domenica 7 ottobre 2012

Un "altro" sviluppo

Ciò che manca oggi non è tanto o solo lo sviluppo, ma piuttosto la coscienza informata di una realtà che è profondamente mutata. Sopravvive una retorica progressista che non ha più nulla a che fare con il nostro tempo, bisogna perciò essere progressisti in altro modo, inventarsi un modo nuovo di essere, dobbiamo assolutamente uscire dall'ignoranza qualunquistica con cui affrontiamo la realtà, soprattutto occorre un'inversione di rotta per recuperare i valori che abbiamo perduto. Nel dibattito politico non si insiste più di tanto sul problema culturale, che costituisce il nodo centrale di tutte le situazioni che si stanno verificando sotto i nostri occhi. Negli ultimi decenni la classe politica ha creato una forma di potere e quindi una forma di cultura che ha proceduto al più completo e totale genocidio di culture popolari, di valori, di sentimenti che la storia ricordi. Gli italiani hanno perduto per sempre il loro modo di essere, di comportarsi, di giudicare la realtà; è stato loro inculcato un modello di vita integralmente consumistico ed edonistico. La corruzione è diventato l'unico mezzo per ottenere qualsiasi cosa, soprattutto uno stile di vita impensabile per chi lavora onestamente. L'onestà è divenuto un disvalore, sinonimo di debolezza, incapacità, inerzia.

venerdì 31 agosto 2012

Come i terroni salveranno l'Italia?

Ho letto il libro "Giù al Sud" di Pino Aprile, sottotitolo "Perché i terroni salveranno l'Italia". E' la cronaca di un viaggio a tappe in paesi del Sud, taluni sconosciuti, altri noti solo per fatti di mafia o di degrado. Il ritmo narrativo è rapido, ma intenso e coinvolgente anche. Racconta di incontri che l'autore fa con i giovani dei vari paesi i quali quasi sempre lo applaudono e lo riconoscono come loro padrino, no, pardon! volevo dire come leader di un movimento d'opinione che si sta diffondendo ovunque nel Sud facendo proseliti per la causa comune: reagire alla storica colonizzazione del Sud da parte del Nord, che si è arricchito a nostre spese. Fantastico!...
Si tratta di riscrivere la storia, solo che questa volta saremo noi del Sud a tracciarne le linee. Secondo Aprile i giovani del Sud, sia quelli che restano sia quelli che vanno via, "non ne possono più del clima generale, del familismo amorale imperante, delle arroganze di paese piccole e grandi, delle caste professionali, dei corsi di formazione infinita, degli esami regalati, dei concorsi fasulli. Non ne possono più delle cariche lautamente retribuite e distribuite a pochi privilegiati, per lo più incompetenti e senza professionalità". Insomma, non ne possono più delle raccomandazioni al notabile di turno e nemmeno (aggiungo io) degli eventi culturali in cui la cultura è solo un penoso pretesto per dare spazio e voce a politicanti che con la cultura hanno ben poco a che vedere. Certo, questi vizi non sono più solo meridionali, ormai tutto il Paese è ridotto a letamaio, con la sola differenza che al Nord il servilismo veste altri panni, più sofisticati. Molti giovani dunque vanno via dal Sud disgustati da questo clima, ma soprattutto dalla povertà di risorse e di prospettive per il futuro. Il Sud, secondo la visione storica di Aprile, defraudato di ogni ricchezza da parte del Nord,ridotto in condizione coloniale sin dal 1860, solo ora prenderebbe coscienza della sua condizione, ribellandosi. Ma perché solo ora ci si accorge di questa condizione? E le responsabilità della classe dirigente meridionale perché non vengono evidenziate? Da quel che si intuisce nel libro l'autore tende a fornire ai politici del Sud un alibi inoppugnabile ripetendo il ritornello che "la classe dirigente di un territorio ridotto in condizione di subalternità può gestire il potere che gli viene delegato, solo se consenziente con progetti, idee, interessi di chi comanda davvero". Io direi che tutto ciò è stato ed è vero dal 1994 ad oggi, ma negli anni precedenti, non in tutti gli anni precedenti, ma in quel ventennio dopo De Gasperi, negli anni della I Repubblica, da De Gasperi a De Mita, che cosa è successo? Perché non si parla nel libro dei “limiti” della politica speciale, della Cassa per il Mezzogiorno, per intenderci, che nei primi anni, diciamo fino al 1973, ha funzionato abbastanza bene facendo intravedere possibilità di sviluppo per il Sud e poi nel ventennio successivo tutto è andato a rotoli? Perché i giovani di quelle generazioni non hanno impedito lo scempio dell’intervento straordinario, il degrado della politica, la nascita di un sistema etico-culturale costituito dalla stampa, dalle università, dalle chiese e dalle associazioni culturali, che hanno fornito valori svuotati di significato ed hanno svolto un ruolo fondamentale nella vita delle comunità del Sud? I giovani si ribellano oggi forse perché non possono più ottenere i vantaggi e i benefici dei loro padri e di chi li ha preceduti, e se così non fosse allora dovrebbero ribellarsi ai loro stessi padri, a quelli cioè che hanno alimentato con il loro cieco consenso il degrado di oggi. Secondo me dunque i terroni possono cambiare l'Italia solo se recuperano il senso civico della vita democratica, se si riappropriano del territorio con profondo senso di appartenenza e di identità collettiva.

domenica 5 agosto 2012

mercoledì 1 agosto 2012

domenica 8 luglio 2012

Di luglio

Quando su ci si butta lei,
Si fa d'un triste colore di rosa
Il bel fogliame.

Strugge forre, beve fiumi,
Macina scogli, splende,
È furia che s'ostina, è l'implacabile,
Sparge spazio, acceca mete,
È l'estate e nei secoli
Con i suoi occhi calcinanti
Va della terra spogliando lo scheletro.

Giuseppe Ungaretti

Da (Sentimento del Tempo - La fine di Crono - 1931)

lunedì 2 luglio 2012

A proposito del latino...

Circola in questi giorni d'esame una piccola querelle tutta interna alla scuola in cui lavoro e che riguarda il mancato inserimento del latino fra i quesiti della terza prova dell'esame di stato. Mi risulta abbastanza strano che solo ora ci si renda conto del fatto che l'insegnamento del latino occupa nel liceo scientifico un monte ore simile a quello della matematica e della fisica e che di conseguenza c'è un perfetto bilanciamento tra materie umanistiche e materie scientifiche. Sono anni che turandoci il naso facciamo finta che tutto va bene mentre niente ma proprio niente va per il verso giusto. Ce lo vogliamo dire finalmente come stanno veramente le cose, senza inibizioni e senza infingimenti?...
Miei cari colleghi, voi forse vi rifiutate di capire una cosa fondamentale, a proposito dell'insegnamento del latino nei licei, e cioè che questa materia è obbligatoria solo formalmente, mentre di fatto è snobbata e rifiutata dalla maggioranza degli studenti. Da noi, ma anche in tutte le altre scuole, da tempo esiste sul latino un' opzionalità clandestina per cui solo quelli che consapevolmente l'accettano (e sono pochissimi!) lo studiano, gli altri , disprezzandolo, lo mortificano con la loro ignoranza. L'insegnamento di questa nobile disciplina non può risolversi in nessun modo nello studio di declinazioni, verbi e costruzioni fini a se stessi, ma come strumenti di altro, per esempio per far conoscere il pensiero dei grandi che hanno costruito le basi della civiltà occidentale, per conoscere e capire le parole, le nostre e quelle degli altri, per sapere ascoltare e ascoltarsi, etc etc... finalità elevate, come si vede, che richiedono motivazione, sensibilità e consapevolezza, ma anche studio e competenze ad ampio raggio per essere conseguite! Il latino è difficile, non è per tutti, né si può pretendere di banalizzarlo con le fantasiose applicazioni multimediali, con i fumetti e i giochini che vorrebbero propinarci i pedagogisti più in voga. Il latino non è utile nella mentalità dei giovani d'oggi, perciò è tanto difficile apprenderlo e soprattutto insegnarlo, è come la poesia: quanti sono in grado di apprezzarla nella forma e nel contenuto? e poi a che serve la poesia? Miei cari, ho dimenticato di aggiungere, per finire, che non siamo noi di lettere a relegarci ad un ruolo di basso profilo e poco educativo.
La macchina ( riporto le testuali parole di un mio collega indignato) di furbizie, di sotterfugi, di meschinità, di opportunismi, e io direi anche di mascheramenti a coprire una profonda incultura è troppo gigantesca per i pochi che hanno fede nel nostro lavoro.

mercoledì 20 giugno 2012

Ammazzare il tempo

Eugenio Montale, Ammazzare il tempo (da Auto da fé. Cronache in due tempi, Il Saggiatore, Milano 1966)

Per Montale uno dei problemi più preoccupanti che si presenta all'uomo di oggi e di domani è "Ammazzare il Tempo". Il poeta sembra riproporre una questione che è stata ampiamente dibattuta dai pensatori antichi e moderni, da Seneca a S.Agostino a Pascal. Gli antichi avevano trovato però, ognuno a suo modo, una soluzione al dilemma che in ultima analisi era l'aristocratica scelta di privilegiare la qualità e non la quantità del tempo. Nel saper fare un uso sapiente del tempo rientrava la capacità di accettare la vecchiaia riconoscendo anche a quest'età i suoi aspetti positivi, ma noi, nel nostro tempo infame in cui è caduta ogni illusione, tranne quella, assurda, di prolungare artificialmente la giovinezza disprezzando la vecchiaia, come riempiremo il vuoto del tempo che ci si spalanca davanti come un orrido abisso?
In una civiltà come la nostra, in cui il lavoro comincia a scarseggiare a causa della crisi che vede chiudere industrie, fallire imprese, e impiegare sempre più massicciamente macchine sofisticate in sostituzione della mano dell'uomo, è veramente profetica la visione montaliana di uno spettro del tempo che si aggira nella dimensione quotidiana di ognuno di noi. Se non dovesse esserci più lavoro per tutti, come impiegheremmo il nostro tempo vuoto? Questa è la domanda, inquietante ma vera e più che mai attuale, che Montale si pone e ci pone. Lui dice che "pochi sono gli uomini capaci di guardare con
fermo ciglio in quel vuoto", da qui "la necessità sociale di fare qualcosa, anche se questo qualcosa serve appena ad
anestetizzare la vaga apprensione che quel vuoto si ripresenti in noi".
In conclusione, per ammazzare il tempo occorre riempirlo di occupazioni che abbiano un senso, ossia di lavoro.

da Casa sul mare

ll viaggio finisce qui:
nelle cure meschine che dividono
l'anima che non sa più dare un grido.
Ora I minuti sono eguali e fissi
come I giri di ruota della pompa.
Un giro: un salir d'acqua che rimbomba.
Un altro, altr'acqua, a tratti un cigolio.
[E.Montale]