Tesi n. 3 Carlo Aianiello, La conquista del Sud, Il Risorgimento nell’Italia meridionale, Rusconi, Milano 1972
Lo sbarco di Garibaldi,la sua fortunata galoppata dalla Sicilia a Napoli, le battaglie di Capua, del Volturno, di Mola e di Gaeta non furono vera guerra, non furono una guerra combattuta tra nemici accaniti. In Calabria reggimenti e brigate si arresero al sopraggiungere di quattro garibaldini e un caporale, e gli ufficiali offrivano loro sigari e l'invitavano a pranzo, quasi a chiedere scusa d'essere borbonici... erano convinti d'entrare a far parte, soggetti e non oggetti, d'una storia nuova, di quelle cose bellissime e modernissime che si chiamavano libertà e progresso. La vera guerra fu quella dei cafoni perché Garibaldi era venuto a togliergli il pane per arricchire i signori, peggio, i piemontesi. Quella guerra i "liberatori" non se l'aspettavano, guerra civile, rivolta agraria, reazione, resistenza armata, brigantaggio. Tutto uno squallido inferno, uno svettar di fiamme nei boschi, una frana di terre nei torrenti e nelle fiumane. Contro i "galantuomini" di casa e gli stranieri di fuori, gente d'altra lingua, d'altre usanze, difforme. Così il reale governo italiano dovette mantenere nelle provincie meridionali per poco meno di dieci anni quasi 120.000 uomini per dare la caccia ai briganti. Secondo la stampa estera, dal gennaio all'ottobre del 1861 si contavano nell'ex Regno delle Due Sicilie 9.860 fucilati, 10.604 feriti,918 case arse, 6 paesi bruciati, 12 chiese predate, 40 donne e 60 ragazzi uccisi, 13.629 imprigionati, 1428 comuni sorti in armi. E questo martirio durò finché i morti furono troppi, nauseati soldati e ribelli dal lungo lezzo di cadaveri.La rivolta durò molti anni, fin quasi al 1869 tornando a divampare di tanto in tanto fino a spegnersi. Ma intanto questo sangue, queste stragi, quest'odio scatenato, fino ad ora sono stati messi in conto a noi, gente del Sud. Il cafone indossò il vestito nero, quello della festa, s'accollò la bisaccia di dura canapa e andò a morire di febbre gialla per poter arricchire con le poche "rimesse" non i suoi ma gli industriali del Nord. Così, quasi per magia, le bisacce si mutarono in valigie di cartone per la generazione nuova, affinché andasse a perdere vita e salute nelle miniere di carbone d'un paese che la sfruttava ugualmente, ma non aveva la pretesa d'averla liberata. La piccola borghesia contadina tornò alla zappa, cioè alla "coltivazione diretta" o al minuto commercio. Della borghesia la parte eletta soppiantò i vecchi baroni oppure in città concorse ai pubblici impieghi, occupò tribunali e atenei. Un gran sonno avvolse l'Italia meridionale; l'uomo del volgo ignorò ogni cosa, l'intelligente distorse persino la storia e gettò nel sepolcreto anche la coscienza di sé, di qui la vergogna per la propria terra e il disprezzo. Non ci sono mai stati da allora, neppure il troppo lodato Giustino Fortunato, politici o grandi uomini che abbiano riscattato l'offesa subita dal Sud.
lunedì 29 novembre 2010
domenica 21 novembre 2010
La sinistra è...
La Sinistra è l’idea che se guardi il mondo con gli occhi dei più deboli puoi fare davvero un mondo migliore per tutti. Abbiamo la più bella Costituzione del mondo, la si difende ogni giorno e il 25 aprile si fa festa. Nessuno può star bene da solo, stai bene se anche gli altri stanno un po’ bene. Se pochi hanno troppo e troppi hanno poco, l’economia non gira, perché l’ingiustizia fa male all’economia. Ci vuole un mercato che funzioni, senza monopoli, corporazioni, posizioni di dominio, ma ci sono beni che non si possono affidare al mercato: la salute, l’istruzione, la sicurezza. Il lavoro non è tutto, ma questo può dirlo solo chi il lavoro ce l’ha. Il lavoro è la dignità di una persona, sempre, e soprattutto quando hai trent’anni hai paura di passare la vita in panchina, ma chiamare flessibilità una vita precaria è un insulto. E allora, un’ora di lavoro precario non può costare meno di un’ora di lavoro stabile. Chi non paga le tasse mette la mani nelle tasche di chi è più povero di lui. Se cento euro di un operaio, di un pensionato, di un artigiano pagano di più dei cento euro di uno speculatore, vuol dire che il mondo è capovolto. Davanti a un problema serio di salute, non ci può essere né povero né ricco, né calabrese, né lombardo né marocchino. Si fa con quel che si ha, ma si fa per tutti. L’insegnante che insegue un ragazzo per tenerlo a scuola è l’eroe dei nostri tempi. Indebolire la scuola pubblica vuol dire rubare il futuro ai più deboli. La condizione della donna è la misura della civiltà di un Paese, calpestarne la dignità è l’umiliazione di un Paese. Dobbiamo lasciare il Pianeta meglio di come l’abbiamo trovato, perché non abbiamo il diritto di distruggere quello che non è nostro. E l’energia va risparmiata e rinnovata, sgombrando la testa da fanta-piani nucleari. Il bambino, figlio di immigrati, che è nato oggi, non è né immigrato né italiano, dobbiamo dirgli chi è. Lui è un italiano. Se devo morire attaccato per mesi a mille tubi, non può deciderlo il Parlamento, perché un uomo resta un uomo, con la sua dignità, anche nel momento della sofferenza e del distacco. C’è un modo per difendere la fede di ciascuno, per garantire le convinzioni di ciascuno, per riconoscere la condizione di ciascuno: questo modo, irrinunciabile, si chiama laicità. Per guidare l’automobile, che è un fatto pubblico, ci vuole la patente, che è un fatto privato. Per governare, che è un fatto pubblico, bisogna essere persone perbene, che è un fatto privato. Chi si ritiene di sinistra, chi si ritiene progressista, deve tenere vivo il sogno di un mondo in pace, senza odio e violenza, e deve combattere contro la pena di morte, la tortura, ogni altra sopraffazione fisica o morale, e ogni illegalità. Essere progressisti significa combattere l’aggressività che ci abita dentro, quella del più forte sul più debole, dell’uomo sulla donna, di chi ha potere su chi non ne ha e prendere la parte di chi ha meno forza e meno voce. Qui finisce il mio tempo ma non certo il mio elenco. Grazie.
sabato 20 novembre 2010
Sant' Angelo dei Lombardi: un ricordo nel trentennale del terremoto
Ai giovani di Sant'Angelo dei Lombardi, paese straziato dal terremoto dell'80, mi viene da dire: " Voi Sant'Angelo non l'avete conosciuto com'era nel secolo scorso, o meglio lo avete (spero) imparato ad amare attraverso i racconti, i ricordi, le impressioni dei vostri padri e dei vostri nonni, ma nulla di ciò che voi avete appreso, neanche in minima parte, può surrogare ciò che noi abbiamo ricevuto in termini d'identità. Parlo di atteggiamenti di vita individuale e collettiva, degli ideali che muovevano i nostri usi e costumi, delle scelte, dei rapporti tutti fondati sul rispetto, sull'educazione, sulla semplicità, sull'onestà... Insomma, un patrimonio di cultura che voi solo in minima parte avete ereditato, com'è naturale che sia, per lo scorrere inesorabile del tempo"...
Certo non è da imputare come colpa ad alcuno se oggi anche Sant'Angelo è nel Villaggio globale, anch'esso plagiato dal pensiero unico dominante che ci rende uguali nella più aberrante omogeneità imposta dai media. Non sono contro il progresso per partito preso, ma penso che oggi è fortunato quel popolo che è riuscito a mantenere intatte le sue radici, le nostre prima ancora della globalizzazione le ha spezzate per sempre quel terribile sisma del 1980!
Certo non è da imputare come colpa ad alcuno se oggi anche Sant'Angelo è nel Villaggio globale, anch'esso plagiato dal pensiero unico dominante che ci rende uguali nella più aberrante omogeneità imposta dai media. Non sono contro il progresso per partito preso, ma penso che oggi è fortunato quel popolo che è riuscito a mantenere intatte le sue radici, le nostre prima ancora della globalizzazione le ha spezzate per sempre quel terribile sisma del 1980!
martedì 9 novembre 2010
Vieni via con me
Via, via, vieni via con me,
entra in questo amore buio pieno di uomini
via, via, entra e fatti un bagno caldo
c’è un accappatoio azzurro, fuori piove un mondo freddo,
it’s wonderfoul, it’s wonderfoul…
lunedì 8 novembre 2010
" O emigranti o briganti": Il destino del Sud 2
Tesi n. 2: Pasquale Villani, Mezzogiorno fra riforme e rivoluzione, 1962 Ed. Laterza
Le industrie meridionali
Il Mezzogiorno ebbe prima dell'Unità uno sviluppo industriale? E quale fu la consistenza della borghesia industriale meridionale?
Le industrie meridionali ebbero la possibilità di svilupparsi specialmente in seguito ai provvedimenti legislativi del 15 dicembre 1823 e del 20 novembre 1824 che crearono una fortissima barriera protettiva a difesa della produzione nazionale. In ogni parte del Regno rifiorì la lavorazione della seta specialmente in Calabria, come pure la manifattura della lana e l'industria cotoniera. Fu fiorente anche l'industria del ferro e quella delle costruzioni navali (gestite in massima parte direttamente dallo Stato). Fiorenti furono anche attività minori, come la produzione della carta, dei colori, dei cuoiami, dei guanti e dei cappelli. I due rami industriali più progrediti e di maggior rilievo, il siderurgico e il tessile cotoniero erano, il primo finanziato dallo Stato, il secondo nelle mani di un gruppo di industriali elvetici. Rosario Villari in un recente studio sui problemi dell'economia napoletana alla vigilia dell'unità, rileva che sintomi di crisi industriale erano ben presenti prima ancora che l'unificazione sconvolgesse l'antico sistema, anche per la mancanza di infrastrutture e di adeguati istituti di credito. L'abbattimento delle barriere doganali ed il disinteresse del nuovo stato unitario produssero una crisi gravissima che solo alcune fabbriche riuscirono a superare, rendendo evidente la debolezza delle strutture industriali meridionali. Questo a dimostrazione dello scarso peso e scarsa efficienza di una moderna borghesia imprenditoriale. Se fosse stata notevole per forza e per numero avrebbe certamente trovato modo di proteggere i suoi interessi anche nel nuovo Stato, come non mancò di fare la borghesia del Nord. D'altro canto l'agricoltura rimase retaggio del latifondo feudale e non consentì per molto tempo alcuna forma di rivoluzione agraria.
Le industrie meridionali
Il Mezzogiorno ebbe prima dell'Unità uno sviluppo industriale? E quale fu la consistenza della borghesia industriale meridionale?
Le industrie meridionali ebbero la possibilità di svilupparsi specialmente in seguito ai provvedimenti legislativi del 15 dicembre 1823 e del 20 novembre 1824 che crearono una fortissima barriera protettiva a difesa della produzione nazionale. In ogni parte del Regno rifiorì la lavorazione della seta specialmente in Calabria, come pure la manifattura della lana e l'industria cotoniera. Fu fiorente anche l'industria del ferro e quella delle costruzioni navali (gestite in massima parte direttamente dallo Stato). Fiorenti furono anche attività minori, come la produzione della carta, dei colori, dei cuoiami, dei guanti e dei cappelli. I due rami industriali più progrediti e di maggior rilievo, il siderurgico e il tessile cotoniero erano, il primo finanziato dallo Stato, il secondo nelle mani di un gruppo di industriali elvetici. Rosario Villari in un recente studio sui problemi dell'economia napoletana alla vigilia dell'unità, rileva che sintomi di crisi industriale erano ben presenti prima ancora che l'unificazione sconvolgesse l'antico sistema, anche per la mancanza di infrastrutture e di adeguati istituti di credito. L'abbattimento delle barriere doganali ed il disinteresse del nuovo stato unitario produssero una crisi gravissima che solo alcune fabbriche riuscirono a superare, rendendo evidente la debolezza delle strutture industriali meridionali. Questo a dimostrazione dello scarso peso e scarsa efficienza di una moderna borghesia imprenditoriale. Se fosse stata notevole per forza e per numero avrebbe certamente trovato modo di proteggere i suoi interessi anche nel nuovo Stato, come non mancò di fare la borghesia del Nord. D'altro canto l'agricoltura rimase retaggio del latifondo feudale e non consentì per molto tempo alcuna forma di rivoluzione agraria.
giovedì 4 novembre 2010
L'alternativa possibile...
"L'elezione di Susanna Camusso a segretario generale della Cgil è un passaggio di portata storica", così ha dichiarato Cesare Damiano, capogruppo del Pd in commissione Lavoro. Per la prima volta nella storia d'Italia una donna è alla guida di uno dei più grandi e importanti sindacati del nostro paese, su di lei la speranza di tutte le donne motivate e preparate per la difesa dei diritti di chi lavora con serietà e dignità, uomini o donne che siano...
Con la scelta di una donna "si è superato un ritardo inaccettabile" ha detto il segretario uscente Epifani, ricordando quanto sia difficile per una donna affermarsi nel mondo del lavoro, senza dover rinunciare alla cura della famiglia, che solo a lei è affidata. Tanto più difficile in un paese come il nostro, in una temperie culturale in cui si assiste ad atteggiamenti indegni di un paese civile da parte chi ci governa, atteggiamenti che hanno riportato la condizione della donna ad almeno cinquanta anni indietro.
Con la scelta di una donna "si è superato un ritardo inaccettabile" ha detto il segretario uscente Epifani, ricordando quanto sia difficile per una donna affermarsi nel mondo del lavoro, senza dover rinunciare alla cura della famiglia, che solo a lei è affidata. Tanto più difficile in un paese come il nostro, in una temperie culturale in cui si assiste ad atteggiamenti indegni di un paese civile da parte chi ci governa, atteggiamenti che hanno riportato la condizione della donna ad almeno cinquanta anni indietro.
lunedì 1 novembre 2010
Autunno
Autunno. Gia' lo sentimmo venire
Nel vento d'agosto,
nelle pioggie di settembre
torrenziali e piangenti,
e un brivido percorse la terra
che ora, nuda e triste,
accoglie un sole smarrito.
Ora passa e declina,
in quest'autunno che incede
con lentezza indicibile,
il miglior tempo della nostra vita
e lungamente ci dice addio
( Vincenzo Cardarelli )
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