martedì 8 settembre 2020

Ripensare la scuola al tempo della pandemia da Covid-19 (seconda parte)

Quando si parla di scuola non bisogna mai dimenticare che essa non è un’azienda dove un datore di lavoro distribuisce incarichi e gestisce i propri dipendenti. La scuola è una comunità di uguali che presta un servizio alla collettività, svolge un compito di salute pubblica, che alla fine è una missione. Una missione molto elevata e difficile, poiché presuppone nello stesso tempo, arte, fiducia e amore. Voglio riassumere i tratti essenziali di tale missione, secondo il pensiero di Edgar Morin in LA TESTA BEN FATTA: • Fornire una cultura che permetta di affrontare i problemi fondamentali • Preparare le menti a rispondere alle sfide che pone la crescente complessità dei problemi • Preparare le menti ad affrontare le incertezze, in continuo aumento, non solo facendo conoscere la storia incerta e aleatoria dell’Universo, della vita, dell’Umanità, ma anche favorendo l’intelligenza strategica e la scommessa per un mondo migliore • Educare alla comprensione umana fra vicini e lontani • Insegnare l’appartenenza alla propria storia, alla propria cultura, alla cittadinanza repubblicana e all’Europa • Insegnare la cittadinanza terrestre, proponendo lo studio dell’umanità nella sua unità antropologica e nelle sue diversità individuali e culturali. Queste finalità educative sono legate fra loro e devono nutrirsi a vicenda. Esse devono suscitare la rinascita della cultura attraverso la connessione delle due culture (umanistica e scientifica) e contribuire alla rigenerazione della laicità e alla nascita di una democrazia cognitiva. Ciò premesso, se cambiano le finalità non possono non cambiare radicalmente i modelli organizzativi. Oggi la scuola italiana paga pesantemente lo scotto di riforme inadatte, confuse e aleatorie messe in atto da governi di sinistra e di destra, indifferentemente, da almeno trent’anni. Diciamo che da quando è stata cancellata la riforma Gentile, con la sperimentazione prima del nuovo esame di maturità e poi con tutto ciò che ne è seguito, essa è stata a poco a poco depauperata della sua forza democratica e propulsiva nonché educativa nella società italiana. Ma sorvoliamo su tutto questo, e parliamo di organizzazione interna della struttura scolastica, che per conto sua fa anch’essa molti danni, se non altro favorendo discredito sociale e frustrazione negli insegnanti, quelli veri. Da quando, nel 1997, L’Autonomia è entrata nell’ordinamento giuridico, con il trasferimento alle scuole di un numero crescente di poteri decisionali, nelle scuole di tutta Italia non c’è più pace. Si registra ovunque un parossismo assurdo per il quale si rincorre inutilmente il successo che si misura sul numero dei promossi ogni anno, sui progetti per l’ampliamento dell’Offerta formativa, sulla capacità manageriale del Dirigente e chi più ne ha più ne metta. Basti pensare alla nuova terminologia, al nuovo linguaggio che ha preso piede nella scuola. Un linguaggio prettamente burocratico, privo di sostanza, che si articola in acronimi ridicoli e ridondanti come PAI, PEC, POF, PTOF, PON… Tutto ciò non ha nulla a che vedere con la scuola buona ed efficiente. Il trasferimento di poteri decisionali dal Ministero alle singole scuole non ha riguardato solamente questioni di natura amministrativa e gestionale, ma ha modificato anche il progetto educativo nel suo insieme e il modo per costruirlo. Il cosiddetto Piano dell’Offerta formativa vede un modello di scuola fortemente diversificato non solo su base regionale, ma addirittura su base territoriale, per cui esistono scuole di eccellenza e scuole abbandonate senza la minima risorsa. Si pensava, al tempo dell’Autonomia, che un’offerta unica ed uguale per tutto il territorio nazionale fosse superata ed anacronistica, eludendo, però, i rischi di un modello educativo differenziato, sia pure solo su base regionale. Come hanno fatto a non pensare al secolare gap tra Nord e Sud del paese? Come hanno potuto concepire un così largo margine a scelte educative fondamentali per le nuove generazioni? Oggi i contenuti e i metodi si adeguano alle idee dei Ds, che si succedono a cadenza triennale quando tutto va bene, alle situazioni politiche nazionali e periferiche, al concorso di volontà, spesso solo sulla carta, all’interno del quale intervengono come attori, oltre agli addetti ai lavori, anche i fruitori del servizio (studenti, famiglie) e gli stakeholder istituzionali e sociali (enti locali, imprese, etc.). La scuola è dunque diventata un sistema organizzativo complesso e tale complessità ha imposto, fra gli altri, il tema del middlemanagement, nato in ambito aziendale nel mondo anglosassone a partire dagli anni Sessanta e poi allargatosi alle pubbliche amministrazioni e di conseguenza alle scuole. In ambito scolastico la conseguenza più vistosa è stata la totale arbitrarietà del Dirigente ad affidare deleghe a docenti scelti non sulla base di specifiche competenze, ma spesso per il solo bisogno di circondarsi di persone compiacenti a suo servizio, anche rispondendo a logiche clientelari proprie della politica. La gestione affidata ad operatori intermedi non funziona, genera disuguaglianze e frustrazioni tra persone di pari dignità, le quali non collaborano volentieri, non si confrontano, accettano supinamente le direttive del dirigente, esposte in un immenso materiale cartaceo fatto di copia e incolla. Negli ultimi tempi questo sistema delle deleghe ha determinato nelle scuole un incremento spaventoso della burocrazia e gli specialisti della burocrazia limitano progressivamente le competenze e le responsabilità di tutti gli operatori della scuola. “Questi sono condannati all’accettazione ignorante delle decisioni di coloro che si ritiene che sappiano, ma la cui intelligenza è spesso miope, perché parcellizzata ed astratta”, come dice E. Morin. Inoltre, l’autorità di questi esperti, che il più delle volte neanche insegnano o non lo fanno bene perché impaludati nelle carte, sta suscitando un deperimento democratico nella scuola, oltre che un decadimento della qualità dell’istruzione. Quale prospettiva per il futuro? Dare maggiori responsabilità ai singoli docenti, dando a ciascuno la facoltà di operare secondo le proprie conoscenze e competenze, nel rispetto delle finalità prefissate dallo Stato uguali per tutti e declinate in obiettivi specifici calibrati sugli alunni delle singole classi. Basta con la burocrazia inutile e dispendiosa nella scuola! Rossana Cetta

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