mercoledì 9 dicembre 2020

Tutto cambia intorno a noi

Proprio quando la politica italiana  stava uscendo faticosamente dal ventennio berlusconiano, la pandemia da Covid ha fatto emergere con la dirompenza di un terremoto tutte le disfunzioni del sistema Paese, che in tanti anni erano rimaste nascoste. L’abilità di Berlusconi  era consistita nel simulare di fronte alla crisi economica in atto ottimismo a buon prezzo, servendosi del condizionamento mediatico delle sue tv, che hanno per anni massificato verso l’alto i nostri desideri ma anche assecondato gli istinti perversi e beceri mai del tutto sopiti. Mediaset con i suoi frizzanti programmi  aveva ottenebrato le menti e i cuori di milioni di italiani inebetiti dal miraggio di un’Italia festosa e sculettante riportandoci indietro alla Italietta di mussoliniana memoria. Ci costava ancora molta fatica liberarci da questa cappa asfissiante quando, come la provvidenziale peste di Manzoni, è scoppiata la pandemia da corona virus. Improvvisamente essa ci  ha catapultato in una crisi senza precedenti, giacché investe non solo l’economia ma la nostra stessa esistenza,  e a livello planetario. Il virus ci ha messo di fronte al nostro destino: dove stiamo andando? Quale sarà il nostro futuro? La vita che finora abbiamo vissuto non sarà più la stessa: troppe cose stanno cambiando e saranno mutate dopo. Pensiamo al lavoro … Chi poteva mai immaginare che la stragrande maggioranza dei lavoratori nelle imprese private e nella PA avrebbe fatto ricorso allo Smart Working, che si è rivelato, superate le iniziali difficoltà, un’esperienza preziosa? Non è cosa da poco, è  una vera e propria rivoluzione in atto.  Si tratta di un nuovo modello organizzativo che vede l’individuo, il singolo lavoratore in un rapporto diretto con il proprio lavoro di cui vede concretamente i processi e i risultati, mantenendo la propria autonomia, in una dimensione privata, scegliendo gli spazi, gli orari e gli strumenti operativi a suo piacimento.  Secondo me questa nuova modalità lavorativa fa emergere le concrete competenze, e non solo digitali  del lavoratore. Lo stesso si può dire, in parte, della scuola, che con la cosiddetta DAD ha visto  da un lato  lo snaturarsi della sua funzione di luogo deputato alla crescita e alla formazione del futuro cittadino mediante la socialità e la condivisione,  dall’altro fa intravedere le enormi potenzialità operative (naturalmente sulla base di complesse competenze digitali)  che possono trasformare la scuola in una scuola moderna, consona ai tempi. Tutto questo impone alla politica, al governo di fare scelte importanti e veramente democratiche. Il pericolo è che la tecnologia avanzata lasci indietro le fasce sociali più deboli, per la scuola soprattutto, che già in questa fase ha manifestato le disuguaglianze nell’apprendimento dei ragazzi legato inevitabilmente alle condizioni sociali, economiche e culturali delle famiglie dalle quali provengono. Inoltre, se ciascun alunno segue le lezioni dalla sua cameretta , da solo, così come da solo opera dall’altro lato del computer il docente, questa  solitudine alla lunga stressa e induce alla malinconia. I ragazzi infatti spesso appaiono stanchi per le troppe ore trascorse al computer, la mattina seguendo le lezioni, il pomeriggio facendo i compiti. Insomma, il Covid sta cambiando le nostre abitudini, la nostra vita e tutto intorno a noi. Saremo in grado di rinnovarci integralmente senza essere sopraffatti dai cambiamenti?

domenica 22 novembre 2020

A proposito della commemorazione del sisma dell'80

 Nel quarantennale del sisma del 23 novembre 1980 che sconvolse radicalmente la vita delle comunità dell'intera Irpinia, in particolare di Sant'Angelo dei Lombardi, il mio paese, mi sorge spontanea una riflessione sulla situazione attuale, modificata in toto rispetto al "prima " del sisma e non ancora definita rispetto al "dopo" sisma. 

L'immane tragedia che si abbattè allora sulla nostra terra sconvolse non solo i luoghi, gli edifici, il paesaggio, ma soprattutto la nostra anima, la nostra mente, i nostri sentimenti, e per lunghissimo tempo.

In questi quarant'anni abbiamo sperimentato tutte le fasi dell'elaborazione del lutto, per dirla psicanaliticamente. Da una prima reazione di rabbia e di dolore, d'incredulità e di smarrimento, siamo passati a lunghi anni anni di depressione collettiva. Io sono nata e vissuta a Sant'Angelo, anche se sono andata poi ad abitare a Grottaminarda da sposata, ma ho condiviso con la mia gente ogni momento di questa tragica esperienza. Per anni mi sono recata al mio paese ogni volta che potevo e ogni volta rinnovavo il mio dolore alla vista dello strazio percepibile ovunque, nelle strade, nelle case, nelle pietre.

Vedevo la gente annichilita nell'angoscia e nella depressione, inerte, come inebetita, incapace di accettare quanto era accaduto. Oggi, a distanza di 40 anni, nonostante tutto il lavoro di ricostruzione visibile un po' ovunque c'è ancora tanta solitudine, tanta tristezza nell'animo di chi abita qui. Camminando nei vicoli, fa male percepire il rumore dei passi sul selciato, stringe il cuore il rumore assordante del silenzio. L'elaborazione del lutto non si è ancora conclusa, il dolore è divenuto cronico, forse addirittura patologico, sì patologico, e manca la speranza.

I giovani di allora, del 1980, oggi sessantenni, non hanno saputo farsi forza per spingere le nuove generazioni a superare la perdita, non hanno saputo aprire una nuova prospettiva al paese , alla comunità, a tanti giovani  che hanno alla fine abbandonato questi luoghi.

Non si è costruito un nuovo equilibrio che soppiantasse il vecchio, ma tutto è rimasto immobile e sospeso; il paese non ha saputo  riprendere in mano la propria vita, il proprio destino e si è lasciato andare alla rassegnazione, alla solitudine, senza nessuna apertura di orizzonte. 

Di chi è la colpa? Del tempo, innanzitutto, che impietoso travolge ogni cosa in  cambiamenti troppo repentini per questi piccoli paesi che non riescono a stare al passo; della politica, che riflette lo stato degli uomini che la esercitano e di quelli che la subiscono, senza nulla pretendere. A Sant'Angelo in 40 anni non c'è mai stato un ricambio vero nella pubblica amministrazione, parlo di un ricambio non tanto generazionale quanto di uno spirito nuovo, autentico, più dinamico, più consono ai tempi che viviamo. La classe dirigente si è limitata all'ordinario mentre doveva avere una visione più consapevole, più matura, in poche parole straordinaria, per dare al paese, alla gente una seconda vita. La  politica non ha risolto i tanti annosi problemi  del paese, ma si è abbarbicata a una gestione del potere chiuso in se stesso, senza aperture né prospettive. Sic omnia transeunt! 



domenica 1 novembre 2020

La chiusura delle scuole: si può dare un'anima alla DAD

 Leggo su Sole 24 ore che l'interruzione della didattica può avere effetti devastanti sul futuro degli studenti. Anche dal punto di vista economico. Non mi soffermo sull'aspetto economico e vado oltre, collegandomi ai campi di mia più stretta competenza, ossia la didattica e la psicologia che mirano alla formazione dei ragazzi in piena adolescenza.

Sul piano dell'attività didattica dico, come premessa, che mi sto prodigando con tutte le mie risorse per realizzare, per quanto possibile, ciò che è contemplato nel Piano dell'offerta formativa della mia scuola, rispettando punto per punto gli obiettivi stabiliti in termini  di conoscenze, competenze e abilità. Anzi, sul piano delle competenze ci aggiungo quelle di carattere informatico che valgono sia per gli studenti sia per me, che ne ho ricavato un poderoso arricchimento.

Ogni mattina mi preparo come se dovessi andare a scuola agghindandomi ben bene, anche se rimango in ciabatte per tutto il tempo. Ho preteso dai ragazzi che facciano lo stesso, anche se so bene che possono sempre nascondersi dietro la telecamera. Ho prescritto loro una specie di dress code: lavarsi, pettinarsi, rimanere nell'ambito ristretto della propria cameretta o comunque in un angolo appartato e solitario, munirsi di libri, quaderni, matite, evidenziatori, vocabolari. La classe mi chiama alle 8:15 con un caloroso "Buooongioooorno, prof!"

Faccio l'appello, chiedo a tutti di farsi vedere, qualcuno fa il furbo mandando in chat un messaggio che attesta difficoltà di connessione o di microfono o di telecamera. Tutto sommato, risultano però sempre presenti, tranne le solite eccezioni. La sfida quotidiana è non lasciare indietro nessuno. Comincia allora la mia comunicazione, destreggiandomi  tra uno stile colloquiale  ed esperienziale ed uno, diciamo, più  formale. 

Stranamente scopro adesso, per effetto del monitor che fa da schermo, quanto è importante saper comunicare e come il nostro modo di comunicare è unico perché la nostra storia e il nostro modo di dire le cose sono unici. Forse che la DAD riesca a mettere a nudo il saper comunicare in modo autentico e metta in condizione chi ci sta di fronte di ascoltare veramente, anche solo basandosi sulla modulazione della voce? Io sto attenta a come ognuno pronuncia le proprie parole, certi silenzi o pause mi forniscono molte più informazioni di quanto non faccia la stessa parola, e credo che lo stesso facciano loro dall'altra parte.

Io ho un buon rapporto con i miei alunni e la telecamera non m'impedisce di percepire la loro disponibilità ad accettarmi con fiducia e con rispetto. Dai loro silenzi dietro le telecamere sento l'attenzione ad ogni mia parola, il peso che ne danno, il loro bisogno di capire ciò che sta capitando nel mondo, le loro aspettative. Me lo chiedono infatti ogni giorno "prof, ma che sta succedendo? Abbiamo perso la normalità della nostra vita, siamo smarriti, quando finirà tutto questo?

Allora io, pazientemente, riannodo i fili spezzati della nostra comunicazione didattica e con la letteratura c'imbarchiamo ogni giorno alla ricerca di approdi felici!


   

giovedì 17 settembre 2020

Ripensare la scuola al tempo della pandemia da Covid-19

Stiamo vivendo un momento di grande inquietudine della nostra società, che non sarà facile eliminare brevi tempore. La pandemia da Covid ha messo in ginocchio non solo l’economia del paese provocando la chiusura di tante aziende, ma ha fatto anche emergere dal pantano dell’ordinarietà tutte le storture e le inefficienze del sistema Italia, in ogni ambito. Parlando di scuola, che rappresenta sicuramente la parte più significativa perché incide sulla formazione dei futuri cittadini della nazione, si ripropongono problemi decennali mai risolti, e parlo di edifici fatiscenti, di mancanza di aule, di laboratori, di palestre, di docenti di sostegno ai diversamente abili, ma anche di supporto agli alunni e alle famiglie in condizioni di disagio da parte delle ASL locali, di tipo psicologico-sanitario e assistenziale. Insomma, i problemi della scuola sono tanti, troppi per potere crocifiggere l’ultima ministra per inadempienze. In una più ampia visione, però, che possa avere la lungimiranza di una riforma complessiva della scuola, io comincerei a considerare l’opportunità di riorientare i compiti degli insegnanti secondo un’etica di responsabilità, rivolta non solo agli studenti e alle loro famiglie, ma addirittura alla società in generale. Mi ritorna in mente la lezione di F. De Sanctis: “Le scuole stanno come di mezzo tra i sapienti ed il popolo” e contrapponendo moralisticamente i giovani ai vecchi li distingueva come portatori gli uni di idee eterne e celesti gli altri di interessi, per cui diceva ai giovani: “... se voi vi faceste l’eco passionata dell’interesse vestito di passione... voi scendereste infino al popolo, voi usurpereste al popolo, trista usurpazione, la sua leggerezza e ignoranza.” Probabilmente mi si accuserà di pensare ad una scuola ideale distante mille miglia dalla realtà, ma la scuola oggi cosa è diventata? Come forma e come educa le nuove generazioni? Non vediamo forse nella società il dilagare di comportamenti scorretti e sempre più spesso ispirati a violenza gratuita? Non ci accorgiamo che sui social si manifestano ignoranza, protervia, arroganza e chi più ne ha più ne metta di cose negative? La scuola si interroga sul risultato delle sue finalità educative? Cosa manca allora alla scuola di oggi se non la pratica delle buone idee, che rimangono invece in bella mostra su quintali di carte che nessuno legge? Io, come insegnante in un liceo dove pure ci sono tanti studenti eccellenti, motivati e sensibili, vedo il pericolo insito nella pedagogia imperante che è facile, gaia, tutta protesa a vezzeggiare gli alunni più di quanto non facciano già le famiglie. Nella scuola tutto concorre a rendere i giovani sempre più deresponsabilizzati, facilitati nel percorso scolastico da un clima lassista, di gioiosa spensieratezza, dove chi fa e chi non fa avanza allo stesso identico modo, senza lode e senza biasimo. Nel patetico tentativo di rincorrere il nuovo ad ogni costo anche la scuola è caduta nel pantano del consumismo, del tutto facile e subito, mandando in soffitta tutti i valori di una sana educazione. Certo è che l’intera società ricerca l’agiatezza, il comfort ad ogni livello, il divertimento ad oltranza, ma la scuola doveva essere come un faro, una guida, uno sprone al raggiungimento dei più elevati traguardi, ed invece… Invece, non è così. La scuola si adegua al mondo che va in rovina, non crede più in se stessa, smarrisce la propria identità, rincorre modelli alieni alla sua funzione, non sa più qual è la strada maestra, gareggia per un primato di quantità piuttosto che di qualità. E allora si adopera in mille progetti, in tante attività che alla fine sfiancano senza ricadute, se non poche, sulla reale crescita umana e culturale dei ragazzi. Di conseguenza, se la stessa scuola è occupata in attività che distraggono dallo studio vero, come si può immaginare che i ragazzi studino a casa, in proprio, con sacrificio, quando di questo nessuno gliene renderà merito? Diceva G. Lombardo Radice, in un vecchio saggio di pedagogia “Io vedo in ciascun alunno le piaghe morali legate a tutto un modo di essere di una civiltà. E me ne faccio un problema.” Il rischio palese è che la scuola stia diventando un’istituzione senza identità, soppiantata nella sua funzione sociale dai miracoli di Internet, di fronte ai quali i suoi insegnanti vengono mortificati, se non hanno le giuste difese. Gli insegnanti… anche questi non rispondono più da tempo ai canoni dell’educazione sostanziata di principi morali interiorizzati. Oggi sono preferiti i tecnici dell’insegnamento e gli esperti della burocrazia. I nuovi Dirigenti scolastici li privilegiano in quanto questi forniscono supporto alla gestione e organizzazione delle attività; gli altri insegnanti, quelli che trasmettono la propria saggezza ai ragazzi con le strategie messe in atto nella quotidianità del loro lavoro scolastico, sono messi ai margini. Funziona così: la scuola è un enorme carrozzone che deve andare avanti comunque. Gettare un fascio di luce sulla figura di questo insegnante che è assolutamente prioritaria in qualsivoglia processo educativo deve essere il punto di partenza per una nuova scuola. Bisogna quindi ripartire dalla cultura e valorizzarla al meglio nella istituzione che le è propria. Chi, se non l'insegnante colto, sa efficacemente utilizzare le sue conoscenze, sa ricomporre l'unità del sapere e scomporla per offrire agli alunni quei nuclei concettuali fondanti della propria disciplina, che sono poi le strutture culturali di base, che rendono, infine, capacità di analisi e di riflessione? Come non parlare di cultura, di una didattica della cultura, che è la sola in grado di assicurare la formazione della personalità, che mette in condizione il giovane di sapersi porre in relazione con gli altri, le cose, il mondo? E' l'insegnante colto che assicura alla persona la capacità di esprimersi e di comunicare, il gusto delle cose belle, la gioia di impegnarsi a fare, la capacità di osservare con onestà la realtà, l'apertura al mondo e a ciò che va oltre il contingente. “Non si insegna quello che si vuole; dirò addirittura che non s'insegna quello che si sa o quello che si crede di sapere: s'insegna e si può insegnare solo quello che si è” diceva quel Jean Jaurés, filosofo e politico francese. La cultura rende pressoché inutile insistere su queste o quelle competenze tecniche che l'insegnante deve pur avere, perché si può anche riuscire nell'intento di fornire un quadro di formazione tecnica, ipotizzabile per tutti, ma l'insegnamento non è questo, o quanto meno, non solo questo. Parlo perciò di stile educativo. La stessa pedagogia non serve a formare gli insegnanti, da sempre la cultura è la regola prima del maestro, oltre questa non c'è che l'esercizio magistrale, la professione. E “l'esercizio magistrale non si può concepire come applicazione di regole bell’ e pronte, ma come la stessa cultura nel suo cimento, nella sua adeguazione alla mente del discepolo. Il cimento è vario, nuovo ogni volta, imprevisto e imprevedibile. La classe di un anno non è quella di un altro; mutano gli alunni, muta lo stesso insegnante, perché l'uno e l'altro vivono e si trasformano; un alunno non è un altro alunno; il medesimo alunno è in una situazione spirituale sempre in nuovi modi: è la vita così ricca. Il maestro quindi se ha un'organica cultura trova sempre la sua via, altro che regole! La migliore preparazione è e sarà sempre una cultura disinteressata, non professionale, l'insegnamento non può essere concepito come una vocazione. Infatti che senso ha dire che un uomo può avere la vocazione di figlio, padre, cittadino? Egli si deve proporre nel suo essere uomo, che sappia essere figlio, padre, cittadino. Queste le parole di G. Lombardo Radice. Rossana Cetta

martedì 8 settembre 2020

Ripensare la scuola al tempo della pandemia da Covid-19 (seconda parte)

Quando si parla di scuola non bisogna mai dimenticare che essa non è un’azienda dove un datore di lavoro distribuisce incarichi e gestisce i propri dipendenti. La scuola è una comunità di uguali che presta un servizio alla collettività, svolge un compito di salute pubblica, che alla fine è una missione. Una missione molto elevata e difficile, poiché presuppone nello stesso tempo, arte, fiducia e amore. Voglio riassumere i tratti essenziali di tale missione, secondo il pensiero di Edgar Morin in LA TESTA BEN FATTA: • Fornire una cultura che permetta di affrontare i problemi fondamentali • Preparare le menti a rispondere alle sfide che pone la crescente complessità dei problemi • Preparare le menti ad affrontare le incertezze, in continuo aumento, non solo facendo conoscere la storia incerta e aleatoria dell’Universo, della vita, dell’Umanità, ma anche favorendo l’intelligenza strategica e la scommessa per un mondo migliore • Educare alla comprensione umana fra vicini e lontani • Insegnare l’appartenenza alla propria storia, alla propria cultura, alla cittadinanza repubblicana e all’Europa • Insegnare la cittadinanza terrestre, proponendo lo studio dell’umanità nella sua unità antropologica e nelle sue diversità individuali e culturali. Queste finalità educative sono legate fra loro e devono nutrirsi a vicenda. Esse devono suscitare la rinascita della cultura attraverso la connessione delle due culture (umanistica e scientifica) e contribuire alla rigenerazione della laicità e alla nascita di una democrazia cognitiva. Ciò premesso, se cambiano le finalità non possono non cambiare radicalmente i modelli organizzativi. Oggi la scuola italiana paga pesantemente lo scotto di riforme inadatte, confuse e aleatorie messe in atto da governi di sinistra e di destra, indifferentemente, da almeno trent’anni. Diciamo che da quando è stata cancellata la riforma Gentile, con la sperimentazione prima del nuovo esame di maturità e poi con tutto ciò che ne è seguito, essa è stata a poco a poco depauperata della sua forza democratica e propulsiva nonché educativa nella società italiana. Ma sorvoliamo su tutto questo, e parliamo di organizzazione interna della struttura scolastica, che per conto sua fa anch’essa molti danni, se non altro favorendo discredito sociale e frustrazione negli insegnanti, quelli veri. Da quando, nel 1997, L’Autonomia è entrata nell’ordinamento giuridico, con il trasferimento alle scuole di un numero crescente di poteri decisionali, nelle scuole di tutta Italia non c’è più pace. Si registra ovunque un parossismo assurdo per il quale si rincorre inutilmente il successo che si misura sul numero dei promossi ogni anno, sui progetti per l’ampliamento dell’Offerta formativa, sulla capacità manageriale del Dirigente e chi più ne ha più ne metta. Basti pensare alla nuova terminologia, al nuovo linguaggio che ha preso piede nella scuola. Un linguaggio prettamente burocratico, privo di sostanza, che si articola in acronimi ridicoli e ridondanti come PAI, PEC, POF, PTOF, PON… Tutto ciò non ha nulla a che vedere con la scuola buona ed efficiente. Il trasferimento di poteri decisionali dal Ministero alle singole scuole non ha riguardato solamente questioni di natura amministrativa e gestionale, ma ha modificato anche il progetto educativo nel suo insieme e il modo per costruirlo. Il cosiddetto Piano dell’Offerta formativa vede un modello di scuola fortemente diversificato non solo su base regionale, ma addirittura su base territoriale, per cui esistono scuole di eccellenza e scuole abbandonate senza la minima risorsa. Si pensava, al tempo dell’Autonomia, che un’offerta unica ed uguale per tutto il territorio nazionale fosse superata ed anacronistica, eludendo, però, i rischi di un modello educativo differenziato, sia pure solo su base regionale. Come hanno fatto a non pensare al secolare gap tra Nord e Sud del paese? Come hanno potuto concepire un così largo margine a scelte educative fondamentali per le nuove generazioni? Oggi i contenuti e i metodi si adeguano alle idee dei Ds, che si succedono a cadenza triennale quando tutto va bene, alle situazioni politiche nazionali e periferiche, al concorso di volontà, spesso solo sulla carta, all’interno del quale intervengono come attori, oltre agli addetti ai lavori, anche i fruitori del servizio (studenti, famiglie) e gli stakeholder istituzionali e sociali (enti locali, imprese, etc.). La scuola è dunque diventata un sistema organizzativo complesso e tale complessità ha imposto, fra gli altri, il tema del middlemanagement, nato in ambito aziendale nel mondo anglosassone a partire dagli anni Sessanta e poi allargatosi alle pubbliche amministrazioni e di conseguenza alle scuole. In ambito scolastico la conseguenza più vistosa è stata la totale arbitrarietà del Dirigente ad affidare deleghe a docenti scelti non sulla base di specifiche competenze, ma spesso per il solo bisogno di circondarsi di persone compiacenti a suo servizio, anche rispondendo a logiche clientelari proprie della politica. La gestione affidata ad operatori intermedi non funziona, genera disuguaglianze e frustrazioni tra persone di pari dignità, le quali non collaborano volentieri, non si confrontano, accettano supinamente le direttive del dirigente, esposte in un immenso materiale cartaceo fatto di copia e incolla. Negli ultimi tempi questo sistema delle deleghe ha determinato nelle scuole un incremento spaventoso della burocrazia e gli specialisti della burocrazia limitano progressivamente le competenze e le responsabilità di tutti gli operatori della scuola. “Questi sono condannati all’accettazione ignorante delle decisioni di coloro che si ritiene che sappiano, ma la cui intelligenza è spesso miope, perché parcellizzata ed astratta”, come dice E. Morin. Inoltre, l’autorità di questi esperti, che il più delle volte neanche insegnano o non lo fanno bene perché impaludati nelle carte, sta suscitando un deperimento democratico nella scuola, oltre che un decadimento della qualità dell’istruzione. Quale prospettiva per il futuro? Dare maggiori responsabilità ai singoli docenti, dando a ciascuno la facoltà di operare secondo le proprie conoscenze e competenze, nel rispetto delle finalità prefissate dallo Stato uguali per tutti e declinate in obiettivi specifici calibrati sugli alunni delle singole classi. Basta con la burocrazia inutile e dispendiosa nella scuola! Rossana Cetta

martedì 1 settembre 2020

Ripensare la scuola in piena pandemia da Covid-19

In questi giorni si fa un gran parlare di come la scuola deve ricominciare in totale sicurezza sanitaria per gli alunni, per i docenti e tutto il personale addetto. Le Indicazioni del Comitato tecnico scientifico offrono alcune soluzioni, ma al momento si registra un conflitto che sta sfociando in polemiche pesanti circa le innumerevoli responsabilità dei Ds, dei docenti e delle famiglie. La circostanza m’induce però ad una serie di riflessioni sull’opportunità che tale circostanza offre di ripensare in toto la scuola, sia per quanto concerne le strutture edilizie sia per i contenuti e le modalità dell’apprendimento. Cominciamo dallo spazio in cui si esercita l’attività didattica. La scuola è anche questo. All’evoluzione della scuola come Istituzione fondamentale per la formazione di buoni cittadini, fa riscontro l’evoluzione dell’edificio scolastico. La storia della scuola rispecchia puntualmente la trasformazione dei rapporti di potere fra le classi sociali e la storia dell’architettura scolastica esprime quei rapporti e le concezioni della funzione educativa della società. E dunque, a parte le mascherine, l’igienizzante, il distanziamento di almeno un metro, l’elemento fondamentale di cui in questo momento si ha un assoluto bisogno è lo spazio. Non solo la mia scuola, ma sicuramente tutte le scuole d’Italia in questo momento hanno bisogno di spazio, e come ricavarlo da edifici vecchi e aule anguste quando non fatiscenti, se non accogliendo una concezione diversa, tutta moderna degli spazi interni? L’idea mi è venuta lavorando ad un progetto per una biblioteca nella mia scuola, la quale pur possedendo un patrimonio librario di qualche rispetto, non ha mai avuto uno spazio adeguato ad una sistemazione funzionale. I libri sono depositati in vecchi scaffali polverosi e in remoti ripostigli insieme a riviste, CD, DVD, videocassette e altro. Inutile dire che il rischio sotteso è che i libri stanno diventando oggetti non più in voga, alla stregua dei dischi di vinile, sconosciuti ai ragazzi di oggi. Lo so, è un paradosso che proprio la scuola, che ha il compito di insegnare ad amarli, li releghi poi nel dimenticatoio, ma la realtà è questa. Nella mia scuola non c’è spazio per i libri. Il problema l’ho sollevato negli anni ripetutamente, ma sempre mi si diceva che non disponiamo di un vano e nemmeno di personale qualificato. Ebbene, navigando nella rete mi sono resa conto che la questione spazio è superata già da qualche tempo da una nuova concezione tutta moderna degli spazi interni degli edifici scolastici. Ho visto in altre realtà una semplice riorganizzazione degli spazi secondo una logica di funzionalità e flessibilità consoni a sistemi di insegnamento più avanzati. Non è necessario ristrutturare gli edifici tradizionali abbattendoli del tutto con enorme dispendio di denaro, ma occorre solamente fare propria una concezione dello spazio distante dal modello tradizionale. D’altra parte, anche a leggere le Linee Guida per le architetture interne delle scuole, quelle rinnovate ed approvate nel 2013 su proposta del ministro Profumo, si evince una concezione dello spazio distante dal modello di organizzazione della didattica, rimasto ancorato alla centralità della lezione frontale in aula. Gli spazi di una scuola moderna devono essere flessibili, funzionali a nuove pratiche. Per esempio, mentre in una scuola tradizionale tutti gli spazi sono sempre subordinati alla centralità dell’aula rispetto alla quale i corridoi sono utilizzati solo per il transito degli studenti, luoghi vissuti come “altro” rispetto all’aula, in una scuola 3.0 anche i corridoi diventano uno spazio unico integrato nella pratica didattica. D’altronde tutte le scuole dispongono di ampi corridoi dove spesso i ragazzi uscendo dall’aula s’intrattengono per discutere tra loro, ripetere le lezioni, ascoltare musica o semplicemente per bighellonare lontani dalla noia della lezione. Quanto sarebbe bello, invece, se i corridoi diventassero anch’essi luoghi di apprendimento, spazi modulari e polifunzionali in grado di rispondere a contesti educativi sempre diversi! Immagino un open space, uno spazio unico integrato in cui anche i microambienti siano finalizzati ad attività diversificate con la stessa dignità delle aule e dei laboratori, in grado di accogliere persone in ogni momento. Sono sicura che nei corridoi delle nostre scuole si possono collocare piccole scaffalature a colori vivaci, tavolini e sedie raggruppabili secondo le esigenze del momento, poster colorati, segnaletica accattivante e chiara, computer collegati alla rete… E ovviamente libri, tanti libri, collocati a scaffali aperti, facilmente consultabili, anche libri di testo, quelli che i docenti ricevono in saggio, messi lì bene in vista per chiunque ne abbia bisogno. Insomma, la sfida è una scuola che spinga alla lettura spontanea, piacevole e divertente e non ad una mera attività utile per l’apprendimento, cosicché i ragazzi possano apprezzare la cultura e conquistarla come atto critico, creativo e non omologante. Inoltre, vista la necessità di coinvolgere nella vita scolastica le varie istituzioni territoriali, tanto vale estendere gli spazi anche all’esterno, offrendosi alla comunità locale come un Centro di Educazione Civile permanente, in grado di valorizzare il territorio rispondendo a reali e concrete istanze sociali. Insomma, la scuola del futuro deve abbattere muri e pareti per costruire una nuova comunicazione!

sabato 16 maggio 2020

Di quarantena si può morire

 45° giorno di quarantena.
Ho messo 2 Kg abbondanti di peso corporeo;
sono sull'orlo di una crisi di nervi;
di notte non dormo bene, di giorno non riesco a rilassarmi né a riposarmi, nemmeno con dosi massicce di camomilla nostrana!
Vado in tilt per un nonnulla, sono esausta!
Nella prima settimana di forzato isolamento mi sono sentita a mio agio nella mia bella casa, con tanto tempo a disposizione tutto per me, senza l'assillo della sveglia alle 7 del mattino, l'ansia di prepararmi per andare a scuola con trucco, parrucco e abiti scelti a seconda dell'umore o del tempo, se bello o brutto.
A dire il vero, ultimamente tutto ciò era diventato abbastanza faticoso; mi capitava sovente di ripetere a me stessa "la vecchiaia comincia a farsi sentire"; alzarmi ogni mattina alle 7 cominciava a pesarmi ogni giorno un poco di più, ma una volta entrata in classe, quasi per miracolo, mi ingagliardivo e provavo un immenso piacere a dialogare coi ragazzi di letteratura, di latino o di storia. La stanchezza si dileguava e potevo andare avanti anche per l'intera mattinata senza stancarmi.
Il difficile veniva dopo, a casa, luogo della mia eterna frustrazione, dove mi aspettavano al guado le quotidiane incombenze: lavare, stirare, cucinare, fare la spesa, tutto nelle ore di un ristretto pomeriggio invernale, quando il tempo manca e la luce pure.
Tempo per me stessa, per socializzare, svagarmi o dedicarmi alle mie attività preferite, niente! Manco a parlarne! Non avevo tempo, di corsa tutto il giorno, e così passavo le giornate, e così scorreva la mia vita!
E dunque, dicevo, nella prima settimana di quarantena non mi sembrava vero poter disporre di un'intera giornata senza altri impegni, per così dire ufficiali. Ho cominciato a fare grandi pulizie programmando giorno per giorno una sanificazione di tutti gli ambienti, con tutti i mezzi di cui dispongo: folletto, vaporetto, lucidatrici, detergenti disinfettanti e profumanti. Poi sono passata a godermi la cucina: impastare pizze, focacce, pasta, dolci che non avevo mai fatto prima è stata un'esperienza per me gratificante, disporre poi di tutti gli ingredienti possibili nell'immediato mi riempiva di gioia. Già, siamo andati come all'arrembaggio nei supermercati a fare provviste di ogni genere e specie. Il frigorifero, che prima ansimava  nel vuoto, si è improvvisamente riempito di ogni bendidio; dirò, esso è diventato in questi giorni il simulacro del piacere, del gusto e anche della voglia di vivere consumata a tavola. Non più pranzi veloci trangugiati nella fretta, ma finalmente simposio familiare da consumare in tutta calma.
Poi, però, soddisfatta la bramosia, è arrivata implacabile la noia! Ah, la maledetta noia, che ci attanaglia fino a toglierci il respiro! Adesso basta! Voglio uscire, voglio vedere gente, sentirmi viva! Basta ciabattare per casa con gli occhi cerchiati, i capelli in disordine, il viso pallido e smorto. Dov'è la vita, se non fuori, all'aria aperta, in mezzo al frastuono, al baccano che fanno le auto, alle voci dei vivi che lavorano, agiscono, fanno, come sempre hanno fatto gli uomini e le specie viventi su tutta la terra? Ho voglia di contatti, umani o animali che siano non ha importanza, ho voglia di sentirmi parte della natura, della vita, e questo me l'ha sussurrato stamani un merlo nero con il becco giallo, ospite del mio giardino!

giovedì 12 marzo 2020

la scuola 2.0

Eccoci dunque arrivati, ob torto collo, alla scuola 2.0, alla tecnologia che consente l'interazione virtuale fra alunni e docenti! 
La circostanza di estremo pericolo per il contagio diffuso dal coronavirus ci obbliga a fare i conti su ciò che sappiamo veramente fare con la tecnologia avanzata nella scuola. In questi giorni noi insegnanti siamo in preda ad un parossismo senza precedenti. Ognuno si cimenta a modo suo nell'utilizzo di canali comunicativi da Whats app a Google a piattaforme di vario tipo. E' una corsa forsennata a dimostrare quello che si sa fare, a creare effetti speciali con video, immagini, files inviati in tanti modi agli alunni che incuriositi  ed eccitati rispondono  con entusiasmo alla novità. Ecco, si è alla fine avverato ciò che si paventava da tempo e cioè che si sarebbe arrivati alla scuola tecnologica. Dico subito che sono contraria all'uso del computer per l'insegnamento; ho sempre sostenuto che esso non è una panacea che risolve democraticamente tutti i problemi della scuola e che è invece esattamente il contrario. 
Per me è patetico il tentativo di rincorrere il nuovo a tutti i costi, lo dico ovviamente prescindendo dalla situazione che stiamo vivendo, perché ora è utile a tutti ricorrere alla tecnologia, ma intravedo proprio in questa situazione scenari futuri. Ci apprestiamo a seppellire definitivamente la scuola di una tradizione millenaria, che dava l'educazione critica e discorsiva attraverso la parola e il libro, quell'educazione che abituava ad approcciarsi gradualmente alla realtà. 
Il pantano del consumismo, del tutto facile e subito rischia di risucchiare la scuola mandando in soffitta tutti i valori di una sana educazione. La scuola si adegua al mondo che va in rovina, rincorre modelli alieni alla su funzione, si adopera in mille progetti che nulla o poco hanno a che fare con la crescita culturale autentica dei ragazzi. Io non rifiuto la tecnologia, ne riconosco la straordinaria utilità, ma non credo che favorisca un autentico processo di apprendimento in quanto lo accelera con un'overdose di informazioni senza conoscenze. L'insegnamento è una cosa complessa in cui l'elemento emozionale gioca un ruolo fondamentale nel processo di apprendimento. E ciò vuole dire che un'ora di lezione fatta da un insegnante  che sia un maestro di vita  può determinare in un ragazzo una futura scelta di vita.
Dunque, ben venga la tecnologia a darci una mano in questo difficile momento che l'Italia intera sta vivendo, ma non dimentichiamoci che la scuola sta vivendo comunque la più grave crisi che la storia ricordi, che la società sta affondando in un degrado educativo e culturale senza precedenti. 
Per questi motivi ci aspettiamo che il governo colga questa occasione per rimettere la scuola al centro della politica, dopo tanto scempio che di essa s'è fatto.

domenica 1 marzo 2020

Nemesi ai tempi del coronavirus

In questi giorni di angoscia e di follia collettiva per il diffondersi di un virus influenzale o poco più, nel Nord della nostra Italia, riemerge Nemesi in tutta la sua potenza! Sembra proprio che nel momento culminante di un'epidemia di odio dilagata nel nostro Paese (e non solo) contro lo straniero, africano o asiatico che sia, questa sì più contagiosa del coronavirus, arrivi dal Cielo la giustizia riparatrice. I settentrionali, che fino a ieri schifavano i meridionali, si trovano oggi nella condizione di essere scacciati dal Sud per paura del contagio; gli italiani, anche quelli sani, che arrivano sulle grandi navi da crociera vengono respinti  dalla Cina, dal Giappone, dagli Usa, dal mondo intero.
Sarebbe allora questa la giusta opportunità per noi italiani di riscoprire il senso dell'appartenenza alla stessa comunità, al di là di tutte le differenze, per combattere contro un nemico comune, contro cui nulla può  né la Divina Scienza né la tanto idolatrata Tecnologia. Riscopriamo l'Umanità, come ci hanno insegnato i grandi del passato, testimoni anche loro e prima di noi di eventi catastrofici che hanno devastato intere civiltà. Quando il nemico ci è di fronte dobbiamo unirci in fratellanza, dobbiamo riscoprire quel senso dell'Humanitas che ci appartiene ma che si sta  invece perdendo  nel trionfo di un progresso solo apparente!

martedì 11 febbraio 2020

La mia storia

Ho sempre avuto il desiderio di scrivere un libro che raccontasse la mia storia e quella della mia famiglia insieme a quella delle persone che intorno a me sono vissute. Ma ho sempre avuto paura, e ce l'ho ancora, di non essere in grado di mettere insieme i cocci di una vita frantumata in mille sfaccettature, perché la memoria è labile ed i ricordi spesso non sono che esili barlumi di quanto abbiamo vissuto. Ho fiducia, però. Un giorno, quando avrò ritrovato la calma e soprattutto il tempo che ora non mi appartiene, mi dedicherò al lavoro di riordino nella mia memoria  e saprò riannodare tutti i fili spezzati della mia vita con sapiente perizia. Per ora non sono ancora pronta.