domenica 5 giugno 2011

L'ovvietà dà la nausea

Sto finendo di leggere in questi giorni il bellissimo "saggio sulla libertà di non studiare"di Paola Mastrocola, il cui titolo è Togliamo il disturbo, per i tipi Guanda. Leggerlo a ridosso degli scrutini finali mi dà una sorta di conforto, mi rassicura, mi attenua lo stato di ansia per non dire di angoscia che mi prende ogni volta che devo tirare le fila della situazione didattica delle mie classi. Mi viene da dire: meno male che ho trovato qualcuno che la pensa come me, che soffre come me, che si tormenta come me per il destino della scuola! E non si piange addosso come se la fine del mondo dipendesse da lei! Ammiro molto Paola Mastrocola, per la sua capacità di scandagliare un problema andando fin nelle viscere, per poi risalire la china, più tenace che mai a non arrendersi nel trovare una soluzione. Io, invece, pur avendo tante cose da dire, sono rimasta per troppo tempo chiusa in un mutismo, in un'afasia quasi totale sui problemi della scuola, perché sembra ormai che tutto ciò che si dice, o meglio che si deve dire sulla scuola è di una ovvietà a dir poco nauseante. Si sente dire in giro, da un po' di tempo anche nella scuola ce lo diciamo continuamente, che i ragazzi sono ignoranti, non sanno leggere, non sanno scrivere, non sanno fare calcoli, ma non per questo ci preoccupiamo di andare in fondo alla questione per cercare delle soluzioni, e la scuola non per questo si esime dalla promozione assicurata a tutti, senza quasi distinzione.
Quest'anno ho da scrutinare una prima liceo scientifico (Opzione Scienze Applicate) e due quarte liceo scientifico ordinario (con il latino, per intenderci). Nel nuovo indirizzo, nella prima classe, ho insegnato italiano : quattro ore settimanali per nove mesi ( escludendo le domeniche, gli altri giorni festivi, gli scioperi, le altre attività svoltesi a scuola e fuori, molto meno) in cui ho fatto ortografia, analisi grammaticale e analisi logica, epica, un po' di grammatica testuale (testo descrittivo, narrativo, recensione, lettera), tante letture dall'antologia. Cosa hanno imparato i ragazzi? Alcuni molto, altri pochissimo, altri ancora addirittura nulla. Torno alla Mastrocola, e al conforto che mi procura la lettura del suo libro. Insegnare ai ragazzi del biennio è, lei dice, come se ci consegnassero un sacchetto di semi e ci chiedessero di potare i rami. Come sarebbe? I semi non sono ancora alberi, nessuno li ha piantati, come potremmo noi potarli? Intanto è proprio questo che facciamo noi insegnanti nel biennio. Ci arrivano ragazzi di quattordici anni che hanno trascorso otto anni della loro vita a scuola acquisendo abitudini sbagliate, che noi dobbiamo estirpare. Come diavolo possiamo insegnare a ragazzi che hanno quattordici anni cose tipo la calligrafia, l'ortografia e la grammatica, che dovevano imparare da bambini? Anche volendo, non ce la faremo. Son cose che richiedono un tempo lunghissimo, devono sedimentare e maturare dentro. A quattordici anni ormai è fatta, ognuno si tiene gli errori che fa...
Mi conforta sapere che qualcuno finalmente dica le cose come stanno! Si attenua il mio senso di colpa e quasi di vergogna per quei ragazzi che in quarta liceo scientifico mi scrivono egli fù oppure se io avrei. Io non ho colpa!!

Nessun commento:

Posta un commento

Puoi lasciare un commento