giovedì 29 gennaio 2009

A che cosa ci serve la letteratura

Questa terribile domanda mi è stata posta, con l'ingenuità e l'incoscienza propria dell'età, da un mio alunno adolescente, non so se per mera volontà di polemica o perché veramente desideroso di avere una risposta...
La letteratura può tenderci la mano quando siamo depressi, condurci verso gli esseri umani che ci circondano, farci comprendere meglio il mondo ed aiutarci a vivere. Essa può anche trasformarci nel profondo, qualora la pratichiamo con costanza. E non è vero che ci isola dal mondo, perché essa ha per oggetto la stessa condizione umana e chi la legge e la comprende non diventerà un esperto di analisi letteraria, ma un conoscitore dell'essere umano. Per questo nella scuola è importante comprendere le opere dei grandi scrittori che da millenni si dedicano a questo compito. L'insegnamento della letteratura, orientato nel senso della scoperta di tutto quanto c'è di umano nelle opere, non può che essere un aiuto prezioso per tutti, per il futuro studente di diritto o di scienze sociali, per il futuro medico o per lo scienziato. Avere come maestri Shakespeare e Dante, Dostoevskij e Proust non è uno straordinario privilegio?
Per quanto mi riguarda, amo la letteratura non perché la insegno, ma l'insegno perché la amo da sempre.

sabato 24 gennaio 2009

Il mio paese




" S. Angelo è una bella cittadina tutta nettezza e immensità di orizzonte, è la sentinella avanzata del contrafforte campano, che quasi per intero, le si spiega da mezzogiorno a maestro col Terminio dapprima, col Partenio, in ultimo col Taburno. Chi si aggira per quei dintorni, non dimentichi S. Angelo dei Lombardi. A ciel sereno, sul tramonto, è di lassù una vista di paradiso... Pochi tratti dell'Appenino meridionale sono orograficamente più importanti della valle Ofantina di S.Angelo dei Lombardi, sul cui limitare torreggia la vecchia Conza e nel cui mezzo giace abbandonata l'umile Lioni".

(Giustino Fortunato)

venerdì 23 gennaio 2009

"Perduti i più cari ideali, non rimane nell'uomo se non l'animale"

F. De Sanctis

giovedì 15 gennaio 2009

La poesia nel nostro tempo

Nello sfondo cupo dell'attuale momento storico che stiamo vivendo sembrerebbe che non ci sia più posto per l'umile discreta poesia, di un'arte che richiede solitudine, silenzio, riflessione...
Nemmeno nella scuola, che da sempre è la sede della riflessione e dell'analisi, la poesia trova più spazio.
Non c'è più il tempo né la possibilità di ascoltare una voce sommessa qual è quella della poesia, eppure...
quando capita d'incontrare un poeta, un vero poeta, avviene come un miracolo: scende il silenzio, il cuore sobbalza di emozione, straripano le parole come un fiume in piena.

domenica 11 gennaio 2009

Problemi educativi e metodi d'insegnamento


Ho letto da qualche parte, non so dove (mi spiace), la seguente asserzione: " I testi che i ragazzi producono durante l'interrogazione sono agrammaticali e poco coesi, quando non incongruenti, ma di registro alto... brandelli di lingua scritta che l'insegnante bada a riformulare correttamente". Questo vuol dire esattamente che i ragazzi non hanno nemmeno un barlume di quello che dovrebbe essere un pensiero critico autonomo. Parlo ovviamente di ragazzi di un triennio di liceo; sarebbe dunque provato che siamo lontani da una valutazione oggettiva nella scuola, e che anzi molto spesso sbagliamo attribuendo voti alti basandoci quasi esclusivamente sulla padronanza linguistica e sulla capacità di memoria. Niente di più sbagliato!
La vera educazione, la vera crescita culturale deve essere misurata in rapporto ad una presa di coscienza critica dei testi e della realtà in modo da poter agire e reagire in maniera realistica. Ma poi, dov'è la morale nell'attribuire dei buoni voti per un impegno puramente nozionistico, che nulla aggiunge alla crescita umana e sociale dell'allievo? Lo stesso esame finale, anziché garantire la serietà dei programmi svolti e valutare l'esito formativo dei singoli allievi, non fa altro che ripetere una specie di farsa tecnico-burocratica, quella stessa che applichiamo nelle verifiche quadrimestrali, con qualche attenuante in più. Si pone dunque l'esigenza di un metodo scientifico applicato alla didattica e credo che esso debba essere rigorosamente proprio di ogni disciplina, siano esse scientifiche o storico-letterarie. Lo stesso Popper lo sosteneva, annullando la classica dicotomia fra scienza e discipline umanistiche: "Il metodo delle congetture e confutazioni sono praticate da entrambe le discipline, nella ricostruzione di un testo come nella costruzione di una teoria della relatività". Chi potrebbe mai pensare che nella scuola italiana persino le discipline scientifiche vengono insegnate secondo un metodo non scientifico? E chi mai accetterebbe, invece, che in un liceo scientifico l'unica esperienza alla quale, sia pure inconsapevolmente, si applica un metodo scientifico è la traduzione dal latino o dall'inglese? La ricerca scientifica consiste nel tentare la soluzione dei problemi e su di essi e sulla loro individuazione dovrebbe basarsi la didattica; bisognerebbe dunque concepire l'insegnamento come opportunità di discussione a partire dalla storia, la letteratura, l'arte, la filosofia, ecc. Nella scuola invece tutto tende ad ostacolare il pensiero critico: i libri di testo, in primis, rendono in questo senso un pessimo servizio, noiosi e superficiali come sono. Il problema é che i libri di testo faciltano molto il compito degli insegnanti e sono invece una vera sciagura per l'intelligenza dei ragazzi, essi di fatto promuovono il dogmatismo e l'apprendimento superficiale. Provate ad osservare ad esempio un manuale di storia, quale testo promuove un dibattito storiografico? O quale testo consente un qualsivoglia approfondimento tematico? Oppure, avete mai guardato attentamente un manuale di letteratura? Le nuove impostazioni prevedono degli esercizi di analisi testuale già svolti, con un enorme apparato di note, motivo per cui i ragazzi spesso neanche li leggono.Spesso mi capita di preparare dei questionari di verifica con domande che invitano alla riflessione e alla critica, oppure delle prove strutturate per misurare i livelli di competenza, ma i ragazzi faticano molto ad andare al di là di un mero nozionismo oppure di uno sciocco conformismo. Per evitare difficoltà nella comunicazione educativa, ma soprattutto onde evitare di registrare insuccessi nelle interrogazioni orali, sono costretta ad accettare lo sterile sciorinamento di nozioni cui sono abituati, questo per evitare di mettere a nudo una realtà che ufficialmente non viene riconosciuta. O meglio, diciamo pure che gran parte dei docenti ha il terrore di essere ritenuto responsabile del basso profilo culturale della propria classe, per cui la valutazione in tutte le discipline tende sempre in alto, a prescindere dalla qualità dell'insegnamento/apprendimento. Lo stesso conformismo a tale sistema di valutazione si verifica per la letteratura italiana e latina quanto per la storia, per la filosofia, la storia dell'arte, e credo finanche per la matematica e le scienze. Nessuno pensa alle conseguenze di una simile azione educativa: i ragazzi vengono educati alla superficialità, all'approssimazione in un qualunque tipo di approccio, anche nelle più semplici operazioni della vita pratica. Ma non è solo questo. In un simile scenario, di appiattimento generale, non mancano nemmeno le influenze o le pressioni esterne di persone che subdolamente hanno introdotto anche nella scuola certe "pratiche", tipiche dei centri di potere politico-amministrativo, per cui all'interno di un'istituzione educativa si riproducono esattamente quei comportamenti e quelle relazioni sociali che specialmente nel nostro Sud stanno determinando la dissoluzione della legalità e delle regole del vivere civile. I ragazzi sono sempre più consapevoli di questo, forse anche per questo non credono molto nella scuola. Me lo ripetono tutte le volte che tento di sublimare l'istruzione, la cultura, la scuola: "Tanto lo sappiamo che andranno avanti solo i raccomandati!" Questo è l'insegnamento che dà la scuola? Su questi fondamenti basa la sua azione di formazione della persona e delle norme che regolano la sua condotta? E' indubbio che il sistema e la pratica della valutazione nella scuola italiana necessitano quantomeno di una revisione, per non parlare della competenza professionale dei docenti. Cito le parole di Vertecchi: "La valutazione coinvolge fortemente l'affettività degli allievi, determinando in buona misura la qualità dei loro atteggiamenti nei confronti della scuola". Io personalmente la considero il momento più importante di tutta l'azione educativa. Ogni qualvolta devo esprimere la mia valutazione con un voto, provo una forte sensazione di disagio, lo stesso che provavo ai tempi del liceo, quando percepivo che mi si faceva un'ingiustizia. Per quel che mi riguarda, io non valuto soltanto le conoscenze specifiche delle mie discipline, poco m'importa se il ragazzo non conosce la vita e le opere di un autore, se non ricorda la battaglia di Salamina o il fiume più lungo del Canada, io valuto i progressi nello sviluppo della sua personalità, i suoi livelli di strutturazione mentale, i livelli di espressione e comunicazione, di conoscenza scientifica e di socializzazione, di ragionamento, di creatività, conseguenti alle modifiche della sua situazione di partenza. Non è un'impresa facile, lo ammetto, una valutazione attenta e critica richiede una maggiore frequenza di verifiche e quindi un maggior carico di lavoro per la produzione di materiale e di strumenti vari, da inventare ogni volta. Sarebbe d'uopo pertanto compensare adeguatamente i docenti impegnati nel difficile compito della valutazione mediante l'uso di strumenti obbligatori, quali l'interrogazione orale ma soprattutto le prove scritte. Insisto col dire che la valutazione è l'aspetto fondamentale della attività didattica e soprattutto alle superiori essa implica una necessaria quanto doverosa selezione per non consentire alle persone impreparate di accedere alle professioni o ad un lavoro, a discapito dell'intera collettività. L'alternativa è trovarci medici incapaci o ingegneri che fanno crollare i ponti!

sabato 3 gennaio 2009

Donne e politica

Fervono i preparativi per la campagna elettorale, in vista delle amministrative della prossima primavera, a Grottaminarda. Già nell'aria si respira quel non so che di sagra paesana, con i suoi riti, le sue cerimonie in cui si sprecano le strette di mano, i saluti reverenti, le promesse e gli impegni solennemente presi... insomma, il sipario della scena politica non s'è alzato ancora , ma il brusio dei protagonisti si sente da dietro le quinte.
Un tempo anch'io mi sono impegnata in politica, animata da un ingenuo quanto sincero entusiasmo per una scoperta che avevo fatto, studiando per la mia tesi di laurea la figura e l'opera di Francesco De Sanctis. Avevo appreso dal mio illustre conterraneo che la politica poteva essere una nobilissima missione civile, un formidabile strumento di rivalsa e di emancipazione per la nostra gente del Sud, dell'Irpinia, in particolare, così lontana ancora dal progresso reale. Ebbene, fui presa da un tale ardore per questo personaggio che, senza indugiare, mi buttai nella politica aggregandomi ad un rappresentante parlamentare che mi sembrava meglio incarnare gli ideali desanctisiani. La mia scelta cadde su Gerardo Bianco per una strana casualità: mi trovai a Guardia dei Lombardi mentre l'Onorevole pronunciava un discorso politico sulla pubblica piazza. Ebbi una sorta di folgorazione, mi sembrò di udire le medesime parole del grande critico, quelle bellissime parole dei tanti suoi discorsi che io avevo in quel periodo fisse nella mente. Pensai:" Quest'uomo è il prosecutore, il fedele interprete della concezione politica desanctisiana!" Volli credere che portasse avanti una battaglia civile più che politica, all'insegna dell'onestà intellettuale... Non che mi sia, poi, ricreduta sull'integrità morale della persona, ci mancherebbe!
Non ero un'ingenua, sapevo che la politica è fatta di intrighi, di compromessi, di doppi giochi, di interessi personali, ma in quell'occasione mi vennero alla mente le parole pronunciate da De Sanctis, non ricordo in quale precisa circostanza, ma erano parole piene d'angoscia per le sorti della Patria:"Che sarà dell'Italia quando la nuova generazione entrerà in politica con la persuasione che non si può essere insieme un uomo politico ed un uomo onesto?"
Fu così che decisi di partecipare alla politica, nel mio piccolo, nella convinzione di poter risolvere i problemi del popolo. Ricordo oggi quell'esperienza con un pizzico di nostalgia, ero così piena di entusiasmo che affrontai non poche difficoltà ed ebbi il coraggio di confrontarmi con soli uomini, alcuni potenti e boriosi, altri privi di cultura e di sensibilità, molti pieni di pregiudizi sulle donne.

Il mio impegno in politica non durò a lungo, presto mi resi conto di essere strumento per oscure manovre da parte di astuti manovrieri della politica, quelli che sono sempre in agguato e sanno sempre come fare per volgere ogni cosa a loro vantaggio. Mi ritirai in buon ordine, non senza una segreta speranza di tempi migliori in cui la politica potesse finalmente fondarsi su autentici valori morali.