venerdì 28 maggio 2010

L' esame

by Gaty
Quella mattina, prima di uscire di casa, aveva fatto la solita colazione: latte con orzo e pezzi di pane raffermo, ma fu difficile mandare giù quei bocconi, la gola sembrava impedita da un nodo che andava su e giù... Che fastidio!
L'emozione si faceva sempre più grande, era andata crescendo sin dalla notte. Oh, quella terribile notte! chi l'avrebbe mai più dimenticata! Non aveva chiuso occhio nemmeno per un solo momento. Rimasta nel buio della stanza, seduta sul letto, gli occhi fissi nel vuoto, aveva avvertito un’angoscia terribile da opprimerle l’anima. La netta e precisa sensazione di trovarsi ad un bivio fatale era l'unico sentimento che riusciva a distinguere in quel groviglio di sensi impazziti, sentire di trovarsi in un momento cruciale in cui lei sola avrebbe deciso del proprio futuro, della propria vita... Quanto avrebbe desiderato condividere quel cupo dolore con qualcuno! Magari con sua sorella, che dormiva nella camera con lei! Ma quella notte tutti dormivano in casa, Morfeo aveva ben disteso il suo velo di sonno su tutti i componenti della famiglia: suo padre, sua madre, la sorella maggiore e i due fratellini più piccoli. Per tutta la notte aveva sperato che si svegliasse almeno Tonino, il fratellino pestifero, che in genere strepitava anche di notte, ma niente da fare, tutti riposavano sereni, tranne lei, eppure... faceva tanto caldo, quasi si soffocava! o era lei a smaniare troppo? Mille pensieri le attraversavano la mente, rapidi, tumultuosi, che le stancavano il cervello. Che cosa l’attendeva il giorno dopo? Sarebbe riuscita quanto meno ad aprire bocca davanti alla commissione d’esame? E se invece non ce l'avesse fatta, che sarebbe stato di lei? Cercava disperatamente di organizzare nella mente tutte le sue conoscenze, tutte le nozioni che aveva immagazzinato in tre mesi di duro lavoro: letteratura , filosofia, storia, latino, greco... Dio mio! Come poteva tenere a mente tutto? Si era alzata più volte per andare in cucina a bere un sorso d’acqua, le si asciugava la gola, la pancia in subbuglio. Quando finalmente la luce del giorno cominciò a trapelare dalle imposte della finestra socchiusa, si alzò. Era in uno stato a dir poco pietoso: gli occhi gonfi e cerchiati, i capelli pregni di sudore come dopo un’enorme fatica, si sentiva tremare in tutto il corpo. In casa nessuno sembrava accorgersi della sua condizione, tutto era normale, ogni cosa al suo posto. Ognuno attendeva alle sue occupazioni come in un giorno qualunque: suo padre, preso frettolosamente il caffè, era uscito prima ancora di avere il tempo di scambiarsi con lei neppure uno sguardo, la mamma, già arrabbiata di prima mattina, andava sbraitando per casa:
– E’ tardi! Sbrigatevi! La casa deve essere pulita entro un’ora, ho da fare! -
Anna, in preda all’angoscia, non riusciva a trovare niente di decente da mettersi addosso in quel giorno così tanto importante per lei. Alla fine, quando mancava un quarto alle otto, decise di mettere il vestitino color albicocca, quello che Andrea le aveva regalato coi soldi della borsa di studio vinta all’università. Davanti allo specchio approvò la scelta, il colore faceva uno straordinario contrasto coi capelli nerissimi, la carnagione già scura per un’abbronzatura tutta naturale in quel caldo di luglio.
–Forse è un po’ provocante- pensò passando un’ultima volta davanti allo specchio
-ma poco importa, la maturità è anche saper portare un vestito di un certo tipo...- Ciao, io vado- disse aprendo la porta, ma nessuno le rispose.
L’aula magna del liceo, dove si svolgeva la prova orale dell’esame, era gremita di ragazzi e ragazze, ma anche di persone giunte ad assistere all’esame, parenti ed amici degli esaminandi. Anna si rese subito conto che dei suoi non c’era nessuno, né sorelle né i genitori, ma in compenso c’erano i suoi compagni di classe, e tifavano per lei. – Andrai bene, vedrai!- le dicevano in coro. Ma intanto il suo disagio cresceva, cresceva e lei si sentiva quasi svenire; quel maledetto caldo la faceva sudare, tutto il corpo sudava eccessivamente. Le mani, che non riusciva a tenere ferme, erano a tal punto bagnate che il fazzoletto non bastava ad asciugarle. Un sottile rivolo di sudore le scendeva giù per la schiena e le creava imbarazzo. E poi, perchè tremava tanto? – Ecco- diceva tra sé – questa è l’emozione dell’esame!- Dovettero darle un po’ d’acqua e farle respirare una boccata d’aria fresca, prima di cominciare il colloquio. Quando si affacciò alla finestra della scuola che dava sulla piazza centrale, scorse da lontano suo padre che passeggiava chiacchierando animosamente con un amico, si raggelò di colpo e riprovò quella strana stretta al cuore della notte prima. Fu un attimo, si riprese subito, si sforzò di sorridere, si aggiustò i capelli ed il vestito con un gesto della mano e, sicura come non lo era mai stata, entrò nell’aula magna, salutò i commissari, si sedette e cominciò il suo colloquio. Il suo discorso fu serratissimo e incredibilmente fluente, Più volte ricevette complimenti per la preparazione e questo le bastò a farle sciogliere tutta la tensione accumulata. Avrebbe continuato chissà per quanto ancora, se non l’avessero fermata. –Brava! Brava!- le amiche e tutti quelli che erano lì l’accerchiarono calorosi. Ad un certo punto si sentì sollevata in alto, presa letteralmente in braccio da Don Gervasio, il parroco del paese, che l’aveva ascoltata per tutta la durata del colloquio. Anna era veramente felice, si sentiva liberata di un peso enorme e per ciò come rinnovata di un nuova forza. Rincasò che erano passate le tre del pomeriggio. Sua madre le chiese distrattamente se tutto era andato bene e le porse il pranzo che aveva messo da parte per lei: un piatto di pasta e fagioli che lei non riuscì a mandare giù, sazia di emozioni com’era.

sabato 22 maggio 2010

IO E LORO

In un gruppo lavorativo qualsiasi l'individuo e il gruppo non vanno considerati due entità definite in se stesse, ma come dimensioni viventi del sociale le cui manifestazioni, espressioni, comunicazioni vanno comprese rispetto ad una dinamica di interdipendenza. Questa si chiama "Dinamica di gruppo" e si riferisce ad una branca della psicologia sociale che si affermò negli anni settanta negli USA ad opera di Kurt Lewin.In base alla teoria dell'interdipendenza, se è vero che i gruppi sono composti da individui questo non nega che gli individui vengono creati dai gruppi. Illusoria risulta pertanto la comprensione del comportamento sociale mediante un riferimento ad una psicologia individuale, ormai abbandonata, del tutto autonoma ed autoreferenziale. Nei gruppi di lavoro, che hanno come scenario il campo organizzativo, l'interdipendenza appare più visibile nella compresenza di differenze, la cui valorizzazione e il cui coordinamento competente è addirittura, oggi sempre più, a fondamento dell'efficienza dell'attività del gruppo.

venerdì 7 maggio 2010

VALORE

di Erri De Luca

Considero valore ogni forma di vita, la neve, la fragola, la mosca.
Considero valore il regno minerale, l'assemblea delle stelle.
Considero valore il vino finche' dura il pasto, un sorriso involontario, la stanchezza di chi non si e' risparmiato, due vecchi che si amano.
Considero valore quello che domani non varra' piu' niente e quello che oggi vale ancora poco.
Considero valore tutte le ferite.
Considero valore risparmiare acqua, riparare un paio di scarpe, tacere in tempo, accorrere a un grido, chiedere permesso prima di sedersi, provare gratitudine senza ricordare di che .
Considero valore sapere in una stanza dov'e' il nord, qual e' il nome del vento che sta asciugando il bucato.
Considero valore il viaggio del vagabondo, la clausura della monaca, la pazienza del condannato, qualunque colpa sia.
Considero valore l'uso del verbo amare e l'ipotesi che esista un creatore.

Molti di questi valori non ho conosciuto.

sabato 1 maggio 2010

Primo maggio

Labor omnia vincit

"Dall'universale riconoscimento del diritto al lavoro deriva che compito primario della politica economica deve essere quello di garantire a tutti la possibilità del lavoro, cioè un'occupazione remunerata sulla base del minimo di sussistenza. Lavoro e occupazione per tutti deve essere la nostra parola d'ordine e la meta dello Stato, il quale per raggiungere tale fine dovrà fare appello a tutte le forze sociali e a tutte le risorse economiche.
[...] Ma la giustizia sociale vuole anche l'eliminazione delle eccessive concentrazioni della ricchezza, le quali costituiscono un feudalesimo finanziario, industriale e agrario che ostacola la diffusione della piccola proprietà privata e insidia lo sviluppo di un popolo libero".

Alcide De Gasperi, 1943