giovedì 27 gennaio 2011

Lo Stato della Disunione

27/1/2011

by Massimo Gramellini

Obama non lo sa, ma rivolgendosi agli americani nel discorso sullo Stato dell’Unione ha parlato per ben due volte a noi italiani. La prima quando ha massaggiato l’amor proprio dei suoi connazionali con il ricordo delle grandi conquiste degli Stati Uniti. Perché un pensiero simile non potrebbe essere accolto anche qui? Possibile che le 150 candeline che spegneremo a marzo debbano essere l’ennesimo pretesto per scannarci fra polentoni e terroni, per parlare di massacri e ingiustizie (presenti nel certificato di nascita di tutti gli Stati moderni), per stabilire se fossero più cruenti i briganti che bevevano nei teschi dei piemontesi o i piemontesi che torturavano i briganti nel lager di Fenestrelle? Non sarebbe meglio per il nostro umore se la parola Italia rievocasse Manzoni e Marconi, Fellini e Ferrari, traducendosi in un’iniezione corroborante invece che nel solito torcicollo emotivo senza costrutto?

L’altro messaggio in codice intercettato nelle parole di Obama è l’invito a credere nel potere della creatività. I posti del futuro non verranno dai lavori del passato, destinati a ridimensionarsi e a traslocare altrove per sempre. Arriveranno dalla tecnologia e dalle energie rinnovabili, da idee nuove e progetti d’avanguardia. Vale la pena perdere altro tempo a inseguire la coda di un mondo che non tornerà più, anziché provare a immaginarne un altro? L’Italia risorge soltanto se sblocca il suo torcicollo e accetta di vivere «ora», come suggerisce il titolo del nuovo disco del mio intellettuale di riferimento: Jovanotti.

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