La parola Inferno oggi ha perso il suo significato specifico di "Aldilà, luogo di dannazione eterna e di oscurità contrapposto alla Luce e alla Grazia," di dantesca memoria.
Oggi il termine Inferno acquista il significato metaforico della vita sulla terra nel senso dei dannati della terra; è questa l'idea che hanno dell'Inferno moltissimi scrittori del nostro tempo, a partire da Primo Levi, che l'ha utilizzata per indicare il lager dove è stato rinchiuso durante la seconda guerra mondiale in quanto ebreo, fino a Edoardo Sanguineti, Pier Paolo Pasolini e Dino Buzzati, tra quelli che ricordo al momento.
Secondo Sanguineti l'Inferno oggi è la vita degli uomini nel mondo globalizzato, specialmente dei poveri i quali pagano sulla propria pelle le sperequazioni ingiuste e crudeli della ricchezza; "I «dannati della terra» oramai occupano la maggior parte dello spazio disponibile. Cosa evidentemente non del tutto nuova, perché gli squilibri di condizioni sociali, umane, culturali, materiali tra privilegiati ed emarginati hanno accompagnato tutta la storia. Però, mancando la globalizzazione, il nesso tra privilegiati e no era meno diretto, e in certe zone quasi inesistente."
Nel racconto Viaggio agli Inferni del secolo, Dino Buzzati racconta le vicende dei dannati della terra che sono, secondo lui, i cittadini metropolitani di Milano i quali vivono quotidianamente assediati dalle macchine, sotto un cielo perennemente grigio di fumo e caligine. Nel racconto immagina che un giornalista viene incaricato dalla sua redazione a scendere in un sotterraneo, una voragine che si è aperta durante gli scavi della metropolitana, che porta nell'oltretomba. Il giornalista scopre che in quel mondo c'è una vita speculare a quella della città in superficie. Ne deduce quindi che l'Inferno è la nostra vita quotidiana e forse non è una punizione, ma il destino di tutti noi.
Siamo lontanissimi dalla rappresentazione dell'Inferno dantesco, anche se proprio nell'Inferno di Dante, il famoso Canto di Ulisse ci incita a resistere, resistere, resistere contro la dannazione della vita.
E' ciò che mirabilmente ci rappresenta Primo Levi nel suo romanzo Se questo è un uomo. Egli ci descrive gli orrori del lager nazista dove gli uomini sono abbrutiti nella loro animalità, ridotti ai soli bisogni primordiali: mangiare ed evitare il dolore. E in quella estrema degradazione lui si aggrappa al ricordo letterario come a un disperato tentativo di salvare qualcosa di umano. I famosi versi " Fatti non foste a viver come bruti/ma per seguire vertute e canoscenza" costituiscono per lui un'illuminazione che fa riaffiorare la parte spirituale dell'individuo sulla riduzione ad animale o cosa. La letteratura può recuperare l'umanità.
Un messaggio analogo ce lo fornisce P. P. Pasolini, ne La Divina Mimesis, una riscrittura del poema dantesco in chiave introspettiva. All'età di quarant'anni, nel 1969, si trova anche lui come Dante in una selva oscura, che è il mondo mutato sotto la spinta del neocapitalismo e della società dei consumi. In questa società l'uomo è condannato alla solitudine; lui è escluso dalla vita degli altri, in un mondo senza religione e senza riscatto sociale, ma proprio la mancanza di questi valori, lo incita a lottare attraverso la scrittura. L'Inferno oggi è quindi anche una discesa nella profondità del proprio essere, nella coscienza che siamo soli nell'immensità del mondo, di un mondo in cui prevalgono gli egoismi, la violenza, la sopraffazione, la disuguaglianza, la povertà estrema. Nell'Universo ognuno è solo nel suo microcosmo, ed è questo l'Inferno più duro!
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