Proprio quando la politica italiana stava uscendo faticosamente dal ventennio berlusconiano, la pandemia da Covid ha fatto emergere con la dirompenza di un terremoto tutte le disfunzioni del sistema Paese, che in tanti anni erano rimaste nascoste. L’abilità di Berlusconi era consistita nel simulare di fronte alla crisi economica in atto ottimismo a buon prezzo, servendosi del condizionamento mediatico delle sue tv, che hanno per anni massificato verso l’alto i nostri desideri ma anche assecondato gli istinti perversi e beceri mai del tutto sopiti. Mediaset con i suoi frizzanti programmi aveva ottenebrato le menti e i cuori di milioni di italiani inebetiti dal miraggio di un’Italia festosa e sculettante riportandoci indietro alla Italietta di mussoliniana memoria. Ci costava ancora molta fatica liberarci da questa cappa asfissiante quando, come la provvidenziale peste di Manzoni, è scoppiata la pandemia da corona virus. Improvvisamente essa ci ha catapultato in una crisi senza precedenti, giacché investe non solo l’economia ma la nostra stessa esistenza, e a livello planetario. Il virus ci ha messo di fronte al nostro destino: dove stiamo andando? Quale sarà il nostro futuro? La vita che finora abbiamo vissuto non sarà più la stessa: troppe cose stanno cambiando e saranno mutate dopo. Pensiamo al lavoro … Chi poteva mai immaginare che la stragrande maggioranza dei lavoratori nelle imprese private e nella PA avrebbe fatto ricorso allo Smart Working, che si è rivelato, superate le iniziali difficoltà, un’esperienza preziosa? Non è cosa da poco, è una vera e propria rivoluzione in atto. Si tratta di un nuovo modello organizzativo che vede l’individuo, il singolo lavoratore in un rapporto diretto con il proprio lavoro di cui vede concretamente i processi e i risultati, mantenendo la propria autonomia, in una dimensione privata, scegliendo gli spazi, gli orari e gli strumenti operativi a suo piacimento. Secondo me questa nuova modalità lavorativa fa emergere le concrete competenze, e non solo digitali del lavoratore. Lo stesso si può dire, in parte, della scuola, che con la cosiddetta DAD ha visto da un lato lo snaturarsi della sua funzione di luogo deputato alla crescita e alla formazione del futuro cittadino mediante la socialità e la condivisione, dall’altro fa intravedere le enormi potenzialità operative (naturalmente sulla base di complesse competenze digitali) che possono trasformare la scuola in una scuola moderna, consona ai tempi. Tutto questo impone alla politica, al governo di fare scelte importanti e veramente democratiche. Il pericolo è che la tecnologia avanzata lasci indietro le fasce sociali più deboli, per la scuola soprattutto, che già in questa fase ha manifestato le disuguaglianze nell’apprendimento dei ragazzi legato inevitabilmente alle condizioni sociali, economiche e culturali delle famiglie dalle quali provengono. Inoltre, se ciascun alunno segue le lezioni dalla sua cameretta , da solo, così come da solo opera dall’altro lato del computer il docente, questa solitudine alla lunga stressa e induce alla malinconia. I ragazzi infatti spesso appaiono stanchi per le troppe ore trascorse al computer, la mattina seguendo le lezioni, il pomeriggio facendo i compiti. Insomma, il Covid sta cambiando le nostre abitudini, la nostra vita e tutto intorno a noi. Saremo in grado di rinnovarci integralmente senza essere sopraffatti dai cambiamenti?
mercoledì 9 dicembre 2020
domenica 22 novembre 2020
A proposito della commemorazione del sisma dell'80
Nel quarantennale del sisma del 23 novembre 1980 che sconvolse radicalmente la vita delle comunità dell'intera Irpinia, in particolare di Sant'Angelo dei Lombardi, il mio paese, mi sorge spontanea una riflessione sulla situazione attuale, modificata in toto rispetto al "prima " del sisma e non ancora definita rispetto al "dopo" sisma.
L'immane tragedia che si abbattè allora sulla nostra terra sconvolse non solo i luoghi, gli edifici, il paesaggio, ma soprattutto la nostra anima, la nostra mente, i nostri sentimenti, e per lunghissimo tempo.
In questi quarant'anni abbiamo sperimentato tutte le fasi dell'elaborazione del lutto, per dirla psicanaliticamente. Da una prima reazione di rabbia e di dolore, d'incredulità e di smarrimento, siamo passati a lunghi anni anni di depressione collettiva. Io sono nata e vissuta a Sant'Angelo, anche se sono andata poi ad abitare a Grottaminarda da sposata, ma ho condiviso con la mia gente ogni momento di questa tragica esperienza. Per anni mi sono recata al mio paese ogni volta che potevo e ogni volta rinnovavo il mio dolore alla vista dello strazio percepibile ovunque, nelle strade, nelle case, nelle pietre.
Vedevo la gente annichilita nell'angoscia e nella depressione, inerte, come inebetita, incapace di accettare quanto era accaduto. Oggi, a distanza di 40 anni, nonostante tutto il lavoro di ricostruzione visibile un po' ovunque c'è ancora tanta solitudine, tanta tristezza nell'animo di chi abita qui. Camminando nei vicoli, fa male percepire il rumore dei passi sul selciato, stringe il cuore il rumore assordante del silenzio. L'elaborazione del lutto non si è ancora conclusa, il dolore è divenuto cronico, forse addirittura patologico, sì patologico, e manca la speranza.
I giovani di allora, del 1980, oggi sessantenni, non hanno saputo farsi forza per spingere le nuove generazioni a superare la perdita, non hanno saputo aprire una nuova prospettiva al paese , alla comunità, a tanti giovani che hanno alla fine abbandonato questi luoghi.
Non si è costruito un nuovo equilibrio che soppiantasse il vecchio, ma tutto è rimasto immobile e sospeso; il paese non ha saputo riprendere in mano la propria vita, il proprio destino e si è lasciato andare alla rassegnazione, alla solitudine, senza nessuna apertura di orizzonte.
Di chi è la colpa? Del tempo, innanzitutto, che impietoso travolge ogni cosa in cambiamenti troppo repentini per questi piccoli paesi che non riescono a stare al passo; della politica, che riflette lo stato degli uomini che la esercitano e di quelli che la subiscono, senza nulla pretendere. A Sant'Angelo in 40 anni non c'è mai stato un ricambio vero nella pubblica amministrazione, parlo di un ricambio non tanto generazionale quanto di uno spirito nuovo, autentico, più dinamico, più consono ai tempi che viviamo. La classe dirigente si è limitata all'ordinario mentre doveva avere una visione più consapevole, più matura, in poche parole straordinaria, per dare al paese, alla gente una seconda vita. La politica non ha risolto i tanti annosi problemi del paese, ma si è abbarbicata a una gestione del potere chiuso in se stesso, senza aperture né prospettive. Sic omnia transeunt!
domenica 1 novembre 2020
La chiusura delle scuole: si può dare un'anima alla DAD
Leggo su Sole 24 ore che l'interruzione della didattica può avere effetti devastanti sul futuro degli studenti. Anche dal punto di vista economico. Non mi soffermo sull'aspetto economico e vado oltre, collegandomi ai campi di mia più stretta competenza, ossia la didattica e la psicologia che mirano alla formazione dei ragazzi in piena adolescenza.
Sul piano dell'attività didattica dico, come premessa, che mi sto prodigando con tutte le mie risorse per realizzare, per quanto possibile, ciò che è contemplato nel Piano dell'offerta formativa della mia scuola, rispettando punto per punto gli obiettivi stabiliti in termini di conoscenze, competenze e abilità. Anzi, sul piano delle competenze ci aggiungo quelle di carattere informatico che valgono sia per gli studenti sia per me, che ne ho ricavato un poderoso arricchimento.
Ogni mattina mi preparo come se dovessi andare a scuola agghindandomi ben bene, anche se rimango in ciabatte per tutto il tempo. Ho preteso dai ragazzi che facciano lo stesso, anche se so bene che possono sempre nascondersi dietro la telecamera. Ho prescritto loro una specie di dress code: lavarsi, pettinarsi, rimanere nell'ambito ristretto della propria cameretta o comunque in un angolo appartato e solitario, munirsi di libri, quaderni, matite, evidenziatori, vocabolari. La classe mi chiama alle 8:15 con un caloroso "Buooongioooorno, prof!"
Faccio l'appello, chiedo a tutti di farsi vedere, qualcuno fa il furbo mandando in chat un messaggio che attesta difficoltà di connessione o di microfono o di telecamera. Tutto sommato, risultano però sempre presenti, tranne le solite eccezioni. La sfida quotidiana è non lasciare indietro nessuno. Comincia allora la mia comunicazione, destreggiandomi tra uno stile colloquiale ed esperienziale ed uno, diciamo, più formale.
Stranamente scopro adesso, per effetto del monitor che fa da schermo, quanto è importante saper comunicare e come il nostro modo di comunicare è unico perché la nostra storia e il nostro modo di dire le cose sono unici. Forse che la DAD riesca a mettere a nudo il saper comunicare in modo autentico e metta in condizione chi ci sta di fronte di ascoltare veramente, anche solo basandosi sulla modulazione della voce? Io sto attenta a come ognuno pronuncia le proprie parole, certi silenzi o pause mi forniscono molte più informazioni di quanto non faccia la stessa parola, e credo che lo stesso facciano loro dall'altra parte.
Io ho un buon rapporto con i miei alunni e la telecamera non m'impedisce di percepire la loro disponibilità ad accettarmi con fiducia e con rispetto. Dai loro silenzi dietro le telecamere sento l'attenzione ad ogni mia parola, il peso che ne danno, il loro bisogno di capire ciò che sta capitando nel mondo, le loro aspettative. Me lo chiedono infatti ogni giorno "prof, ma che sta succedendo? Abbiamo perso la normalità della nostra vita, siamo smarriti, quando finirà tutto questo?
Allora io, pazientemente, riannodo i fili spezzati della nostra comunicazione didattica e con la letteratura c'imbarchiamo ogni giorno alla ricerca di approdi felici!