Per me il viaggio coincide sempre con l'esigenza tutta interiore di un cambiamento repentino di rotta nel percorso abituale, di routine ossessivamente tediosa. Quando decido d'intraprendere un viaggio è perché mi urge dentro il bisogno di uno spostamento fisico nello spazio ma anche nel tempo, in una dimensione immaginata come futura rispetto alla vita presente statica, cristallizzata in forme immutabili. Ogni viaggio per me rappresenta un possibile non ritorno, mi piace immaginare di perdermi in un luogo indefinito dove rinascere a nuova vita. Chissà se altrove potrei scrollarmi di dosso la pesante corazza sotto cui ho nascosto la mia vera identità, dove ho represso i miei sentimenti più veri, le mie aspirazioni più autentiche! La mia condizione è analoga a quella del protagonista de Il fu Mattia Pascal nel celebre romanzo pirandelliano. Anch'io sono alla ricerca di una nuova identità in un altro luogo, fuori della mia vita reale. Anch'io, come i personaggi pirandelliani, desidero liberarmi della forma che reprime il mio slancio vitale. Allora, come uscire dalle trappole, se non partendo!? ...
Partire è un po' come morire, recita un vecchio adagio, ma può anche significare rinascere, rinnovarsi, aprirsi ad una nuova vita, lasciandosi alle spalle tutti gli errori commessi... Che bello sarebbe, per esempio, uscire dalla prigionia del mio ruolo di moglie e di casalinga costretta forzatamente ai lavori domestici! Il ruolo di moglie mi pesa soprattutto, perché il mio compagno non ha slanci ideali ma vive tutto compreso nel contingente immediato. Lui è il mio antagonista, non fa che reprimere ogni mio tentativo di elevare spiritualmente il livello di vita vissuta, che so, magari prendendo parte ad un'associazione di volontariato, culturale, o anche religiosa, perché no, purché esuli dalle incombenze materiali quotidiane e ripetitive quali fare la spesa, cucinare, lavare, stirare, rassettare, calcolare spese, pagare bollette, fino a non poterne più! Ma basta cambiare luogo per liberarsi di tutti gli affanni?
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