presente, riscontriamo una costante: la consapevolezza della sua stessa
fragilità, precarietà, limitatezza, finitudine del suo essere
transeunte. Ciò comporta una sua connaturata debolezza sia di fronte ai
grandi misteri dell’esistenza sia di fronte alle difficoltà quotidiane. La
debolezza si debella cercando qualcosa che dia forza, che conforti, che aiuti a
superare le difficoltà. Prerogativa singolarissima dell’Uomo è il cercare
sostegno in un altro che, anche se debole di per sé, gli mitighi la difficoltà. Si determina il paradosso per cui unendo due debolezze si crea una forza, le
due debolezze si elidono fra loro o almeno cercano di farlo. Il debole cerca
conforto al suo stato e finisce spesso, inconsapevolmente, nel cercarlo in chi
poi in realtà, sotto sotto, talora è più debole di lui, ma ciò malgrado
lenisce, o si illude di farlo, la sua difficoltà. Tale verità è consacrata
nell’aforisma: " Amico nel dolor scema la pena!"
debolezza si debella cercando qualcosa che dia forza, che conforti, che aiuti a
superare le difficoltà. Prerogativa singolarissima dell’Uomo è il cercare
sostegno in un altro che, anche se debole di per sé, gli mitighi la difficoltà. Si determina il paradosso per cui unendo due debolezze si crea una forza, le
due debolezze si elidono fra loro o almeno cercano di farlo. Il debole cerca
conforto al suo stato e finisce spesso, inconsapevolmente, nel cercarlo in chi
poi in realtà, sotto sotto, talora è più debole di lui, ma ciò malgrado
lenisce, o si illude di farlo, la sua difficoltà. Tale verità è consacrata
nell’aforisma: " Amico nel dolor scema la pena!"
Per questa sua prerogativa, l’Uomo tende ad unirsi, perché con ciò riesce meglio la traversata, spesso
disagiata, dell’esistenza umana su questa terra; da soli si è più deboli,
insieme lo si è meno, quindi meglio unirsi che restare soli. L’Uomo ha
bisogno di unirsi e di socializzare, perché da solo tutto è più pesante. In
questo contesto si inserisce l’Amore. Non va confuso con quella improvvisa
tachicardia, con le cosiddette farfalle allo stomaco, col colpo di fulmine, che
sono manifestazioni di quel magico fenomeno che precede l’Amore, ma che ne è
preliminare e si chiama innamoramento. Né l’Amore va confuso col sesso che
se svuotato di contenuti degrada a mera ginnastica dei corpi. L’Amore è
qualcosa di molto più nobile ed alto ed è la medicina alle difficoltà del
vivere che, come detto, se affrontate da soli, sono piu’ gravose, è il modo
di dare un senso alla vita che diversamente potrebbe non averne. Troviamo
impareggiabile la fulminante definizione di uno dei nostri autori preferiti,
Victor Hugo: “La riduzione di tutto l’universo ad un solo essere è la dilatazione dello stesso essere fino a
Dio: ecco cosa è l’Amore”. Se c’è l’Amore tutto diviene più
leggero, più sopportabile, più vivibile, perché diversamente la vita
diverrebbe arida, senza prospettive, senza orizzonte. Ed infatti con
tagliente chirurgica precisione Cesare Pavese scrisse: “Il problema
principe dell’uomo è la solitudine ed il modo sommo che l’uomo ha escogitato
per risolverlo è la preghiera che consiste nel trovare sempre e comunque un
qualcuno disposto ad ascoltarlo e a fargli compagnia”. Dio diviene quindi l’
Amato e l’Amico per eccellenza, sempre pronto ad ascoltarlo e a sostenerlo, o
almeno, pensato come tale da chi vi si rifugia, sperato come tale, diviene il
porto sicuro e sempre aperto in cui poter attraccare durante le burrasche della
traversata della vita. In questa ottica, la scelta dell’eremita e della monaca
di clausura, che parrebbe apparentemente smentire il succitato bisogno vitale
dell’Uomo di unione, in realtà ne è una conferma ed una esaltazione,
basandosi sulla ricerca di un grandissimo Amato-Amico, da loro almeno sentito
come tale, con cui dialogano in continuazione e nel cui seno si abbandonano. Il
bisogno dell’Amore e quello di Dio hanno un comune denominatore: il bisogno di
un legame, ed esso consegue alla debolezza dell’Uomo.
insieme lo si è meno, quindi meglio unirsi che restare soli. L’Uomo ha
bisogno di unirsi e di socializzare, perché da solo tutto è più pesante. In
questo contesto si inserisce l’Amore. Non va confuso con quella improvvisa
tachicardia, con le cosiddette farfalle allo stomaco, col colpo di fulmine, che
sono manifestazioni di quel magico fenomeno che precede l’Amore, ma che ne è
preliminare e si chiama innamoramento. Né l’Amore va confuso col sesso che
se svuotato di contenuti degrada a mera ginnastica dei corpi. L’Amore è
qualcosa di molto più nobile ed alto ed è la medicina alle difficoltà del
vivere che, come detto, se affrontate da soli, sono piu’ gravose, è il modo
di dare un senso alla vita che diversamente potrebbe non averne. Troviamo
impareggiabile la fulminante definizione di uno dei nostri autori preferiti,
Victor Hugo: “La riduzione di tutto l’universo ad un solo essere è la dilatazione dello stesso essere fino a
Dio: ecco cosa è l’Amore”. Se c’è l’Amore tutto diviene più
leggero, più sopportabile, più vivibile, perché diversamente la vita
diverrebbe arida, senza prospettive, senza orizzonte. Ed infatti con
tagliente chirurgica precisione Cesare Pavese scrisse: “Il problema
principe dell’uomo è la solitudine ed il modo sommo che l’uomo ha escogitato
per risolverlo è la preghiera che consiste nel trovare sempre e comunque un
qualcuno disposto ad ascoltarlo e a fargli compagnia”. Dio diviene quindi l’
Amato e l’Amico per eccellenza, sempre pronto ad ascoltarlo e a sostenerlo, o
almeno, pensato come tale da chi vi si rifugia, sperato come tale, diviene il
porto sicuro e sempre aperto in cui poter attraccare durante le burrasche della
traversata della vita. In questa ottica, la scelta dell’eremita e della monaca
di clausura, che parrebbe apparentemente smentire il succitato bisogno vitale
dell’Uomo di unione, in realtà ne è una conferma ed una esaltazione,
basandosi sulla ricerca di un grandissimo Amato-Amico, da loro almeno sentito
come tale, con cui dialogano in continuazione e nel cui seno si abbandonano. Il
bisogno dell’Amore e quello di Dio hanno un comune denominatore: il bisogno di
un legame, ed esso consegue alla debolezza dell’Uomo.
by Erminio Volpe
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