venerdì 16 novembre 2018

giovedì 15 novembre 2018

La vocazione al turismo


Non tutti i paesi hanno una vocazione al turismo, non solo perché ci sono dei paesi che di bello non hanno quasi niente e altri belli e ricchi di tesori artistici, ma soprattutto perché la vocazione, quando non è data in dono dagli dei, è una qualità che fa leva su particolari competenze. Essa si avvale di una visione strategica condivisa da una comunità nutrita da un profondo e disinteressato amore per il proprio paese.
Ho incontrato qualche giorno fa un’esperta di marketing del turismo la quale si reca nei vari posti, là dove richiesta, per incontrare Associazioni o gruppi di cittadini operanti sul territorio a vario titolo con l’obiettivo di insegnare loro come si promuove e, prima, come si valorizza un territorio, anche se apparentemente privo di ogni attrattiva. A me, che sono del secolo passato, l’espressione marketing per la verità fa un po’ orrore, non mi piace, tuttavia convengo nel ritenere tale disciplina o scienza, non so, al passo con i tempi e perciò necessaria. E però, non bisogna fare del marketing l’obiettivo principale, ovvero confonderlo facendolo diventare da mezzo fine. Un luogo, ad esempio un paese o una parte di esso, non può essere considerato alla stregua di una merce da proporre a clienti, perché esso è fatto in primo luogo di persone che lì ci abitano, ci vivono, hanno le loro radici, i loro bisogni che sono in primo luogo di appartenenza, d’identità. Un luogo è dunque fatto di spirito oltre che di materia, è fatto di profumi, di sensazioni, di ricordi, di memorie collettive ed individuali. Di conseguenza, non si può privilegiare un luogo specifico deputato al turismo sul quale concentrare investimenti e promozione così da renderlo bello, brillante ed attraente lasciando poi tutto il resto del territorio nel degrado e nell’abbandono. Così facendo si rischia di proporre al turista una specie di artificiosa immersione in posti tenuti accuratamente isolati dalle parti degradate che li circonda. Quello che voglio dire è che il turismo comincia dall’amore per il territorio. Se infatti vai in un posto attraente, pulito e accogliente e non invece in un luogo devastato dalle pale eoliche o da squallidissimi capannoni industriali, tu ci vuoi rimanere, ci stai bene ed invogli gli altri ad andarci. E’ semplice, no? Ma quale turismo si può concepire se non si comincia da qui, da un ambiente generale risanato che si fa raccontare, che accoglie sempre e non solo nei grandi eventi mistificatori e vanagloriosi? L’asset fondamentale del turismo è insomma l’intero territorio e insieme un esercito di persone in grado di accogliere spontaneamente trasmettendo amore, conoscenza e memorie di una intera comunità.



lunedì 29 ottobre 2018

Se potrò impedire a un cuore di spezzarsi


Se potrò impedire a un Cuore di spezzarsi
Non avrò vissuto invano
Se potrò alleviare il Dolore di una Vita
O lenire una Pena
O aiutare un Pettirosso caduto
A rientrare nel suo nido
Non avrò vissuto invano.

[Emily Dickinson]

lunedì 22 ottobre 2018

La speranza del Sud è la speranza del mondo

Leggo sempre con molto piacere ciò che scrive Romano Luperini, soprattutto quando interviene su questioni che riguardano la vita civile del nostro Paese.
 Gli capita molto spesso di spaziare su temi fra i più disparati, col pretesto di discutere di scuola e testi. Così, dal momento che insegna Didattica della letteratura all'università di Catania fino a dicembre, in una recente intervista rilasciata a MeridioNews, si è trovato a parlare di Lega, di femminismo e della disparità fra Nord e Sud.
 Mi ha colpito in particolare la riflessione sulla scuola e su quelli che vi operano, che lui ha definito " traghettatori di contrabbando."
 Vorrebbe dire che i docenti, gli ultimi intellettuali rimasti, sono quelli che nella generale svalutazione dei valori dell'umanesimo continuano a traghettare le nuove generazioni verso i valori di un  passato che il progresso ha  già spazzato via.
 In particolare, lui ritiene che la scuola del Sud abbia questa esclusiva prerogativa, in virtù della sua arretratezza rispetto ai canoni di un progresso che lo vede tagliato fuori rispetto alle aree del Centro-Nord.
 Grande Luperini, che affida alla letteratura la salvezza del mondo!!!





martedì 4 settembre 2018

Quando un libro è fatto di carne sangue ed ossa

Ecco perché consiglio di leggere L'amica geniale e gli altri romanzi della quadrilogia di Elena Ferrante. Ho letto solo i primi due: L'amica geniale e Storia del nuovo cognome tutto d'un fiato, con trepidazione, commozione e coinvolgimento totale. Leggendo la storia di Lila e Lenù ho rivissuto la mia infanzia, ho rivisto i vicoli del mio paese, dove sono cresciuta insieme alle mie amiche del cuore: Enzina, Lucia, Pina, Rosita e le altre, tutte le altre bambine del paese, negli stessi anni raccontati nel libro, gli anni a cavallo tra i 50 e i 60, quando anche da noi cominciava a manifestarsi in varie forme la nuova vita sociale mentre noi ne eravamo del tutto inconsapevoli. Ho ritrovato le stesse abitudini, le stesse case, la stessa povertà, quasi gli stessi personaggi. Ho rivisto la bottega del calzolaio, la bottega del barbiere, del sarto, le stesse mamme invecchiate precocemente e cariche delle fatiche quotidiane. Che dire, mi piacerebbe addirittura copiare e ricopiare il libro di Ferrante, tanto è simile a quello che ho in mente da sempre! Apporterei solo alcune modifiche, e per il resto mi farei trascinare dalla marea dei ricordi, tanti ricordi sopiti ma mai perduti del tutto!... Al momento ho per Elena Ferrante un'immensa invidia, quella buona s'intende, perché ha saputo parlare al cuore e alla mente ridestando una memoria tenuta nascosta e quasi soffocata per pudore, come si fa con le cose intime e segrete. Mai letto un libro così palpitante di vita vissuta!!!

sabato 14 luglio 2018

I mostri che abbiamo dentro

Fa un certo effetto non capire bene da dove nasce ogni tua reazione. E tu stai vivendo senza sapere mai nel tuo profondo quello che sei quello che sei. I mostri che abbiamo dentro che vivono in ogni uomo nascosti nell'inconscio sono un atavico richiamo. I mostri che abbiamo dentro che vagano in ogni mente sono i nostri oscuri istinti e inevitabilmente dobbiamo farci i conti. I mostri che abbiamo dentro silenziosi e insinuanti sono il gene egoista che senza complimenti domina e conquista. I mostri che abbiamo dentro ci spingono alla violenza che quasi per simbiosi si è incollata alla nostra esistenza. La nostra vita civile la nostra idea di giustizia e uguaglianza la convivenza sociale è minacciata dai mostri che sono la nostra sostanza. I mostri che abbiamo dentro i mostri che abbiamo dentro. I mostri che abbiamo dentro ci fanno illanguidire di fronte a quella cosa che spudoratamente noi chiamiamo amore. I mostri che abbiamo dentro sono insaziabili e funesti sono il potere a tutti i costi ma anche chi lo odia soltanto per invidia. I mostri che abbiamo dentro ci ispirano il grande sogno di un Dio severo e giusto col mitico bisogno di Allah e di Gesù Cristo. I mostri che abbiamo dentro ci inculcano idee contorte e il gusto sadico e morboso di fronte a immagini di morte. La nostra vita cosciente la nostra fede nel giusto e nel bello è un equilibrio apparente che è minacciato dai mostri che abbiamo nel nostro cervello. I mostri che abbiamo dentro crescono in tutto il mondo i mostri che abbiamo dentro ci stanno devastando. I mostri che abbiamo dentro che vivono in ogni mente che nascono in ogni terra inevitabilmente ci portano alla guerra.
G. Gaber

sabato 7 luglio 2018

Il giullare Dario Fo non è più tra noi

Ha salutato il mondo, come dicono, con lucidità e ha persino cantato qualche giorno prima di morire, nonostante la grave patologia polmonare. Con la sua morte si è spenta una luce che ha brillato per anni sui tanti palcoscenici non solo teatrali, ma anche politici e sociali 

domenica 6 maggio 2018

GIOCO AL RIBASSO

INCREDIBILE!!!!! 

Avete sentito il caso di quella scuola che ha deciso di premiare con denaro i suoi studenti meritevoli? Ma non basta che non vengono più bocciati, che prendono il 6 politico anche quelli che meriterebbero 3, che se prendono un 5 ti denunciano che se non dai 10 a chi a stento arriverebbe all"8 ti perseguitano, ti ricattano, ti odiano? Ma è veramente ridicolo e patetico questo ipocrita buonismo e che squallore questa abominevole moda di fare stranezze pur di far parlare di sé! Quando si ritorna ad una scuola seria? Quando??!!

mercoledì 18 aprile 2018

Aggiungi didascalia
"A egregie cose il forte animo accendono l'urne dei forti..."

LA FALSA EDUCAZIONE

I grandi maestri del passato dicevano che la disciplina è sempre interiore e a nulla servono i mezzi esterni per la cosiddetta disciplina scolastica. Il concetto di disciplina rimanda automaticamente al concetto stesso di educazione, per cui se poniamo il problema non possiamo non parlare in primis di educazione, nella scuola e fuori della scuola.
Che cosa è successo in questi ultimi anni, perché siamo arrivati a questo profondo degrado, nonostante i mille e mille progetti nella scuola di educazione alla legalità, alla pacifica convivenza, al rispetto della diversità, alla pace, e chi più ne ha più ne metta? La risposta è che la scuola non è più scuola, è altro; è diventata il carro del cambiamento, come dice Paola Mastrocola, la mia scrittrice preferita. In nome di questo continuo e assillante cambiamento abbiamo affossato la scuola, l'hanno affossata gli innumerevoli ministri che si sono succeduti di sinistra e di destra, indifferentemente. Tutto deve cambiare, il mondo va di corsa e la scuola dietro, affannata, ansimante, trascinando con sé come una marea gli insegnanti disposti, cedevoli al cambiamento e lasciando indietro quelli tradizionali smarriti, disorientati, pochi per la verità, perché alla fine tutti abbiamo ceduto! Oggi l'insegnante moderno non fa lezione ma tanto altro; per esempio recupera, colma, accoglie, progetta, esplicita, pianifica l'offerta, cura l'utenza, stabilisce obiettivi, individua percorsi... sempre citando la Mastrocola.
 Tornando però al tema della disciplina, mi ritorna alla memoria la lezione di G. Lombardo Radice il quale analizzando il concetto di disciplina scolastica stabiliva che se lo scolaro non è spinto a guardare al maestro come a un modello da seguire egli sarebbe inevitabilmente ribelle e sordo ad ogni insegnamento. Il problema ricade dunque sull'insegnante, il quale deve mostrarsi forte e coerente tale da guadagnarsi consenso e fiducia nella sua autorità. Il valore della disciplina è fondamentale nella scuola, senza di essa non c'è fiducia nell'istituzione e in chi la rappresenta. Oggi è di moda avere l'insegnante amico, che non punisce ma accondiscende con dolcezza e libertà incondizionata. Ma come si fa a non capire che i ragazzi e i bambini sono continuamente giudici di se stessi e degli altri, come lo sono tutti gli uomini? La natura umana consiste proprio nella continua riflessione su di noi e se in questo continuo processo di autoriflessione ci trovassimo di fronte a un educatore fiacco, uno cioè che è debole a reprimere ciò che noi stessi sentiamo degno di repressione e fosse facile a lodare e a premiare ciò che noi stessi valutiamo come azione nient'affatto straordinaria, mancherebbe il consenso e insieme l'autorità dell'educatore. Come non capire  che se l'alunno non accetta il rimprovero, non comprende cioè l'insegnante nell'atto in cui questi lo giudica, lo rimprovera, lo punisce, lo premia è solo perché egli scopre incoerenza e ingiustizia nella persona dalla quale si attende guida e si ribella credendo più a se stesso che a quella e così comincia a prendere come norma  la stessa assenza di norma, amando e odiando a seconda che il suo bisogno sia assecondato o contrariato!? L'alunno è sempre giudice del maestro. Egli vede e nota se l'insegnante ritarda, se è distratto, se esagera nel rimprovero ad un compagno, se urla, se dimentica una promessa fatta, se indugia spesso nel riposo, se ripete meccanicamente i contenuti o li rinnova ogni volta con passione. Anche l'alunno dunque premia e castiga il maestro. Se è attento, docile e rispettoso è segno di premio; se invece si ribella o è passivo è segno di punizione. Tutto ciò si riscontra non solo nel rapporto docente-alunno nel ristretto ambito della scuola, ma soprattutto nel rapporto tra operatori della scuola e Istituzione la quale dovrebbe dare regole certe e norme stabili al fine di garantire non solo l'istruzione ma, appunto, l'educazione della nazione!!!   

venerdì 2 marzo 2018

Le magnifiche sorti e progressive della scuola

La notizia che nel prossimo governo ci sarà un dirigente scolastico che si è distinto per aver introdotto la Tecnologia avanzata nella sua scuola, mi fa venire i brividi. Mi aspettavo che in nome della Competenza i grillini scegliessero un grande educatore, uno in grado di rivalutare la Scuola con la S maiuscola  e non con la T maiuscola. Così ci apprestiamo a seppellire definitivamente la scuola di una tradizione millenaria, la scuola che dava l'educazione critica e discorsiva attraverso il libro e la parola, quell'educazione che abituava ad approcciarsi gradualmente alla realtà. A mio parere, è patetico il tentativo di rincorrere il nuovo ad ogni costo nella scuola; il pantano del consumismo, del tutto facile e subito garantito dal computer rischia di risucchiare la scuola mandando in soffitta tutti i valori di una sana educazione. La scuola si adegua al mondo che va in rovina, rincorre modelli alieni alla sua funzione, si adopera in mille progetti che alla fine sfiancano i ragazzi, i docenti, le famiglie senza alcuna ricaduta sulla reale crescita umana e culturale. Io non rifiuto la tecnologia, ne riconosco l'utilità, ma non mi si venga a dire che essa determini in toto la scuola del domani, non mi si dica che essa acceleri o stimoli il processo di apprendimento, non lo accetto. L'insegnamento deve dare ai ragazzi  gli strumenti intellettivi, non artificiali, per acquisire una coscienza critica, una capacità di discernimento. Il computer non è la panacea in virtù della quale si risolvono tutti i problemi dell'apprendimento. La scuola oggi sta vivendo la più grave crisi che la storia ricordi, sta affondando in un degrado educativo e culturale, sta smarrendo la sua identità, e chi si preoccupa di ciò? Chi si preoccupa che nella scuola non esiste più il merito, che non funziona più come ascensore sociale per i meritevoli e bisognosi, che non forma più cittadini consapevoli, che  sforna ogni anno migliaia di  ragazzi ignoranti ed incompetenti, nella maggior parte (spesso anche con un curriculum di tutto rispetto)? Chi si preoccupa dell'impoverimento dei contenuti culturali per assecondare gli standard minimi di apprendimento richiesti da una cultura di massa che è estranea alla scuola?  Questi e tanti altri sono i veri problemi da risolvere, altro che scuola 2.0!

mercoledì 28 febbraio 2018

Quando lo spazio non insegna

Sto facendo un'esperienza d'insegnamento in una scuola in cui mi sento come in prigione, in cui muri e pareti mi si chiudono addosso come in una morsa. Mi metto nei panni dei poveri alunni (alunne per la maggior parte), ingiustamente deprivati, pur pagando le tasse come tutti gli altri, di spazi essenziali con caratteristiche di funzionalità, confort e benessere. Non che altrove la scuola non abbia le medesime caratteristiche proprie oramai dei non luoghi, anestetizzanti, tutte uguali, abbastanza tristi, con colori spenti, aule non adeguate perché troppo piccole, in cui fa troppo caldo o troppo freddo. Ma nella scuola in cui lavoro tutte queste caratteristiche sono manifeste alla massima potenza. Trattasi, in primo luogo, di abitazione privata in cui le aule sono ricavate in parte da locali  a piano terra adibiti all'origine a garage. I corridoi sono inesistenti  e al loro posto ci sono solo dei passaggi per il transito degli studenti che si recano in uno o al massimo due bagni angusti, cupi  e senza finestre. Unico spazio concesso ai ragazzi è un piccolo atrio, dove si fermano all'entrata e all'uscita in attesa della campanella. Anche il suono di questa è sfocato, indistinto ed io non lo sento mai. La scuola è per giunta ubicata un po' fuori dal piccolo centro abitato e si affaccia su una strada transitata solo da automobili in corsa. Dalle finestre non si vede nulla, nemmeno uno squarcio di cielo e nelle giornate uggiose pare di vivere sotto una campana di vetro, senza luce né aria. Un vecchio computer collegato ad una LIM fa bella mostra di sé sulla cattedra e per me sarebbe una finestra sul mondo, se non insegnassi latino e non dovessi sempre e comunque spiegare la lingua e la letteratura. Certo la uso, la Lim, mi piace divagare ogni tanto attualizzando un tema, un motivo, il pensiero di un autore, mi piace illustrare di un testo la struttura della lingua, soffermarmi  sulle parole e sull'etimo e tanto altro, a seconda dell'inventività del momento, ma non basta. Non basta a stimolare gli alunni di questa classe che rimangono abulici, indifferenti e sempre un po' tristi, almeno così mi sembrano. Ho provato ad indagare sul perché di tanta abulia, quello che è emerso è che si sentono del tutto ignorati e vilipesi dalla sede centrale, non riconosciuti nei loro diritti, figli di un Dio minore. Hanno protestato a lungo insieme ai loro genitori per ottenere una sede più adeguata, semmai trasferendola in una struttura vicina alla sede centrale, anch'essa ubicata lontana dal centro, in una contrada, o anche in un paese limitrofo in grado di offrire strutture capienti e confortevoli. E' stato tutto inutile: prevalgono in ogni dibattito logiche insensate e perverse di tipo campanilistico e peggio ancora politico-amministrative a livello provinciale e locale. Fatto sta che i ragazzi sono costretti a passare le loro giornate in spazi di non apprendimento, angusti e privi di stimoli di qualsivoglia genere.

domenica 7 gennaio 2018

Lettera al futuro Ministro MIUR


Egregio futuro  Ministro del MIUR,
 il progetto politico di riforma LA BUONA SCUOLA, promosso dal governo Renzi attraverso un'inconsueta, enorme consultazione pubblica, non ha dato le risposte che ci si aspettava, perché non ha toccato il cuore della questione, quindi non è da considerarsi in nessun modo una riforma. Non voglio certo criticare in toto il pur nobile tentativo di rinnovare, sia pure a parole, la scuola, è già tanto se il problema è stato posto  nell'agenda politica in primo piano!  Le scrivo per gettare un fascio di luce su quella parte della questione (che è poi il punto cruciale della scuola) che rimane sempre nell'ombra, nascosta, insondabile ed anche misteriosa. Mi riferisco alla figura dell'insegnante, assolutamente prioritaria in qualsivoglia scuola, in qualsivoglia processo educativo. Eppure, tutto il dibattito verte piuttosto sui cambiamenti strutturali e organizzativi, sui nuovi obiettivi formativi, come alternanza scuola-lavoro, digitalizzazione a tutti i livelli, snellimento delle procedure burocratiche, ecc. ecc. Tutte cose buone e giuste, per carità!... Poi è da vedere se la teoria si tradurrà in pratica. Ma intanto, in nessun punto della Buona Scuola si evince un nuovo modello di insegnamento (e di insegnante) che sia riconoscibile e sperimentabile. Mi chiedo: non è forse necessario che sulla base delle nuove esigenze formative si costruisca un nuovo modello d'insegnante che sappia presentare l'innovazione, essere affidabile, credibile, in grado di fare acquisire alle nuove generazioni una disciplina intellettuale? E' ancora possibile ignorare la centralità della figura dell'insegnante, pretendere di creare una scuola  su basi nuove, senza modificare lo stile educativo? Nessuno ignora che un bravo insegnante ed  uno stile adeguato d'insegnamento rappresentano  le molle più potenti per lo sviluppo della motivazione all'apprendimento, ciononostante la formazione adeguata per il futuro insegnante stenta ad essere definita nelle sue caratteristiche. La situazione oggi vede l'insegnante, in molti casi, o martire votato al supplizio inferto quotidianamente da ragazzi ipercinetici  e svogliati, oppure relegato a terminale passivo del "villaggio globale". Si disprezzano spesso i docenti ritenendoli inadeguati al loro compito, ma nessuno ha il coraggio di dire chiaramente che la buona scuola è il buon insegnante, nessuno  finora ha parlato chiaramente di cultura. Eppure, chi se non l'insegnante colto, sa efficacemente utilizzare le sue conoscenze, sa ricomporre l'unità del sapere e scomporla per offrire agli alunni quei nuclei concettuali fondanti della propria disciplina, che sono poi le  strutture culturali di base, che rendono, infine, capacità di analisi e di riflessione? Come non parlare di cultura, di un didattica della cultura, che è la sola in grado di assicurare la formazione della personalità, che mette in condizione il giovane  di sapersi porre in relazione con gli altri, le cose, il mondo? E' l'insegnante colto che assicura alla persona la capacità di esprimersi e di comunicare, il gusto delle cose belle, la gioia di impegnarsi a fare, la capacità di osservare con onestà la realtà, l'apertura al mondo e a ciò che va oltre il contingente. ”Non si insegna quello che si vuole; dirò addirittura che non s'insegna quello che si sa o quello che si crede di sapere: s'insegna e si può insegnare solo quello che si è” come diceva quel Jean Jaurés, filosofo e politico francese.
La cultura personale dell'insegnante è la condicio sine qua non per il buon funzionamento della scuola!
  La stessa pedagogia non serve a formare gli insegnanti, e da sempre la cultura è la regola prima del maestro, oltre questa non c'è che l'esercizio magistrale, la professione. Lo diceva saggiamente G. L. Radice: “Il maestro se ha un'organica cultura trova sempre la sua via, altro che regole! La migliore preparazione del maestro è e sarà sempre una cultura disinteressata non professionale. Il problema è antico come il mondo, ma esso si ripropone oggi in tutta la sua scottante attualità, giacché la cultura vera e profonda è l'unica via per l'educazione all’umanità, in un contesto in cui si stanno annullando tutti i valori etici pubblici e privati. E tuttavia, il problema educativo, oggi, si deve porre in modo del tutto nuovo e complesso.  Tanto per cominciare, il problema dei problemi è la cultura di massa con la quale la scuola si deve confrontare, dal momento che essa è diventata la cultura della quasi totalità della popolazione ed è riuscita a mettere ai margini sia la cultura di elite sia la cultura popolare. La cultura di massa è estranea alla scuola, ma essa ha vinto la sua battaglia sia perché spinta dal sistema produttivo fondato sui consumi di massa sia perché sollecitata  dai potenti mezzi di comunicazione. Per me il tema centrale della pedagogia moderna è questo. E non c'è riforma che tenga!