
Ma sono
con me stesso. Non voglio
lasciare me stesso uscire
da me stesso come,
dal sotterraneo
il grillotalpa in cerca
d’altro buio.
Il trifoglio
della città è troppo
fitto. Io son già cieco.
Ma qui vedo. Parlo.
Qui dialogo. Io
qui mi rispondo e ho il mio
interlocutore. Non voglio
murarlo nel silenzio sordo
d’un frastuono senz’ombra
d’anima. Di parole
senza più anima.
è certo. Lo seguì un secondo. Un terzo.
Poi, uno dopo l’altro, tutti han preso la stessa via.
Ora non c’è più nessuno.
La mia
casa è la sola
abitata.
Son vecchio
Che cosa mi trattengo a fare,
quassù, dove tra breve forse
nemmeno ci sarò più io
a farmi compagnia?
Meglio – lo so – è ch’io bada
prima che me ne vada anch’io.
Eppure, non mi risolvo. Resto.
Mi lega l’erba. Il bosco.
Il fiume. Anche se il fiume è appena
un rumore ed un fresco
dietro le foglie.
La sera
siedo su questo sasso, e aspetto.
Aspetto non so che cosa, ma aspetto.
Il sonno. La morte direi, se anch’essa
da un pezzo – già non se ne fosse andata
da questi luoghi.
Aspetto
e ascolto.
(L’acqua,
da quanti milioni d’anni, l’acqua,
ha questo suo stesso suono
sulle sue pietre?)
Mi sento
perso nel tempo.
Fuori
del tempo, forse.
Ma sono
con me stesso. Non voglio
lasciare me stesso uscire
da me stesso come,
dal sotterraneo
il grillotalpa in cerca
d’altro buio.
Il trifoglio
della città è troppo
fitto. Io son già cieco.
Ma qui vedo. Parlo.
Qui dialogo. Io
qui mi rispondo e ho il mio
interlocutore. Non voglio
murarlo nel silenzio sordo
d’un frastuono senz’ombra
d’anima. Di parole
senza più anima.
( Giorgio Caproni)
mercoledì 19 giugno 2019
L'Inferno è qui
La parola Inferno oggi ha perso il suo significato specifico di "Aldilà, luogo di dannazione eterna e di oscurità contrapposto alla Luce e alla Grazia," di dantesca memoria.
Oggi il termine Inferno acquista il significato metaforico della vita sulla terra nel senso dei dannati della terra; è questa l'idea che hanno dell'Inferno moltissimi scrittori del nostro tempo, a partire da Primo Levi, che l'ha utilizzata per indicare il lager dove è stato rinchiuso durante la seconda guerra mondiale in quanto ebreo, fino a Edoardo Sanguineti, Pier Paolo Pasolini e Dino Buzzati, tra quelli che ricordo al momento.
Secondo Sanguineti l'Inferno oggi è la vita degli uomini nel mondo globalizzato, specialmente dei poveri i quali pagano sulla propria pelle le sperequazioni ingiuste e crudeli della ricchezza; "I «dannati della terra» oramai occupano la maggior parte dello spazio disponibile. Cosa evidentemente non del tutto nuova, perché gli squilibri di condizioni sociali, umane, culturali, materiali tra privilegiati ed emarginati hanno accompagnato tutta la storia. Però, mancando la globalizzazione, il nesso tra privilegiati e no era meno diretto, e in certe zone quasi inesistente."
Nel racconto Viaggio agli Inferni del secolo, Dino Buzzati racconta le vicende dei dannati della terra che sono, secondo lui, i cittadini metropolitani di Milano i quali vivono quotidianamente assediati dalle macchine, sotto un cielo perennemente grigio di fumo e caligine. Nel racconto immagina che un giornalista viene incaricato dalla sua redazione a scendere in un sotterraneo, una voragine che si è aperta durante gli scavi della metropolitana, che porta nell'oltretomba. Il giornalista scopre che in quel mondo c'è una vita speculare a quella della città in superficie. Ne deduce quindi che l'Inferno è la nostra vita quotidiana e forse non è una punizione, ma il destino di tutti noi.
Siamo lontanissimi dalla rappresentazione dell'Inferno dantesco, anche se proprio nell'Inferno di Dante, il famoso Canto di Ulisse ci incita a resistere, resistere, resistere contro la dannazione della vita.
E' ciò che mirabilmente ci rappresenta Primo Levi nel suo romanzo Se questo è un uomo. Egli ci descrive gli orrori del lager nazista dove gli uomini sono abbrutiti nella loro animalità, ridotti ai soli bisogni primordiali: mangiare ed evitare il dolore. E in quella estrema degradazione lui si aggrappa al ricordo letterario come a un disperato tentativo di salvare qualcosa di umano. I famosi versi " Fatti non foste a viver come bruti/ma per seguire vertute e canoscenza" costituiscono per lui un'illuminazione che fa riaffiorare la parte spirituale dell'individuo sulla riduzione ad animale o cosa. La letteratura può recuperare l'umanità.
Un messaggio analogo ce lo fornisce P. P. Pasolini, ne La Divina Mimesis, una riscrittura del poema dantesco in chiave introspettiva. All'età di quarant'anni, nel 1969, si trova anche lui come Dante in una selva oscura, che è il mondo mutato sotto la spinta del neocapitalismo e della società dei consumi. In questa società l'uomo è condannato alla solitudine; lui è escluso dalla vita degli altri, in un mondo senza religione e senza riscatto sociale, ma proprio la mancanza di questi valori, lo incita a lottare attraverso la scrittura. L'Inferno oggi è quindi anche una discesa nella profondità del proprio essere, nella coscienza che siamo soli nell'immensità del mondo, di un mondo in cui prevalgono gli egoismi, la violenza, la sopraffazione, la disuguaglianza, la povertà estrema. Nell'Universo ognuno è solo nel suo microcosmo, ed è questo l'Inferno più duro!
domenica 2 giugno 2019
giovedì 30 maggio 2019
Il grande problema
Questo è il grande problema di coloro che sentono troppo e capiscono troppo: che potremmo essere tante cose, ma la vita è una sola e ci obbliga a essere solo una cosa, quella che gli altri pensano che noi siamo.
[ Antonio Tabucchi ]
mercoledì 29 maggio 2019
Siamo tutti già eletti
La vita oscilla
tra il sublime e l'immondo
con qualche propensione
per il secondo
ne sapremo di più
dopo le ultime elezioni
che si terranno lassù
o laggiù o in nessun luogo
perché siamo già eletti
tutti quanti
e chi non lo fu
sta assai meglio quaggiù
e quando se ne accorge
è troppo tardi.
Les jeux sont faits
dice il croupier, per l'ultima volta
e il suo cucchiaione
spazza le carte.
( Eugenio Montale)
tra il sublime e l'immondo
con qualche propensione
per il secondo
ne sapremo di più
dopo le ultime elezioni
che si terranno lassù
o laggiù o in nessun luogo
perché siamo già eletti
tutti quanti
e chi non lo fu
sta assai meglio quaggiù
e quando se ne accorge
è troppo tardi.
Les jeux sont faits
dice il croupier, per l'ultima volta
e il suo cucchiaione
spazza le carte.
( Eugenio Montale)
lunedì 27 maggio 2019
domenica 5 maggio 2019
Un buon sindaco
E' cominciata in questi giorni la sagra paesana delle elezioni amministrative. Secondo il solito rituale, molte persone, perlopiù uomini, si riversano nelle strade del paese formando ad ogni angolo capanelli per discutere di questo e di quel candidato, sindaco in primis e consiglieri al seguito. E' abbastanza divertente vedere uomini che s'infervorano alzando la voce e gesticolando come se la questione li toccasse nei più vivi interessi. Sicuramente è giusto e sacrosanto sentirsi coinvolti nella vita della comunità, ma mi viene spontaneo pensare che non serve infervorarsi solo nelle campagne elettorali quando si sa che in gioco non c'è l'interesse del paese ma di gruppi, di clan familiari che antepongono i propri interessi a quelli della comunità. Il popolo nella sua ingenuità sembra non capire a fondo i giochi di potere che si fanno dietro le quinte, nei salotti dei candidati interessati alla spartizione. Il paese negli ultimi anni è allo sbando, anzi nell'abbandono e nel degrado e nessuno ha mai alzato un dito per protestare o contestare abusi o mancanze, se non nel palazzo della sede municipale durante le assemblee comunali dove si scontravano posizioni contrapposte, ma fino a un certo punto...
E dunque, voglio dare una dritta a chi mi legge sulla scelta del futuro sindaco del nostro paese. Innanzitutto è conditio sine qua non che il primo cittadino sia una persona partecipe della vita comunitaria, che conosca i bisogni dei cittadini, che sia consapevole delle reali condizioni di vivibilità in cui si trova il paese. Infatti gli effetti più visibili di un'amministrazione comunale sono nella gestione dei rifiuti e del decoro urbano, cioè la pulizia delle strade e degli altri luoghi pubblici, parchi e monumenti. Il nuovo sindaco cominci allora da qui, dal decoro di un paese che si denomina "Città dei servizi" e veda dunque di onorare questo titolo. Soprattutto dobbiamo pretendere che il nuovo sindaco, chiunque sia, ascolti la voce del popolo, ne migliori le condizioni di vita garantendo i servizi a tutti con il massimo impegno. In questo nostro paese c'è un bisogno urgente di una guida, di una persona che sia anche un modello di legalità, che con il suo operato promuova comportamenti legali, che dia speranza ai giovani, che promuova benessere! Ci auguriamo quindi che il futuro primo cittadino governi pensando al bene comune e non agli equilibri politici della sua maggioranza. Egli dovrebbe avere il coraggio e l'onestà intellettuale di prendere decisioni impopolari per il bene della sua gente. Decisionismo, leadership, trasparenza, concretezza, capacità di ascolto e di coinvolgimento sono le virtù necessarie per un buon sindaco. Per finire, schiena dritta e coerenza dovranno fare da corollario a tutte le decisioni prese, sempre nell'interesse della collettività.
giovedì 28 marzo 2019
martedì 5 marzo 2019
L'inganno della parola
Da un po' di tempo in qua non ho voglia di ascoltare le parole che cadono dall'alto, dai pulpiti delle chiese o dalle tribune che ospitino autorità di ogni tipo. Dico addirittura che non ho voglia nemmeno di ascoltare chicchessia, perché ho paura di non essere compresa ma anche di non comprendere il senso che si nasconde dentro le parole. Non credo più nelle parole, neanche in quelle che dicono amore, sincerità, onestà, bontà, bellezza, solidarietà, fratellanza, giustizia, verità... Come sono ingannevoli talvolta queste parole! Un tempo mi esaltavano, mi affascinavano facendomi vibrare le corde del cuore, ora invece ho scoperto in modo palese che esse sono un inganno, che la loro forza non risiede oggettivamente nella loro sostanza, ma diventano forti, minacciose o piene di lusinghe solo grazie a chi le sa sapientemente usare. Non so, forse il mestiere che faccio mi ha reso troppo esigente nell'attribuire un senso preciso ad ogni parola; a furia d'insegnare a capire esattamente ciò che si legge, pretendo lo stesso rigore nelle persone che mi circondano o che incontro per caso. Mi rendo conto, ora e solo ora, di quanto è difficile farsi capire nel modo esatto in cui noi ci percepiamo, non solo perché, come asseriva Pirandello, uno e centomila sono i punti di vista da cui le cose e noi siamo percepiti, ma soprattutto perché alcuni più furbi o più capaci di altri delle parole si sono appropriati imponendo un valore semantico altro, alieno da quello cui eravamo abituati. Oggi siamo diventati tutti un po' schiavi del senso altrui delle parole: chi è abile nell'arte della retorica (che come si sa può essere buona o malvagia) s'impone ed impone il suo linguaggio, le sue parole, il suo valore semantico. Sarebbe bello se quando parliamo o ascoltiamo capissimo la stessa cosa, in modo univoco e chiaro!.. Invece, ogni volta che comunichiamo con qualcuno, scopriamo che non usiamo lo stesso linguaggio e ognuno parla per sé. Siamo, dunque, tutti piegati da un bombardamento di parole che ci piovono addosso da ogni parte, specialmente dai ciarlatani di turno che occupano posti di potere i quali con le parole ingannevoli nascondono le verità e blandiscono gli animi...
giovedì 28 febbraio 2019
Fragilità e civiltà
Senza l’altro non ci sarebbe vita. Vivere significa stare con l’altro, e la vita si fa serena se si coniuga la propria con quella di tutti, per non temere nessuno ed essere potenzialmente aiutato anche da coloro che non si conoscono, che hanno caratteristiche somatiche strane, colori della pelle variegati, ma che sono uomini poiché l’uomo è definito dal pensiero e dalla fragilità, che sono doti della personalità.
La fragilità come forza, e per questo è utile meditare sul potere a cui è giunto il momento attuale, su questa grave malattia dell’uomo.
Questo è l’incipit di una nuova civiltà e solo così si può aprire un tempo sereno per svilupparla, per scoprirla.
La fragilità come forza, e per questo è utile meditare sul potere a cui è giunto il momento attuale, su questa grave malattia dell’uomo.
Questo è l’incipit di una nuova civiltà e solo così si può aprire un tempo sereno per svilupparla, per scoprirla.
Ho avuto voglia di comporre la prima pagina di un libro che mi auguro voluminoso; anzi, ho voluto solo scrivere una parola, fragilità, e poi lasciare che la storia possa aggiungervi il resto. Un libro in cui molti, singolarmente e insieme, dovranno aggiungere altre parole, altri sensi.
Importante è che si cominci, senza usare la gomma per cancellare e il lapis per rifare alcune pagine, per sostituire alcune frasi, poiché il bisogno di correggere che dura ormai da molti decenni ha solo complicato gli errori e garantito di continuare a sbagliare, dal momento che ci sono errori che producono denaro e potere.
È tempo di ripartire e io non so come sarà – se sarà il futuro, conosco il tempo presente e il declino della civiltà che precipita con la velocità di un masso che cade in un vuoto infinito.
Una parola è poco, ma è qualcosa se la si è tirata fuori dal dolore e dalla voglia che l’uomo viva meglio e sia più uomo.
Il rischio attuale è che di umano gli sia rimasta attaccata addosso solo la miseria: un uomo miserabile e infelice, ubriaco di illusioni e di inganni, fatti e subìti.
Non potrò vedere scritte molte pagine di questa nuova storia poiché mi aspetta la morte e l’appuntamento mi troverà sconcertato poiché nel vecchio libro risulta essere la più grave delle ingiustizie e il mistero che più mi indigna. È il momento in cui anche la fragilità muore.
Mi sentirò per un attimo senza la mia fragilità che ho amato e che mi ha aiutato a vivere, ma che non mi serve per morire. (da L'uomo di vetro di Vittorino Andreoli)
venerdì 22 febbraio 2019
MIA SE NE VA...
E' notte fonda. Sono vicino alla mia cagnetta che sta morendo, pulsa il suo respiro affannato di corpo che non si arrende, ma fatalmente si avvicina al buio...
Queste sono le prove tecniche della mia morte, tranquilli, non agognata non cercata, ma che potrebbe avvenire , non so quando né voglio saperlo. Ogni tanto Mia alza la testa, mi guarda poi la riabbassa. Voglio che senta la mia vicinanza, la mia fedeltà inversa. Quanto mi ha dato questo splendido animale! Quanto gli sono grato! La sua dipartita sarà per me momento di tristezza, ma anche di serenità. A volte ci leghiamo ai cani per coprire vuoti, negare le sconfitte, sentirci capo, qualcuno onesto come me ammetterà di aver accettato questo amore, perché d'amore si tratta, per paura...
Là fuori e qui, dentro ognuno di noi, c'è tanto vuoto, tanta miseria! Provo per Mia che sta morendo una grande ammirazione, non si scompone, è riuscita con le sue forze residue a salire sul divano dove per anni ha dormito... ora ha avuto uno scatto, ha fame d'aria; coraggio, piccola mia, tra un po' dormirai per sempre ed io ti ricorderò nel tempo che mi resta da vivere, con grande rispetto, gioia, tenerezza, perché ho dovuto accudirti come avrebbe fatto mia figlia lontana, e questo mi fa onore, mi dà la forza di vivere questi momenti presenti.
Mia sta lentamente (al ritmo del respiro sempre meno evidente) morendo...
(Pubblico con piacere questo scritto per conto di un amico e collega, Rino Compagnone)
mercoledì 16 gennaio 2019
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